LUPO GIUSEPPE

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LUPO GIUSEPPE

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Atella (PZ), 27 novembre 1963

A Milano frequenta, la facoltà di Lettere Moderne all’Università Cattolica. Dieci anni dopo debutta come scrittore con il saggio Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta; presso l’Università Cattolica di Milano insegna per diversi anni con incarichi che poi arrivano alla cattedra di professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea; diverse le sue pubblicazioni, tra le quali le più recenti: La letteratura al tempo di Adriano Olivetti, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2016; Gli anni del nostro incanto, Marsilio Edizioni, Venezia, 2017.

Giuseppe Lupo, scrittore e professore universitario, nasce ad Atella (PZ) il 27 novembre 1963. I genitori insegnano alle scuole elementari, il padre è, per di più, ideatore ed animatore del circolo letterario “La Torre” che, dal resto dell’Italia, porta nella cittadina del Vulture noti intellettuali, giornalisti, artisti, editori. Il ragazzo non avverte gli influssi di questo mondo. Lo farà dopo, nel periodo buio del terremoto del 23 novembre 1980. Atella è vicinissima all’epicentro, confina infatti con l’Irpinia. Quel clima di sospensione e paura vissuto attorniato da macerie, portano il diciassettenne Giuseppe a cercare di colmare il vuoto che si è creato nella sua anima, spingendolo ad esplorare percorsi fino allora non considerati.

Inizia a spalancarsi per lui il mondo della letteratura, visitato per eludere le fredde giornate d’inverno che da lì in avanti avrebbero scandito le sue giornate. Legge i libri che ha in casa, comincia da “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. Quegli scritti si innestano nel suo animo determinandone le scelte future. Si trasferisce in Lombardia. A Milano frequenta, la facoltà di Lettere Moderne all’Università Cattolica. Si laurea nel 1986 con una tesi sul poeta-ingegnere lucano Leonardo Sinisgalli. Dieci anni dopo debutta come scrittore con il saggio Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta (Ed. Vita&Pensiero) in cui Milano viene descritta come il fulcro di eterogenee menti elette, che si esprimono e si confrontano su temi e discipline diverse. Il poeta montemurrese ne incarna la sintesi.

Da qui in avanti la sua carriera da prosatore intervalla narrativa e saggistica, nell’intento di delineare una scrittura tra il reale e l’onirico che gli consente di essere, come lui stesso si definisce, un “sognatore di viaggi più che vero viaggiatore”. Nel 2000 esordisce come romanziere con L’americano di Celenne (Ed. Marsilio). L’emigrazione è il filo conduttore di una storia che si svolge sulle due sponde dell’Atlantico, tra la disillusione del sogno americano infranto, e le trasformazioni socio-politiche intercorse in Italia dalla Grande Guerra fino all’avvento della Repubblica. L’anno successivo il romanzo vince il Premio Giuseppe Berto e Premio Mondello, e l’altro ancora il Prix du premier roman.

Nel 2002, sempre presso l’Università Cattolica, consegue il dottorato di ricerca in “Critica, teoria e storia della letteratura e delle arti” e, nello stesso anno, pubblica il saggio Poesia come pittura. De Libero e la cultura romana (1930-1940) (Ed. Vita&Pensiero), considerato come la prima monografia sul celebre poeta, critico d’arte e narratore italiano.

Dall’anno accademico 2003-04 ottiene la docenza a contratto di Letteratura italiana e forme della rappresentazione contemporanee, presso la sede bresciana dell’Università Cattolica. In parallelo esce il saggio Le utopie della ragione. Raffaele Crovi intellettuale e scrittore (Ed. Aliberti) dedicato ad un protagonista indiscusso della scena letteraria, giornalistica, poetica, televisiva e teatrale italiana del secondo Novecento.

Nel 2004 pubblica il romanzo Ballo ad Agropinto (Ed. Marsilio). Per l’autore si tratta di un ritorno alle origini. Siamo in Lucania intorno agli anni ’50. Inevitabili e profondi cambiamenti sociali, economici, demografici si prospettano in una terra che dovrà rompere con il passato per guardare necessariamente avanti.

Nel periodo che segue è ancora la sua terra ad orientare i pensieri. Nel 2008 pubblica La carovana Zanardelli (Ed. Marsilio), versione romanzata della storica visita del Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli in Basilicata nel 1902. L’opera vince il Premio Grinzane-Carical e il Premio Carlo Levi dello stesso anno.

Nel 2009 acquisisce il titolo di ricercatore in Letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e di Brescia e, nel febbraio 2011, è nuovamente in libreria con L’ultima sposa di Palmira (Ed. Marsilio). È un romanzo che ha in mente da 30 anni. L’autore torna ai difficili momenti del sisma dell’80 rielaborati, tra il reale e l’irreale, con una più matura consapevolezza. Affida la narrazione ad una donna. È una scelta per lui inedita che fa, un po’ per sfida con se stesso, ma soprattutto perché è la donna, generatrice di vita, ad essere più indicata a raccontare la rinascita in un mondo che è morto, o forse non c’è mai stato, e che l’autore vuole far rivivere come una sorta di buon auspicio contro la caducità delle cose. Il libro vince il Premio Vittorini e il Premio Campiello – selezione Giuria dei Letterati XLIX edizione, 2011.

Dello stesso anno è la prima edizione di Vittorini politecnico (Ed. Franco Angeli), saggio con cui l’autore esce nuovamente dal luogo natio per tornare in Lombardia, ormai suo luogo d’adozione, per parlare del noto scrittore, traduttore, curatore editoriale e critico d’arte, con cui condivide le origini meridionali e il vivere altrove. Il saggio viene commercializzato nell’ottobre del 2013, sei mesi dopo l’uscita del romanzo Viaggiatori di nuvole (Ed. Marsilio). Con un salto temporale indietro di cinque secoli, il lettore si ritrova a camminare sull’Italia a caccia di misteri e verità svelate, tra personaggi di fantasia o noti, realmente esistiti. Il manoscritto vince il Premio Giuseppe Dessì e il Premio Europeo di Narrativa Ferri-Lawrence, entrambi nel 2013.

Nel 2014 pubblica il romanzo Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma (Ed. Marsilio). Per Giuseppe Lupo la precisione e l’imprecisione del pensiero umano, scienza esatta e immaginazione, si completano e si rincorrono in attente valutazioni con cui si esamina la realtà con gli occhi di chi vuole sempre guardare oltre l’apparenza. Una cinquantina di scritti contenenti considerazioni che l’autore fa partendo dalla cronaca, dalla Storia e dalla Geografia.

Note simili si ritrovano nell’altro romanzo L’albero di stanze (Ed. Marsilio), uscito nel 2015. Un secolo viene raccontato in quattro giorni. Sono quelli che precedono la fine di un millennio e la nascita di uno nuovo, il 2000, con le sue aspettative di modernità e il raziocinio imperante. Ma sono anche quelli del ricordo inaspettatamente riscoperto tra le pagine di un singolare libro di pietra. L’autore attinge anche dalle sue esperienze di vita per raccontare un’epoca che, dai tempi moderni, procede a ritroso srotolando il filo della storia per recuperare mondi custoditi dalla memoria, in un viaggio interiore fatto di silenzio e in solitudine. Anche qui il lettore viene indotto ad una riflessione che va oltre i confini fisici, mentali, geografici, utile a ideare una realtà migliore. Il libro è vincitore del Premio Palmi 2015; del Premio Alassio Centolibri – Un Autore per l’Europa e del Premio Frontino-Montefeltro, entrambi del 2016.

Dal 2015 è professore di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università in cui si è formato. Nel 2016, in aprile, pubblica il saggio Mosè sull’Arca di Noè. Un’idea di letteratura (Editrice La Scuola). Il gioco di assonanze contraddistingue questo testo. Da quella figurativa esistente tra l’arca e i libri, entrambi custodi di idee e pensieri, a quella sonora dei nomi dei personaggi biblici, equiparati agli scrittori che portano quelle idee e quei pensieri, in luoghi lontani, per vie dirette alla libertà del pensiero e dei popoli.

Quattro mesi dopo è la volta del saggio La letteratura al tempo di Adriano Olivetti (Edizioni di Comunità). L’omaggio è all’uomo illuminato che ha cambiato la visione di fare impresa, dimostrando come è possibile far coesistere efficienza e bellezza, progresso e natura, tecnologia e letteratura in un modello produttivo a misura umana.

Nel 2017 il romanzo Gli anni del nostro incanto, (Ed. Marsilio), consente di tornare con la mente ad un passato vicino di cui ancora sentiamo gli echi. Giuseppe Lupo parte da una foto vera, diventata poi la copertina, ritrovata negli archivi del Corriere della Sera che raffigura quattro persone in motorino di cui l’autore ne ricostruisce le identità, pur ignorando chi veramente siano. Lo fa ispirandosi a ciò che quella foto trasmette, l’audacia e la spensieratezza vissuta negli anni ’60 nella Milano del progresso che attira, a migliaia, persone dalla provincia.

E va avanti fino agli anni ’80 in un racconto che ricompone un complicato mosaico di avvenimenti storici affidandosi alla memoria di ciò che è stato. Sullo sfondo i rapidi processi economici, antropologici, scientifico-tecnologici che, non solo hanno profondamente mutato la società, ma anche spalancato orizzonti nuovi da cui profetizzare un domani migliore. L’anno dopo il libro si aggiudica tre Premi: Premio Viareggio, Premio Corrado Alvaro, Premio Acri-Padula.

Nel 2019 esce il libro autobiografico Breve storia del mio silenzio (Ed. Marsilio). Giuseppe Lupo racconta in prima persona il suo diventare grandi, le tappe che dall’infanzia lo hanno portato all’età adulta insieme al bagaglio esperienziale in cui si sono alternati gli alti e bassi quotidiani. Un filo di ironia accompagna le curiosità, le aspirazioni, la nostalgia, i timori e l’amore qui descritti. Quest’ultimo è il sentimento che si percepisce di più. Amore per la famiglia, per la terra d’origine, per il lavoro e per la scrittura che l’autore giustifica: “Scriviamo ciò che è destinato a essere cancellato, scriviamo per dimenticare. Un meccanismo strano: la letteratura è malattia dell’oblio, non della memoria”. Il libro entra nella dozzina del Premio Strega 2020.

“In pianura tutto si cancella, sull’Appennino tutto si ricorda” è uno dei passaggi che annota in Civiltà Appennino (Ed. Donzelli), saggio che scrive, nel gennaio 2020, con Raffaele Nigro. Poesia e pragmatismo si sintetizzano in un testo che è una presa di posizione a favore delle aree interne e delle montagne, sempre più spopolate. Sull’Appennino paesaggi, borghi, risorse, riti e natura formano un’identità che si mostra con un unico volto dalle mille espressioni. Elementi contenuti in spazi ben definiti che si dipanano da nord a sud dell’Italia, dove le esistenze sono ancora tenacemente ancorate ad usi e costumi che la modernità non ha cancellato, seppure è riuscita a risalire quelle vette.

A distanza di due mesi pubblica il saggio Le fabbriche che costruirono l’Italia (Ed. Il Sole24Ore), un viaggio nei luoghi dell’industrializzazione e nelle rapide trasformazioni sociali di un popolo che ha cambiato status e domicilio. E nel giugno successivo, il saggio A Praga con Kafka, (Ed. Giulio Perrone), dove si delinea il rapporto tra lo scrittore di fama mondiale e la sua città.

Nel 2021 escono altri due libri. Nel febbraio, Il pioppo del Sempione (Ed. Aboca), opera di narrativa in cui si affronta l’attualissimo tema degli sbarchi, dell’integrazione e della memoria storica che ostinatamente viene tutelata dal rischio dell’oblio. Una tutela storica che ritroviamo tra le righe del saggio La Storia senza redenzione. Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli (Ed. Rubbettino), uscito due mesi dopo, dove l’autore, nell’analizzare il periodo dall’Unità d’Italia ai nostri giorni, denuncia l’atteggiamento troppo “conservatore” degli intellettuali del Sud i quali hanno limitato l’analisi storica ai fatti senza far seguire una progettualità per i loro territori.

Giuseppe Lupo, tuttavia, non è solo prosatore. Nel 2014 entra a far parte del Consiglio direttivo della MOD-Società italiana per lo studio della modernità letteraria, fino al 2017 quando inizia la sua direzione alla rivista “Studi Novecenteschi”. Dirige, inoltre, la collana “Novecento.0” presso Hacca Editore, la collana “Atlante letterario” presso Morcelliana-Scholè e, in condirezione, la rivista “Appennino”. È consulente presso l’editore Marsilio e del festival culturale “Incipit” di Genova. Collabora alle pagine culturali del “Sole-24Ore”. È, inoltre, direttore scientifico del corso di alta formazione “Il piacere della scrittura” presso l’Università Cattolica di Milano ed è membro di giuria di diversi premi letterari.

Sono i tanti modi con cui alimenta ed esprime la sua passione per la cultura letteraria. “A me piace credere che la letteratura non sia cronaca e che i romanzi non certifichino il presente. A me piace l’idea che i libri siano il resoconto di luoghi sognati”, dichiara Giuseppe Lupo per il quale i libri sono destinati a viaggiare come i messaggi inseriti in bottiglie e lanciati in mare verso destini ignoti. E chissà, si augura, che insieme, un giorno anche non lontano, si possa trasformare i sogni in realtà e rendere i ricordi e la fantasia equivalenti.

Anna Mollica

 

 

PUBBLICAZIONI

 

Giuseppe Lupo Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta, Vita&Pensiero Editore, Milano, 1996.

Giuseppe Lupo L’americano di Celenne, Marsilio Edizioni, Venezia, 2000

Giuseppe Lupo Poesia come pittura. De Libero e la cultura romana (1930-1940), Vita&Pensiero Edizioni, Milano, 2002

Giuseppe Lupo Le utopie della ragione. Raffaele Crovi intellettuale e scrittore, Aliberti Editore, Roma, 2004

Giuseppe Lupo Ballo ad Agropinto, Marsilio Edizioni, Venezia, 2004

Giuseppe Lupo La carovana Zanardelli, Marsilio Edizioni, Venezia, 2008

Giuseppe Lupo L’ultima sposa di Palmira, Marsilio Edizioni, Venezia, 2011

Giuseppe Lupo Vittorini politecnico, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2011

Giuseppe Lupo Viaggiatori di nuvole, Marsilio Edizioni, Venezia, 2013

Giuseppe Lupo Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma, Marsilio Edizioni, Venezia, 2014

Giuseppe Lupo L’albero di stanze, Marsilio Edizioni, Venezia, 2015

Giuseppe Lupo Mosè sull’Arca di Noè. Un’idea di letteratura, Editrice La Scuola, Brescia,

 

2016

 

Giuseppe Lupo La letteratura al tempo di Adriano Olivetti, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2016

Giuseppe Lupo Gli anni del nostro incanto, Marsilio Edizioni, Venezia, 2017

Giuseppe Lupo Breve storia del mio silenzio, Marsilio Edizioni, Venezia, 2019

Giuseppe Lupo e Raffaele Nigro Civiltà Appennino, Donzelli Editore, Roma, 2020

Giuseppe Lupo Le fabbriche che costruirono l’Italia, Il Sole24Ore Edizioni, Milano, 2020

Giuseppe Lupo A Praga con Kafka, Giulio Perrone Editore, Roma, 2020

Giuseppe Lupo Il pioppo del Sempione, Aboca Edizioni, Sansepolcro (AR), 2021

Giuseppe Lupo La Storia senza redenzione. Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli, Rubbettino   Editore, Soveria Mannelli (CZ), 2021

 

 

Link:

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Lupo

https://docenti.unicatt.it/ppd2/it/docenti/03881/giuseppe-lupo/profilo

https://docenti.unicatt.it/ppd2/it/docenti/03881/giuseppe-lupo/profilo

Profilo

Giuseppe Lupo si è laureato in Lettere moderne nel 1986, presso l’Università Cattolica di Milano, con una tesi sul poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli. Nel 2002 ha conseguito il dottorato di ricerca in “Critica, teoria e storia della letteratura e delle arti” presso l’Università Cattolica di Milano. A partire dall’anno accademico 2003-04 è stato professore a contratto, presso la sede bresciana dell’Università Cattolica, dell’insegnamento di Letteratura italiana e forme della rappresentazione contemporanee. Dal gennaio 2009 è stato ricercatore universitario, per la classe di concorso L-FIL-LET/11, Letteratura italiana contemporanea, presso l’Università Cattolica di Milano e di Brescia. Dal maggio 2015 è professore associato di Letteratura italiana contemporanea presso la stessa Università. Nell’agosto 2018 ha ottenuto l’abilitazione per la prima fascia relativa alla classe di concorso L-FIL-LET/11, Letteratura italiana contemporanea.

 

Ha pubblicato i saggi: “Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta” (Vita e Pensiero 1996; nuova ediizione aggiornata Vita e Pensiero 2011; Premio Basilicata 1998); “Poesia come pittura. De Libero e la cultura romana (1930-1940)” (Vita e Pensiero 2002); “Le utopie della ragione. Raffaele Crovi intellettuale e scrittore” (Aliberti 2003), “Vittorini politecnico” (Franco Angeli 2011), “Mosè sull’arca di Noè. Un’idea di letteratura” (La Scuola 2016), “La letteratura al tempo di Adriano Olivetti” (Edizioni di Comunità 2016), “Civiltà Appennino. L’Italia verticale tra identità e rappresentazione” (con R. Nigro, Donzelli 2020), “Le fabbriche che costruirono l’Italia” (Sole-24Ore 2020); e le antologie “I secoli dei manifesti. Programmi delle riviste del Novecento” (Aragno 2006), “L’anima meccanica. Le ‘visite in fabbrica’ in ‘Civiltà delle Macchine’ (1953-1957)” (Avagliano 2008) e “Fabbrica di carta. I libri che raccontano l’Italia industriale” (con G. Bigatti, Laterza 2013). L’elenco completo delle pubblicazioni è alla voce “Pubblicazioni”.

Dal 2015 dirige la rivista “Appennino” e dal 2017 la rivista “Studi Novecenteschi”.

Nel triennio 2014-2017 ha fatto parte del Consiglio direttivo della MOD-Società italiana per lo studio della modernità letteraria.

È direttore scientifico del corso di alta formazione “Il piacere della scrittura” presso l’Università Cattolica di Milano.

È consulente presso l’editore Marsilio.

Dirige la collana “Novecento.0” presso Hacca Editore e la collana “Atlante letterario” presso Morcelliana-Scholè.

Collabora attivamente alle pagine culturali del “Sole-24Ore”.

È consulente del festival culturale “Incipit”, che si tiene a Genova.

Fa parte delle seguenti giurie di premi letterari: Premio Giuseppe Berto, Premio Letteratura d’Impresa, Premio Basilicata, Premio Giuseppe Dessì, Premio Carlo Levi, Premio Omegna e, per l’anno 2018, Premio Mondello.

È autore dei romanzi “L’americano di Celenne” (Marsilio 2000; Premio Giuseppe Berto 2001, Premio Mondello, Prix du premier roman 2002), “Ballo ad Agropinto (Marsilio 2004), “La carovana Zanardelli” (Marsilio 2008; Premio Grinzane Cavour-Fondazione Carical, Premio Carlo Levi), “L’ultima sposa di Palmira” (Marsilio 2011; Premio Selezione Campiello; Premio Vittorini), “Viaggiatori di nuvole” (Marsilio 2013; Premio Giuseppe Dessì; tradotto in Ungheria), “L’albero di stanze” (Marsilio 2015; Premio Alassio Centolibri; Premio Frontino-Montefeltro; Premio Palmi), “Gli anni del nostro incanto” (Marsilio 2017; Premio Viareggio-Rèpaci, Premio Corrado Alvaro, Premio Acri-Padula), “Breve storia del mio silenzio” (Marsilio 2019), “Il pioppo del Sempione” (Aboca 2021), della raccolta di scritti “Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma” (Marsilio 2014) e del reportage letterario “A Praga con Kafka” (Giulio Perrone Editore 2020).

Giuseppe Lupo diventa cittadino onorario di Atella, sua città …

https://www.rainews.it › basilicata › video › 2021/08

 

30 ago 2021 — Nel servizio, le voci dello scrittore Giuseppe Lupodel sindaco di Atella, Gerardo Petruzzeli, e dell’assessora alla Cultura, …

 

L’amministrazione Comunale di Atella ha conferito al concittadino Prof. Giuseppe Lupo Professore di Letteratura italiana Contemporanea all’Università Cattolica di Milano, Scrittore, saggista la Cittadinanza Onoraria e l’incarico di Ambasciatore della Cultura del Città di Atella (prov. Potenza). Sono intervenuti: Gerardo Lucio Petruzzelli, Sindaco di Atella. Anna Maria Bocchetti, Assessore alla Cultura di Atella.

Potere e parità – Intervista a Giuseppe Lupo

YouTube · Redazione Linkiesta

“Breve storia del mio silenzio” di Giuseppe Lupo: la lettura è l’antidoto alla paura della morte

Oubliette Magazine 10/08/2020

I libri si nutrono di parole.

Parole che descrivono situazioni, parole che raccontano vicende, parole che sostanziano un intreccio, parole che danno vita a personaggi e voce ai sentimenti.

Poi ci sono libri in cui non la dimensione umana ma quella eterea delle parole è la protagonista indiscussa, singolari libri che parlano di parole e libri in un infinito gioco di rimandi metaletterari.

Questo è il caso di Breve storia del mio silenzio (Marsilio Editore, 2019, pp. 203), profondo romanzo autobiografico di Giuseppe Lupo selezionato tra i dodici candidati al Premio Strega.

Quando Giuseppe ha quattro anni nasce la sorellina. Per il trauma il bambino perde la voce; inizia così un peregrinare da un medico all’altro, ognuno dei quali emette una diversa diagnosi e prescrive una diversa terapia.

Tra scienza e rimedi casalinghi, il piccolo ricomincia a parlare ma ogni tanto fa capolino la paura di non essere guarito. La mamma, maestra, gli insegna le lettere dell’alfabeto proprio per evitare una ricaduta.

Casa Lupo è frequentata da intellettuali e il bimbo, affascinato, ascolta e tace, suscitando la curiosità di tutti. Giuseppe e i genitori si recano a Milano; la mamma spera negli effetti benefici del clima sul figlio, il padre è orgoglioso di mostrargli una delle culle dell’Illuminismo.

Giuseppe comincia le elementari e frequenta lo studio paterno dove sfoglia libri e apprende parole. Quando Lupo ha sedici anni la famiglia si trasferisce in una nuova casa costruita su misura.

Il ragazzo sogna di lasciare la Basilicata per raggiungere Milano. Il 23 novembre 1980 il violento terremoto dell’Irpinia pone fine “alla preistoria della fanciullezza” del protagonista.

Nell’ottobre 1981 il ragazzo intraprende gli studi universitari a Milano, conclusi i quali egli si lancia in una nuova, ambiziosa avventura: accarezza il sogno di diventare scrittore. L’inizio del cammino è irto di difficoltà e costellato di spostamenti che lo conducono a Venezia.

La parola latina infans indica il bambino che ancora non sa parlare. Quindi il termine ‘infanzia’ reca già in sé la radice di ‘parola’. E l’infanzia di Lupo è intessuta di parole. Parole insegnategli dai genitori che si dilettano a sperimentare un gioco pedagogico americano che permette di memorizzare i nomi di oggetti scritti su un cartoncino.

Poi, a quattro anni, l’infans Giuseppe – che sta articolando le prime frasi – viene travolto da un evento che lo traumatizza e lo precipita nell’afasia. È una forma di protesta, un grido di aiuto. Il piccolo è scivolato nel labirinto di un silenzio che lo inghiotte.

Quel giorno […] le parole si fanno nemiche e io inizio a provare il loro male, che è una specie di voragine di cui non si vede il fondo. La storia del mio silenzio incomincia così.”

In casa sua Giuseppe assiste a un viavai di intellettuali, quelli del Circolo La Torre, animato dal padre, il cui esponente di punta è il poeta Sinisgalli, quasi un nume agli occhi del bambino.

E poi la frequentazione con rappresentanti di case editrici prestigiose, la familiarità con i fratelli Ottaviano, titolari di una tipografia; tutto concorre a colorare di parole l’infanzia di Lupo.

Nella sua tenera mente le poesie hanno il sapore della liquirizia e le idee la consistenza della cenere. Poi, in una notte di pioggia e tempesta, egli riacquista il dono della favella. Secondo la madre è proprio merito dell’acqua e del suo potere curativo se il figlio è di nuovo in grado di parlare. Essa ha una metrica che ha la facoltà di restituire al bambino il ritmo delle parole.

E d’altra parte un consistente segmento della vita di Lupo si svolge a contatto con l’acqua: quella dei Navigli e del Lambro a Milano, quella del mare a Venezia, tappe di una lunga peregrinazione letteraria che fa di Lupo un moderno Odisseo.

Se da piccolo Giuseppe è preda dell’afasia, un nuovo, minaccioso silenzio incombe su di lui quando, adulto, lotta per diventare scrittore. È difficile trovare una storia da raccontare, è difficile trovare parole, è difficile sfuggire al fantasma del fallimento, un fantasma cui Giuseppe dà il nome di Quasimodo. Ed ecco allora il ruolo salvifico dell’acqua.

Ascolta la pioggia […] ti porterà dove tu desideri. […] Non sapevo dove mi avrebbero portato le dita sui tasti, ma l’acqua aveva svegliato le parole. Piano piano, canale dopo canale, sarebbero arrivate sul foglio.”

Giuseppe Lupo

E davvero vi arrivano; le idee prendono forma e consistenza e la carta imprigiona le parole. Un fluire ininterrotto che allontana lo spettro di Quasimodo e ridà voce a Lupo. Perché per lui scrivere significa salvarsi e consegnarsi all’immortalità.

Il 23 novembre 1980 è il terminus post quem nella vita di Giuseppe. Quella notte segna l’incipit di una giovinezza più consapevole ma segna anche la sua conversione alla lettura: una scoperta, una folgorazione sulla via di Damasco. Il sisma gli insegna che essa non è un obbligo o una medicina ma salvezza.

La lettura è l’antidoto alla paura della morte, l’inno alla vita dei sopravvissuti. Da Memorie del sottosuolo Cristo si è fermato a Eboli, in compagnia dei libri, accanto a loro e tra le loro pagine, Lupo trova la propria libertà.

Il baricentro dell’azione oscilla tra due poli, due aree geografiche ed etiche distinte: la Basilicata e Milano. La prima è la terra natia, la Madre terra che ha generato Giuseppe, gli ha dato carne, sangue e nutrimento. Essa rappresenta le radici, il legame con il passato, con le tradizioni e con la famiglia.

Milano è invece l’irruzione della modernità, la metropoli pulsante di vita, brulicante di luci, colori e suoni; essa è la sfavillante città dell’Illuminismo, la madre adottiva dell’autore che, respirandone l’aria, ne assimila l’essenza in ogni cellula fino a diventare un membro di quel corpo vivente e palpitante. In un’intervista a Rai Cultura Lupo afferma che “la Basilicata è il labirinto dell’Appennino, Milano è la geometria razionale della pianura”.

Nel processo maieutico della sua scrittura, Lupo si lascia condurre dall’acqua. E questo connubio con l’elemento liquido si riflette nella sua prosa che è fluida, fluente e scorrevole. La narrazione avanza e regredisce per poi proseguire ancora; la progressione temporale spesso si interrompe per lasciare spazio al ricordo e poi riprende il filo, quasi – ed ecco ancora far capolino il tema dell’acqua – la risacca del mare sul bagnasciuga della memoria.

L’autobiografismo di Lupo unisce nostalgia e sagacia, affetto e ironia. Il dialogo è pressoché inesistente in un’opera che si configura come un delicato e sentito monologo interiore.

E possiamo affermare con sicurezza che Giuseppe Lupo ha davvero sconfitto il fantasma di Quasimodo.

 

                                                                                                            Written by Tiziana Topa

LE VIE DELL’APPENNINO saggio di Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo

“Le vie dell’Appennino” (Donzelli Editore) è un ebook della serie “Civiltà Appennino” scritto da Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo, e curato dalla Fondazione Appennino che, con questo saggio, torna ad accendere i riflettori sui territori interni, seguendo prospettive geografiche e concettuali valide a definire il corso della loro tutela e valorizzazione. Un nuovo corso che capovolge il punto di osservazione sulla penisola italiana, non più intesa come Nord, Centro e Sud bensì come tre “paralleli” distintivi di tre macroaree, relative alle coste adriatiche e tirreniche, e alla dorsale centrale. Da qui parte, appunto, la narrazione sull’Appennino, e più in generale sulle aree interne, custodi dell’ampio patrimonio naturalistico, paesaggistico, da millenni attraversato da generazioni di uomini e di donne che hanno lasciato tracce del loro passaggio nell’architettura, nell’arte, nella letteratura. Testimonianze da cui si è riusciti, poi, a tesserne la storia e le innumerevoli storie di tradizioni, modi di vita e devozione.

L’Appennino è contemplazione e ricerca, memoria e utopia, fuga dai miti e rifondazione di altri miti. Terra che non è più Oriente e non è ancora Occidente, eppure li contiene entrambi. Il luogo

dove le fole del vento portano le spore dei sogni. L’Appennino è il legame orografico e politico tra il Mediterraneo e l’Europa, come la grande ascissa che collega le ordinate della povertà e del benessere economico. Scrivono, così, Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo in un brano del loro «Manifesto di una scrittura d’Appennino». I due autori, partendo da quelle evidenze, intraprendono una riflessione che si estende sulle dinamiche dei popoli da sempre abituati, per motivi diversi, a spostarsi, a viaggiare, ad emigrare. Per individuare, a livello globale e locale, i motivi storici, politici ed economici alla base di contesti oggi assodati e che, invece, andrebbero rivisti alla luce di un quadro internazionale più preciso. Lupo parla, infatti, di un Medio Occidente espresso proprio da queste latitudini; Nigro spiega come, da queste latitudini, si siano aperti e inseguiti orizzonti differenti.

Il lavoro di scavo dei due autori procede nella cultura insediatasi su tali vette, per coglierne la comune anima e le variabili sociali che ne hanno stabilito la maggiore, prima, e la minore, poi, densità abitativa. Riflessioni da cui riemergono le peculiarità, dunque le differenze, tra le coste pianeggianti e le alture sconnesse, le quali hanno inevitabilmente condizionato stili e contenuti letterari di chi vi ha scritto, i sogni di chi le ha abitate, i progetti futuri. I progetti, appunto.

La progettualità è la nota distintiva su cui va basata la ripresa delle nostre montagne, delle nostre valli e colline. “L’idea di fondo è che attraverso politiche mirate e l’utilizzo delle nuove tecnologie sia possibile creare le condizioni affinché le persone abbiano l’opportunità di scegliere di rimanere, di tornare o anche di arrivare per la prima volta in un territorio che è solitamente visto come un luogo da cui partire”. Ne è convinto il cantautore Vinicio Capossela in un passaggio del suo contributo al testo.

Anna Mollica

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