STELLA JOSEPH

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STELLA JOSEPH

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Muro Lucano (prov. Potenza), 13 giugno 1877 – New York, 5 novembre 1946

Pittore lucano naturalizzato statunitense; in America le sue doti artistiche vengono apprezzate Si interessò ai movimenti dadaismo e simbolismo. Fu definito “il primo futurista d’America” e divenne noto per le sue descrizioni dell’America industriale. Venne associato al Precisionismo, un movimento artistico statunitense attivo fra gli anni dieci e gli anni quaranta del XX secolo.

Giuseppe Michele Stella nasce a Muro Lucano il 13 giugno del 1877. Di buona famiglia, viene mandato a Napoli a studiare al liceo. A 18 anni, invece di proseguire per l’università, si imbarca per l’America, passando per Ellis Island, per raggiungere il fratello maggiore, Antonio, affermatosi come medico.

Sulle orme del fratello s’iscrive alle facoltà di Medicina e poi a Farmacia, sempre a New York. Ma non tarda a rendersi conto che la propria vocazione è un’altra: l’arte figurativa. Studia con artisti importanti, come William Merritt Chase o Robert Henry, che lo introduce alla rappresentazione della vita quotidiana dei quartieri più poveri di New York.

A partire dal 1905, Stella inizia a pubblicare i suoi disegni sulla condizione difficile degli immigrati. Nel 1906, il suo dipinto The Old Man (“Il vecchio”) viene esposto nella Society of American Artists di New York e due anni dopo a Pittsburgh, a illustrare i quartieri industriali.

Ma Stella ha nostalgia della sua origine e, nel 1909, torna in Italia, a Muro Lucano. Ma ormai la Basilicata è troppo stretta per un artista alla ricerca di nuove forme espressive. Inizia un tour europeo che lo porta a Parigi, dove resta impressionato dall’arte dei Futuristi italiani come Boccioni, Carrà e Severini.

Da artista viene introdotto nel salotto di Gertrude Stein, dove ha modo di conoscere Matiss, Picasso, Modigliani. Torna negli States solo nel 1913, mentre l’Europa è alla vigilia della guerra. Espone con altri pittori europei, il suo “Battle of lights”, fortemente influenzato dal Futurismo.

Partecipa al New York Dada con Duchamp, Picabia, Man Ray. Tra il 1917 e il 1918 dipinge “Il ponte di Brooklyn” che, negli anni, sarà uno dei suoi soggetti preferiti. Epico, invece, è il suo “Voice of the City of New York”, quasi un politico futurista, ode alla metropoli.


Il ponte di Brooklyn di Joseph Stella

 

Fu tra i fondatori e tra i primi direttori della Society of Independent Artists negli Stati Uniti, paese di cui prese la cittadinanza nel 1923. Nel corso della vita sperimentò numerose correnti artistiche differenti dal Futurismo, come ad esempio il cubismo, il simbolismo, il surrealismo, il dadaismo e l’astrattismo.

Pittore ormai affermato, nel clima effervescente degli USA del tempo, Stella torna spesso in Europa, ad alimentare la sua vena artistica.

Le sue prime opere sulle deplorevoli condizioni di vita nella città tradivano un’evidente influenza rembrandtiana. Nel 1908 fu incaricato di realizzare una serie di disegni e incisioni circa i quartieri industriali di Pittsburgh, destinati ad illustrare uno studio sociologico pubblicato col titolo di “The Pittsburgh Survey“.

 

Link

https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Stella

http://emigrazione.ancibasilicata.it/2016/05/joseph-stella-muro-lucano.html

https://www.lucaniroma.it/arte-novecento-in-lucania-joseph-stella-giacinto-cerone-1896-2004/

https://www.freetopix.net/2021/04/21/giuseppe-joseph-stella-un-artista-lucano-in-prestito-agli-stati-uniti/

Arte Del Novecento In Lucania: Da Joseph Stella A Giacinto Cerone. 1896-2004 (lucaniroma.it)

Arte del Novecento in Lucania: da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004

In coincidenza con la mostra organizzata dal MACRO nel decennale della scomparsa dello scultore Giacinto Cerone (Melfi 1957-2004), l’Associazione dei Lucani a Roma, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Municipio Roma II, ha organizzato l’incontro:

Arte del Novecento in Lucania. Da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004.

Ne ha parlato lo storico dell’arte Giuseppe Appella che ha conosciuto e in molti casi posto all’attenzione del mondo artistico i corregionali che hanno partecipato alle fasi più creative dell’arte moderna.

In occasione del 150° dell’Unità d’Italia, si erano intensificati studi ed approfondimenti sui contributi più significativi che personalità delle varie regioni avevano fornito alla costruzione del patrimonio nazionale di conoscenze, nell’arte come in altre discipline. Tra gli autori di rilievo , personalità che in varie occasioni erano stati protagoniste di eventi promossi dall’Associazione: Michele Tedesco, Mauro Masi, Rocco Falciano.

Il quadro emergente è stato spesso un sorprendente contrasto tra territori percepiti come estranei ai grandi movimenti e, invece, la presenza di fermenti in piena sintonia con i tempi, nel campo del cinema, della comunicazione, della musica alla base dell’ambiziosa candidatura di Matera a Città della Europea della Cultura 2019.  Scelta ambiziosa ma non infondata come è risultato dalla sua inclusione tra le 6 “finaliste”.

L’incontro del 6 giugno al MACRO, è parte dell’importante, necessario lavoro di diffusione della conoscenza relativa al grande patrimonio di ricchezza creativa e bellezza che anche la Basilicata conferisce al mondo dell’arte.

Il programma della serata è iniziato con la visita alla mostra di Giacinto Cerone svolta insieme alla curatrice Benedetta Carpi De Resmini. Seguito da brevissimi saluti del presidente dei Lucani a Roma, Filippo Martino e dall’Assessore alla Cultura del Municipio Roma II°, Agnese Micozzi che ha favorito il conferimento del patrocinio del Comune di Roma Capitale all’iniziativa, in riconoscimento della rilevanza generale dell’evento Arte del Novecento in Lucania.

Da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004.

A seguire la relazione di Giuseppe Appella, momento centrale della serata che ha tracciato un’attenta analisi della vicenda esistenziale e creativa dell’arte lucana, supportando i vari momenti dell’accidentato percorso con una ampia, ma rigorosa, selezione di immagini di riferimento.

La costante esplorazione linguistica, presente negli artisti lucani cresciuti altrove (nel susseguirsi di generazioni, basta contare i nomi di Stella, Marino di Teana, Masi, Falciano, Guerricchio, Santoro, Pompa, Cerone), è posta tra due date: 1896-2004, la partenza da Muro Lucano per New York di Joseph Stella e la morte a Roma di Giacinto Cerone.

Sono tanti gli elementi che accomunano i due artisti, allontanatisi dai loro luoghi di origini alla stessa età, quindi la conferma di far parte, non solo agli inizi del secolo XX, di un’emigrazione non estranea nemmeno alla cultura artistica, la sconfessione di quella storia, tutta gattopardesca, di artisti che si guardano costantemente indietro, privi di collegamenti, di mercato e di collezionisti, di presenze nelle grandi esposizioni nazionali.

Napoli, da diversi decenni, ha perduto il ruolo di centro di produzione e di proposte, la pittura meridionale che, per tutto l’Ottocento, aveva trovato nell’Istituto di Belle Arti di Napoli e di Palermo due sicuri punti di riferimento, dopo l’Unità comincia a guardare a Roma e a Milano se non a Parigi o all’America.

In questo contesto, ricostruire la storia dell’arte lucana della prima metà del Novecento è arduo e difficile, tanta la fedeltà alla tradizione ottocentesca, sostenuta dalla classe al potere e quindi dura a morire, erosa dall’arte emergente, “nuova”, espressione di bisogni impensabili per quanti, abituati ai tempi lenti dei nostri paesi di allora, si erano ostinatamente seduti su una statica fedeltà di comunicazione.

La conversazione è servita, dunque, a sollecitare alcuni interrogativi e a evidenziare le radici linguistiche su cui lavorarono i giovani artisti della fine degli anni Cinquanta, sostenuti da Leonardo Sinisgalli attraverso “Civiltà delle Macchine”, e i giovani degli anni Ottanta che oggi troviamo immersi nella contemporaneità non solo italiana. Non è un caso se, nel 2011, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dedica a Giacinto Cerone una grande mostra delle sculture e delle ceramiche, seguita dall’antologica di disegni ora al MACRO, e, proprio in questi giorni, la Calcografia Nazionale, esponendo le sue opere dagli anni Sessanta a oggi, riconosce a Ninì Santoro, nel 2011 Premio Presidente della Repubblica, un posto di primo piano nella storia della grafica e della scultura del Novecento.

Ha chiuso la serata uno splendido intervento del prof. Giampaolo D’Andrea, Capo Gabinetto del MiBAC, intervenuto sia nel merito di specifici passaggi della relazione di Appella che del quadro complessivo del contributo degli artisti lucani all’arte del Novecento. Sottolineando al riguardo il particolare significato assunto dalla serata con il suo svolgimento in una sede prestigiosa come il MACRO.

Giuseppe-Joseph Stella, un artista lucano in prestito agli Stati Uniti

Giuseppe-Joseph Stella, un artista lucano in prestito agli Stati Uniti

Di Rosario Pinto  APR 21, 2021

Quella di Giuseppe Stella è una vicenda artistica molto complessa e la sua personalità si rivela particolarmente intrigante giacché la sua figura svolge un ruolo molto particolare nel contesto artistico della prima metà del ‘900, quello di ‘ponte’ tra due mondi, l’Europa e gli Stati Uniti d’America.

Giuseppe Stella è un artista, di origine lucana, che sviluppa il pieno della propria attività creativa nella prima metà del ‘900, proponendosi, da protagonista, come figura che accomuna nella sua persona, fondendo bene le due cose, sia un’anima tutta mediterranea e, comunque, europea, sia una conoscenza abbastanza profonda della realtà americana e dei processi di innovazione che si sviluppano nel nuovo continente con l’aprirsi del secolo del ‘900, facendo sì che le arti assumano un ruolo del tutto inedito nelle dinamiche storiche e sociali.

Giuseppe – ma c’è chi, non senza qualche ragione, preferisce dire Joseph – Stella  era partito dall’Italia Meridionale, dove era nato, a Muro Lucano, nel 1877 e dove aveva trascorso gli anni giovanili venendo a studiare, poi, a Napoli, di dove, si sarebbe allontanato per seguire le orme del fratello Antonio già trapiantato di là dell’Oceano.

Giuseppe Stella quando scopre di avere una sua propria vocazione artistica si preoccupa di acquisire una formazione accurata ed attenta, imparando le tecniche del mestiere e provvedendo a curare di maturare una sua propria capacità di costruzione della composizione rapportandosi al dato fenomenico con acuta capacità di saper rendere non semplicemente una immagine banalmente mimetica delle cose, quanto, piuttosto,  una intensa raffigurazione del loro dato.

Gli era stato di grande aiuto, in questo processo formativo, che è non soltanto d’apprendimento delle tecniche figurative, ma anche di indirizzo contenutistico, la personalità di Robert Henri, artista americano legato all’ambiente della Ashcan School, un contesto artistico che, sulla costa orientale, tra Filadelfia e New York, va lanciando un messaggio di rinnovamento creativo, tentando di ribaltare il dettato postimpressionistico in premio di un riorientamento creativo che faccia perno della consistenza del ‘vero’ non soltanto come referenza oggettuale, ma anche come dettato di una condizione sociale, che viene identificata nel modo di vivere delle classi più svantaggiate.

Stella potrebbe essere, insomma, un artista rivolto a produrre una intensa testimonianza figurativa della realtà delle cose, legato com’è all’ambiente di Ashcan e considerando la sua figura in rapporto anche a quella di George Bellows e del suo indirizzo definibile di ‘Realismo Sociale’, ma presto avverte dentro di sé l’urgenza di superare la barriera, il confine della figurazione, come asciutta riproduzione del dato, per rivolgersi a fornire una rappresentazione, diversamente modellata di tutto quanto lo circonda.

Ciò lo porta ad accostarsi alle nuove esperienze creative che vede crescere intorno a lui e in un suo viaggio a Parigi e poi anche in Italia – in una sorta di ritorno alle origini, di più, alle radici stesse della sua terra ed ai suoi ancoraggi per certi aspetti primordiali e lontani e, proprio perciò, profondamente veri ed umani – riceve la rivelazione, si potrebbe quasi dire, della necessità per lui di cambiar rotta ed indirizzo di ricerca.

Stella capisce bene che la cultura della sua terra d’origine ha certamente una sua consistenza ed un valore antropologico molto intenso e fecondo, ma sa anche che questa fecondità deve produrre dei frutti spendibili nella realtà contemporanea, nel presente in cui si vive. Sembra voler guardarsi intorno, il Nostro, e scopre il Futurismo e gli si fa disvelamento creativo – a nostro giudizio – soprattutto quella linea di indirizzo sulla quale medita Boccioni, una linea che ha saputo imprimere una svolta decisiva alla ricerca artistica più accorta e matura nel momento in cui ha mostrato come la sensibilità divisionista potesse essere meritevole di un più maturo affondo, che le consentisse di compiere il salto, nel rapporto col reale fenomenico, da una logica di referenzialità ‘oggettuale’ ad una prospettiva di relazione ‘oggettiva’.

C’è, indiscutibilmente, quindi, ad agire su Giuseppe Stella, il richiamo attrattivo delle logiche futuriste, ma, forse, potrebbe essere più giusto ed appropriato riconsiderare di più limitata portata la capacità che può avere avuto d’incidere su di lui l’esaltazione futurista della velocità o la sovresposizione del mito superomistico.

Piuttosto, continuiamo a dire, un Boccioni fortemente riflessivo – un Boccioni, vorremmo tentare di suggerire, più avanti del Futurismo stesso – può essere stato chi gli ha fatto risuonare all’orecchio il campanello dell’istanza del cambiamento e, non meno, può avere esercitato un’influenza su Stella lo stesso Marcel Duchamp, con cui il Nostro si troverà, fianco a fianco, nell’appuntamento fatidico del 1913 all’Armory Show.

Le ricerche sul tema della luce, ma anche il tentativo che Stella mette in campo di restituire un’immagine piena e travolgente di New York costituiscono l’articolato insieme di fattori determinanti alla cui stregua viene a disporsi la produzione del Nostro che verrà srotolandosi dagli anni ‘20 fino agli anni della sua scomparsa che avviene nel 1946.

Stella, Ponte di Brooklyn, 1919-20

 

Arturo Lancellotti che scrive di Stella nel corso degli anni ’30 è già in grado, a quella data, di offrire una testimonianza informata ed abbastanza completa della vicenda creativa dell’artista. Né manca, questo critico, di additare una sua personale preferenza – come dire – per le risultanze di ordine più tradizionalista della pratica creativa del Nostro, risultanze che si propongono articolate, in particolare, “secondo gustose forme decorative … decorazioni floreali, e ritratti”, la linea, insomma, che precede la svolta cosiddetta ‘futurista’ di Stella. E queste cose Lancellotti dichiara candidamente di preferire … ai quadri futuristi”, giacché questa produzione di netta impronta realistica mostra di essere “condotta con una tecnica che più [si] ravvicina alla grande arte del passato”.

G. Stella, Battaglia di luci

Di fatto, questa nota, al di là della condivisibilità del giudizio valutativo, ci consegna un importante attestato della intensa capacità che l’artista è in grado di dispiegare sul piano tecnico. Basterà già solo osservarne L’Autoritratto di profilo per rendersi conto di quanto profondamente incisivo egli sapesse rendere il suo segno, guadagnandogli una impressa corrusca di forte pregnanza di taglio espressionistico al cui interno non s’annidano, però, le asprezze lancinanti di un Grosz, ad esempio, quanto, piuttosto, il frutto impietoso di un’analisi sociale che può osservare la stessa America che andavano descrivendo Ben Shan come Grant Wood, e, non meno Benton e perfino lo stesso Hopper.

Giuseppe Stella sceglie di non soffermarsi in modo imprimentemente insistito sulla raffigurazione delle cose ed il suo Ponte di Brooklyn è piuttosto una fantasmagoria luminosa ed un intreccio di linee che si fanno raggi di luce e proiezioni laminari e ciò produce l’effetto di lasciar scivolare man mano l’immagine che l’artista viene creando in una zona fluida e snervante ove la datità delle cose, pur senza sfuggire all’appello della sua presenza significativa nel contesto narrativo dell’opera, si presenta, però, come in tralice, sfuggente ed inafferrabile al di là della suggestione psicologica che è in grado di destare.

Difficilissimo, insomma, si rivela il compito di etichettare questo artista, che, a ben vedere, non fu, però, nemmeno un eclettico: è stato osservato che può meritare una iscrizione nel novero ‘precisionista’, anche se la sensibilità creativa di Stella trova difficoltà, a nostro giudizio, ad equipararsi alle dinamiche figurative che vanno, ad esempio, nel segno quasi di una prolessi ‘iperrealista’, da Sheeler alla O’Keeffe.

Piuttosto, come abbiamo già messo in evidenza, è la ‘Scuola di Ashcan’ – pensiamo, tra gli altri, in questo contesto, anche ad un artista come George Luks – ciò che potrebbe costituire, almeno in alcune scansioni formali che distinguono e perimetrano tale contesto, il punto di riferimento cui ragionevolmente rapportare l’esperienza figurativa di Stella, indirizzandone la consistenza morale.

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