DEL ZIO BASILIDE

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DEL ZIO BASILIDE

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Melfi 12 giugno 1839 – 18 dicembre 1919

Medico, fratello minore del patriota Floriano Del Zio (vedi scheda), studioso di visione liberale progressista, vicino alle posizioni di Giustino Fortunato, ne segue le orme nel versante degli studi storici, incentrati sulla storia locale come aspetto fondamentale della storia nazionale. noto soprattutto per le opere sul brigantaggio postunitario (in particolare del Vulture-Melfese) e sul suo maggior esponente Carmine Crocco.

Nasce a Melfi il 12 giugno 1839 da Tolomeo e Anna Maria Mandile e compie i primi studi presso il Seminario vescovile. Ebbe tra i suoi maestri Luca Araneo e Raffaele Tramutoli, del quale ricorda ma credo con errore di datazione:

“Negli anni 1845-50 eravamo a scuola da D. Raffaele Tramutoli, sette od otto giovani dell’età di diciotto nei diciannove anni”.

Iscrittosi all’università di Napoli, avvertì le ristrettezze imposte alla famiglia da un dissesto finanziario. Addottoratosi in medicina nonostante le difficoltà economiche, rientra a Melfi dove vive in qualità di medico condotto e solo più tardi deciderà di accettare un lavoro come ufficiale medico dell’esercito. Fu probabilmente durante questo soggiorno che conobbe il poeta Di Giacomo, del quale dirà “Io ho avuto l’onore di conoscere Salvatore Di Giacomo e sono spinto verso lui da una simpatia che mi rende caro quel nome”.

La presenza del fratello Floriano influisce non poco sulla sua formazione politica e culturale, avvicinandolo alla visione liberale e progressista. Vicino alle posizioni di Giustino Fortunato, ne segue le orme nel versante degli studi storici, guardando alla storia locale come un aspetto importante e fondamentale della storia nazionale, dalla quale non si può disgiungere. Gli avvenimenti locali possono essere colti in profondo solo se portati a confronto di quelli più generali. Ciò che rimprovererà a Gennaro Araneo, pur rispettando la sua infaticabile attività di studioso e ricercatore.

Il fratello Floriano viene nominato ai primi del 1960 Capo del Comitato Unitario Nazionale del Melfese e suo primo impegno sarà creare una Giunta insurrezionale. Il mattino del 19 maggio 1860 destina un drappello di giovani melfitani a Potenza e poi a Napoli. In questo drappello di 21 giovani c’è anche Basilide, con il cugino Michele Mancini, con Leonardo Liccione e Giuseppe Sibilla. Nell’agosto del 1860 è tra gli insorti di Melfi.

Nel settembre 1860 si aggrega sul Volturno alle truppe di Garibaldi come Capitano medico e partecipa alla battaglia finale.

Con questi amici e con Giambattista Araneo il 7 maggio 1863 si reca a Torino per un incontro col ministro dell’Interno Silvio Spaventa. Un Comitato lucano sta provando a sottrarre a Melfi la Sotto Intendenza. Vi restò dieci giorni finché non ottenne di essere ricevuto presso il ministero di Grazia e Giustizia, in quanto Rionero chiedeva di trasferire in quel paese il Tribunale. A Torino ebbe modo di conoscere il deputato del Collegio di Melfi, Achille Argentini, che era stato eletto in luogo di Floriano e con il quale discuterà la questione di Rionero. Mentre Araneo e il Mancini rientrarono a Melfi, lui si trattenne a Torino, tornando dalla Capitale del Regno qualche giorno più tardi e fermandosi a Napoli con il Sibilla.

Nominato nel 1870 Ufficiale medico della Guardia Nazionale nel distaccamento di Melfi, viene successivamente destinato alla brigata Basilicata. La legge Pica ha intanto sconfitto il brigantaggio e solo adesso egli comincia a pensare a raccogliere notizie sull’argomento. In caserma conosce negli anni Novanta il brigante Francesco Tinna, che dopo ventiquattro anni di galera fa servizio di acquaiolo, trasportando acqua anche alla caserma. Quotidianamente incontra il Tinna, che pur restio a tornare su un passato che vuole rimuovere, gli racconta storie a cui è stato attore in qualità di capobrigante.

Il 27 gennaio 1874, Basilide, in qualità di rappresentante del Seminario di Melfi firma una citazione contro Celestino Lopino per mancato pagamento del canone di una vigna in località Ognissanti. Appare come firmatario di citazioni fino all’8 novembre 1888, sostenendo una controversia persino con il vescovo Sellitti in qualità di sub- economo dei benefici vacanti del Seminario.

È il 1904, ricorda Basilide e da 34 anni è ufficiale medico a Melfi.

Legge nel settembre 1876 il libro di Giuseppe del Giudice Il giudizio e la condanna di Corradino, ricevuto in dono dal fratello Ireneo e ha modo di ricostruire la fine degli Svevi e il rapporto di Federico con Melfi.

Il 10 ottobre 1881 conosce Giustino Fortunato durante il pranzo dato nell’Istituto Tecnico in onore del senatore rionerese e di Floriano Del Zio, due uomini che hanno aiutato l’Istituto a diventare scuola di Agronomia.

Intraprendente com’è avvia una serie di rapporti epistolari con intellettuali e militari che hanno partecipato alla guerra del brigantaggio in Basilicata, allo scopo di costruire una riscrittura da parte liberale degli eventi sanguinosi che hanno interessato la Basilicata degli ultimi cinquant’anni. Nell’estate del 1903, avendo preso a lavorare a Il brigante Crocco e la sua autobiografia, si mette in contatto con Giuseppe Bourelly, che ha guidato un distaccamento di truppe piemontesi in alta Basilicata al tempo in cui imperversava Crocco, da cui riceve il 6 novembre una lettera nella quale gli racconta come fu ucciso Ninco Nanco. Altro incontro importante avviene in Roma, col generale Emilio Pallavicini.” Mi ricevé con tutta affezione, e giulivo di rivedere un cittadino di Melfi.

Narrandogli che Caruso era morto in Atella, egli si commosse e mi disse: Senta signor Del Zio, se Caruso non avesse avuto nemici di piccoli paesi, né odi o rancori privati, il brigantaggio nel Melfese sarebbe stato distrutto in sul nascere. A me rese grandi servizi, ed io l’ho ricordato sempre”.

Altri corrispondenti di cui ho notizia furono il professor Gamurrini, al quale chiede notizie sulle origini di Melfi e il prefetto Niccolò De Luca, che era stato nel 1864 nel Melfese. Da Ancona il De Luca gli scrive una lettera in cui ricorda le sconfitte inflitte a Crocco.

Arriva molto tardi a scrivere i suoi libri. Esordisce infatti solo nell’aprile 1903 con il volume Il brigante Crocco e la sua autobiografia. Memorie e documenti (Melfi, tip. Grieco). Il libro nasce all’indomani della pubblicazione dell’opera curata da Eugenio Massa, Gli ultimi briganti della Basilicata. Carmine Donatelli Crocco e Giuseppe Caruso. Note autobiografiche edite ed illustrate dal Capitano Eugenio Massa.

Nell’introduzione al volume Basilide scrive “Non appena il capitano Massa, aiutante maggiore del 57° fanteria, mi scrisse da Gaeta che intendeva pubblicare l’autobiografia del brigante Carmine Crocco, il mio primo sospetto fu quello di non ritenere il Crocco autore. Ma come l’ho letto, ho dovuto persuadermi della verità su quanto il Massa mi scriveva”.

In questo libro troppi elementi narrati non collimano con le sue visioni degli eventi e seppure egli scriva che “Il mio obbiettivo era semplicemente Crocco nelle sue gesta e nei suoi delitti, dalla diserzione di Gaeta alla pena di morte”, in realtà il suo obbiettivo è correggere le linee di una storia narrata da Crocco troppo dal punto di vista del brigante e dei contadini. Le cui ragioni sono lontane da Del Zio. E lo palesa quando dedica il libro “Alla memoria dei generosi caduti per mano dei briganti difendendo la patria” e preannuncia un secondo libro sul tema: Melfi. Le agitazioni del melfese:” E se un giorno potrò rendere di pubblica conoscenza tutti i moti del Melfese, mi sarà forza ritornare sul lavoro del Crocco e smentire le tante bugie da lui, con ridicolo sussiego scritte, addebitate a comuni, a famiglie, a nomi completamente estranei alla cospirazione borbonica”.

Il libro diventa una collazione continua tra le affermazioni di Crocco e le deposizioni di tanti testimoni, allo scopo di far emergere la verità degli eventi e convincere i lettori che “per Crocco non vi era altra bandiera se non quella del furto, sempre il furto, e non altro che il furto”.  Come non c’è alcuna verità nel racconto della sua fuga dal carcere di Brindisi per lavare l’onta dell’onore macchiato. Nessun aristocratico ha approfittato di sua sorella, perché le deposizioni dei testimoni non ne fanno mai cenno ma parlano di un uomo che ha rubato cavalli e animali da pascolo e ha ucciso solo in ragione del furto.

Una idiosincrasia incontenibile nei confronti del brigante di Rionero, determinata intanto dalla sua condizione di aristocratico liberale e dal suo essere militare nell’esercito della nuova Italia. Il Del Zio vuole scagionare nel suo lavoro i propri concittadini dalle accuse di favoreggiamento della reazione durante gli anni immediatamente postunitari e nei giorni in cui Melfi è stata invasa dalle bande di Crocco.

Raccoglie ricordi e scritti spesso di prima mano conservati nello studio notarile del padre in una corposa e farraginosa opera licenziata nell’ottobre 1904 e pubblicata nel 1905 presso la tipografia Liccione di Melfi: Le agitazioni nel Melfese, il brigantaggio – Documenti e notizie.

Prima di affrontare questo volume do notizia di un altro pubblicato nel 1904 e che elenca le Vittime dimenticate del brigantaggio,1860 – 1864 edito dal Grieco di Melfi.

L’opera preannuncia Le agitazioni nel Melfese di cui ho detto e ha come falsariga il saggio di Giuseppe Bourelly, Brigantaggio nelle zone militari di Melfi e Lacedonia dal 1860 al 1865. E’ dedicata al cugino Mancini: “Tenue segno d’immenso affetto alla memoria del Cav. Uff. Abele Mancini che la patria illustrò ed onorò con l’azione gli scritti e la parola questo lavoro d. d.”.

Il compito dell’autore è raccontare gli avvenimenti funesti accaduti tra il 1850 e il 1865, consultando i processi tenuti davanti al Tribunale Militare o alla Corte d’Assise di Potenza. Ma anche descrivere avvenimenti di cui è stato spettatore, con una visione unitaria e liberale, ma con pietà verso gli sconfitti, verso un popolo soggiogato dai Borbone e dalla violenza della Storia. Una visione hegeliana che mutua dalle idee del fratello Floriano: “Perciò anche  queste plebi non redenti e non affratellate, hanno il dritto di dimandare alla storia quel perdono che ai colpevoli più ostinati la civiltà e la carità non negano; hanno il dritto di averlo perché pagarono troppo amaramente le aberrazioni del momento, scontando col proprio sangue le colpe, delle quali non erano responsabili, e che erano esclusivamente da imputarsi ad un sistema di governo, che non rappresentò altro se non l’ignoranza, la corruzione, la violenza, l’obbrobrio, la negazione di ogni libertà”.

Poi, nonostante la promessa di raccontare storie viste, non riesce a vincere la voglia palingenetica di partire dalle origini del paese, come se il suo scoglio più grande sia costituito dall’Araneo e dalle sue Notizie storiche. Così, le prime cento pagine sono dedicate alla serie dei Normanni, Svevi, Angioini, Doria. Con una particolare attenzione all’affaire del tradimento di alcune famiglie melfitane nel 1528, dove si tira dentro le ricerche del Mancini per dimostrare che tradimento non ci fu,in quanto le forze del Lautrec erano preponderanti e forse avrebbe fatto bene il Caracciolo a cedere alla minaccia francese.

La posizione politica e culturale di Basilio, quale emerge dai suoi libri è quella di un liberale aristocratico che si rifiuta di capire la condizione disperata dei contadini e parteggia sfacciatamente per i rappresentanti della sua classe sociale. Molte pagine egli dedica infatti, pur nel desiderio di scoprire la verità, alla rivalutazione di Luigi Aquilecchia, dei Colabella di Melfi, dei Catena e dei Fortunato di Rionero. Erano filoborbonici, sostiene, è indubbio, tuttavia operarono non come incendiari degli animi plebei, allo scopo di ripristinare l’antico governo, bensì come oculati propagatori di quiete. Seppero di fronte alla masnada di briganti che invadeva Melfi e che poteva occupare Rionero acquietare gli animi, offrire cibo e asilo soltanto per frenare i tanti che minacciavano distruzioni e omicidi e fu un errore quello commesso dal sottintendente Decio Lordi ammanettarli e portarli prigionieri a Potenza.

L’anno successivo interviene nella polemica sollevata da Raffaele Pagniello sulle condizioni igieniche della città, scrivendo insieme a Giuseppe Sibilla e ad altri medici, come Falaguerra, Galiani, Laviano, Del Giudice, Andretta, Colucci, un pamphlet dal titolo Poche osservazioni sulle condizioni igienico sanitarie di Melfi.

Il 1° marzo 1908 Basilide apre un contenzioso epistolare con Giustino Fortunato, suo mentore e amico. Il Fortunato, non venendo meno alla sua campanilistica antipatia per la città di Melfi, pubblica un saggetto intitolato Ser Gianni Caracciolo Duca di Venosa nel 1425. Nel quale, rifacendosi a certi documenti rintracciati a Velletri dove si ribadisce il legame tra il Caracciolo e Venosa, il Fortunato sostiene appunto che Ser Gianni non si è mai fregiato dell’appellativo di duca o principe di Melfi. Basilide gli fa notare che quei documenti potrebbero essere dei sonori falsi, che sono piccola cosa rispetto a documenti più importanti firmati dalla regina Giovanna II e che sulla tomba di ser Gianni, in san Giovanni a Carbonara, il figlio Troiano stesso fece apporre la dicitura Troianus filius, Melphiae Dux Patri… etc. Il Fortunato, piccato non retrocede nella lettera che invia a Basilide il 2 marzo 1908, ma il nostro medico si convincerà di avere ragione qualche tempo più tardi, quando sfoglia un libro che proprio il Fortunato gli ha donato, una Storia della regina Giovanna II d’Angiò scritta da Nunzio Federico Faraglia. Ma Fortunato è duro di orgoglio e torna con lettera del 24 aprile a ribadire il suo assunto. Neppure Basilio demorde e in questo ci dà un’idea della sua qualità intransigente di storico e di uomo. Lo scandaglio della storia dell’Araneo, lo costringe a scavare negli interstizi lasciati dal predecessore e questo lo rende pignolo, riflessivo, attentissimo nell’indagare sia i libri altrui che i documenti. Araneo lavora con materiali di prima mano, trascrive spesso senza furberie di archivista, mentre Basilide pignola con l’aiuto di testi già editi e discussi, con attenzione agli aspetti e ai risvolti politici generali, più ampi. Così approfondisce l’età del Murat, sfuggita all’Araneo, quella dei Caracciolo e dei Doria, e discute discute, laddove l’Araneo ha potuto lavorare riesumando documenti dagli archivi, roba di prima mano e con un lavoro apparentemente più semplice. E così discute con Michelangelo Schipa, Giuseppe De Blasiis, Francesco Torraca, con Pietro Giannone. E non manca Basilide di fare le pulci a Gennaro Araneo, chiamando in campo L’espugnazione di Melfi, un inedito di Abele Mancini che non sappiamo che fine abbia fatto, e che Basilide in gran parte riassume, dicendo che “Mancini diede alla patria tutto se stesso in non poche pubblicazioni, ma in questa, ancora inedita, vi si scorge cuore, intelletto, pensiero”.

Ma gli è di aiuto costantemente Ireneo, il quale gli passa i libri, è uno scopritore di informazioni e così gli mantiene un rapporto con il direttore dell’archivio di Stato di Mantova, che gli invia carte relative al sacco di Melfi del 1528.

Segue l’opuscolo Il drappello di Melfi nella insurrezione lucana a cui tiene dietro una serie di conferenze tutte pubblicate: La conferenza  del prof. G.Battista Guarini sul Cinquantenario della insurrezione di Potenza (Melfi,Liccione,1912); I parlamenti e i concili di Melfi (Melfi,Liccione,1912); Melfi nella storia e nel pensiero di Dante (Melfi,Liccione,1912) e l’anno successivo in occasione dell’edizione de I moribondi di  Palazzo Carignano a cura di Giustino Fortunato, pubblica il saggio Petruccelli Della Gattina e Giustino Fortunato,  (Melfi, Liccione, 1913).

Il Rovito, nel Dizionario bio-bibliografico dedica una breve nota al Del Zio e riferisce di un saggio inedito su Chiesa e Stato in Basilicata dal 1000 al 1880.

Due anni più tardi vede la luce la sua opera più poderosa, Ricordi di storia patria (Melfi, Liccione, 1915).

“Sono trascorsi dieci anni da quando pubblicai le ‘Agitazioni del Melfese’, e sempre col pensiero di farle seguire da ricordi più completi … Il mio modesto lavoro è costituito da un insieme di argomenti varii, spesso di poca importanza, ma tutti però riflettenti il passato nostro”.

Dopo queste premesse Basilide si fionda nell’argomento principe per gli storici di Melfi, la ricerca delle origini. Sua guida è ovviamente Gennaro Araneo. “E pria di parlare di altri scrittori, è dovere di riconoscenza e gratitudine riferire quanto da pag.1 a 35 del suo libro scrive l’Araneo sull’origine di Melfi”.

La tesi che Basilide abbraccia al riguardo è quella dell’Araneo. Melfi preesiste all’arrivo dei Normanni e Basilio Bojoannes edificò delle casematte di difesa in un luogo che già esisteva prima dell’arrivo dei Greci. Dopo di che si fionda in una serie di chiarimenti e di approfondimenti di ciò che l’Araneo aveva accennato. In pratica, Basilide non fa che allargare le strade tracciate dal predecessore, non costruendo una storia ma fermandosi qua e là a chiosare le cronache o ad arricchire le biografie e gli eventi. Così offre l’elenco dei governatori di Melfi voluti dai Doria e alcune tracce biografiche di intellettuali a lui coevi, Tramutoli, Mancini, Bindi, Tortorella, Manna. Conclude riportando interventi inediti conservati in due album raccolti dal fratello Floriano a cui gli stessi sono dedicati. Testi estemporanei, di natura cronistica, poetica, di Depretis, Nicotera, Mariano D’Ayala, Biancheri e molti altri, scritti a partire dal 1869 e fino al 1873. Il libro di Basilide per certi versi continua ciò che Araneo ha avviato, ma ne arricchisce il costrutto cronistico con una serie di notizie di prima mano, chiose, spigolature, note di archivio, suggerimenti utili a un futuro autore della Storia di Melfi.

 

Morì in Melfi il 18 dicembre 1919.

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