COLOMBO EMILIO

nuova puglia d'oro_total white

COLOMBO EMILIO

Lucania_d_oro bianco

Potenza 11 aprile 1920 – Roma 24 giugno 2013

Politico che ha attraversato da grande protagonista la storia italiana ed anche europea nel secondo dopoguerra

Nato a Potenza da Angelo di Reggio Calabria e Rosa Tordela, quarto di sette figli, tre maschi e quattro femmine, fu sempre residente in città; il padre Angelo, di Reggio Calabria, sposò la madre, Rosa Silvia Elvira Tordela, il 30 ottobre del 1910.
Per alcuni anni i genitori dovettero tenere residenza anagrafica separata: il padre, per ragioni di lavoro, fu residente a Reggio Calabria fino all’11 aprile del 1927, data del definitivo trasferimento a Potenza, ove fu impiegato presso la Camera di Commercio; la madre, di origini avellinesi, fu invece sempre residente, con i figli, nel capoluogo lucano, sua città natale.
Gli spostamenti tra Potenza e Reggio Calabria dovettero essere probabilmente temporanei e circoscritti a brevi soggiorni trascorsi nel capoluogo calabrese dove il padre risiedeva per ragioni di lavoro.
Nel 1935 fondò a Potenza la prima associazione studentesca di Azione cattolica. Nel 1937 fu presidente di Azione cattolica della Diocesi di Potenza e componente del Consiglio nazionale della Gioventù italiana di Azione cattolica; conseguì la maturità classica presso il Liceo «Quinto Orazio Flacco» di Potenza.
Il suo primo maestro fu monsignor Vincenzo D’Elia, parroco della SS. Trinità di Potenza (la mia parrocchia), nato a Brienza, un piccolo paese vicino al capoluogo. Monsignor D’Elia aveva compiuto i suoi studi in un seminario romano assieme a Pio XII e a tanti sacerdoti che poi sarebbero diventati personaggi di grande statura nella gerarchia ecclesiastica.
A ventun anni, nel 1941, si laureò in Giurisprudenza all’università di Roma (con una tesi in diritto ecclesiastico), orientandosi inizialmente verso la carriera accademica; si iscrisse, infatti, al Pontificium Institutum Utriusque Iuris, con l’intento di specializzarsi in diritto canonico. Furono, quelli romani, gli anni della frequentazione di cenacoli culturali di tutto rilievo: a casa di don Giuseppe De Luca (lucano, fondatore e animatore delle «Edizioni di storia e letteratura» e dell’«Archivio italiano per la storia della pietà»), ebbe modo di frequentare, tra gli altri, ospiti del calibro di Prezzolini, Gentile, Papini, Ungaretti, Bo, Cardarelli, Palazzeschi.
Fu chiamato alle armi (prima di frequentare il corso per allievi ufficiali di complemento) il 1° agosto 1942 e destinato al «Deposito 39° Fanteria, per il successivo avviamento al 32° Battaglione d’Istruzione in Nocera Inferiore per frequentarvi il 4° Corso preparatorio di addestramento».
Nel 1943, dopo l’armistizio, rientrò in Basilicata, dando inizio al suo impegno politico nell’ottica di una ricostruzione da fondare sulle basi dell’antifascismo e dei principi cattolici e democratici. Dal 1944 al marzo 1947 fu segretario generale della Gioventù italiana di Azione cattolica.
Il 2 giugno 1946, Emilio Colombo fu eletto all’Assemblea Costituente per la circoscrizione Potenza-Matera, ricoprendo poi il ruolo di componente e segretario della «Quarta commissione per l’esame dei disegni di legge».
Nel 1947 fu nominato vice presidente del Bureau Internazionale des Enfants (Organizzazione internazionale dei movimenti educativi).
Il 18 aprile del 1948 fu eletto alla Camera dei Deputati per la Circoscrizione Potenza-Matera.|
Dal 1948 al 1951 fu nominato sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e foreste (Governi V e VI De Gasperi); in quella veste si occupò di condurre a buon esito la mediazione a Melissa, in Calabria, nel 1949, durante gli scontri per le occupazioni delle terre. Collaborò con Antonio Segni e Alcide De Gasperi al varo delle leggi per la Riforma agraria.
La riforma agraria avrebbe dovuto eliminare il latifondo, una piaga dal punto di vista sociale ed economico; avrebbe dovuto elevare a dignità di proprietari quei poveri braccianti impiegati per sole ottanta-cento giornate lavorative all’anno e per di più mal pagate.
Nel 1950 accompagnò De Gasperi nel celebre viaggio a Matera, dal quale prese il via la legge per il risanamento dei Sassi, varata nel 1952.
Come deputato della Basilicata Moro considerò come questione assai a cui tenne molto, la legge (da lui redatta per il risanamento dei Sassi di Matera e per la creazione di nuove case da destinare agli abitanti di quella zona.
A seguito delle elezioni comunali del maggio 1952, la Democrazia cristiana si affermò sulle altre liste con circa il 32% dei consensi. Emilio Colombo risultò il più votato, con 7.479 preferenze. Il Consiglio comunale, riunito dopo le elezioni il 14 giugno 1952, elesse Emilio Colombo alla carica di sindaco con 25 voti su 38. Seguito nella carica al commissario Zotta, rimase in carica alla guida della città per soli sei mesi, fino a dicembre, quando optò, a causa dell’incompatibilità tra cariche, per il seggio di Montecitorio (primo eletto, nella Circoscrizione Potenza-Matera, nelle Politiche del 7 giugno 1953).
Nei mesi di sindacatura si impegnò nel varo di alcune importanti opere, facendo sì che il Consiglio comunale deliberasse la costruzione di edifici scolastici, acquedotti, case popolari, linee elettriche per le zone rurali. Affrontò anche il tema del risanamento delle finanze comunali, prevedendo una revisione a rialzo di alcune imposte e tariffe, e l’implementazione del servizio di nettezza urbana nelle periferie.
Furono deliberate, negli stessi mesi, la ricostruzione del Rione Libertà e l’allargamento di «Piazza 18 agosto», attraverso la costruzione della terrazza belvedere.
Nel commentare la sua esperienza di sindaco Moro la riteneva essere stata tra le più importanti della sua vita in quanto gli aveva dato “una maggiore consapevolezza di quanto l’amministrazione dovesse stare vicina ai cittadini, per comprenderne i bisogni, favorire il contatto tra amministratori e amministrati e far progredire la vita di una comunità.

Dal 1953 al 1955 fu sottosegretario al Ministero dei Lavori pubblici (Governi VIII De Gasperi, Pella, I Fanfani, Scelba). Nel 1954 prese parte al V Congresso della Democrazia cristiana, celebrato dal 26 al 29 giugno a Napoli, intervenendo con un celebre discorso che gli sarebbe valso il terzo posto nelle votazioni finali dopo De Gasperi e Scelba.
Dal 1955 al 1958 fu ministro dell’Agricoltura e foreste (Governi I Segni e Zoli, in cui fu anche Alto commissario per l’alimentazione). Furono quelli anche gli anni del primo impegno europeista di Colombo, che lo portarono a seguire, in qualità di Ministro dell’Agricoltura, le relative tematiche nell’ambito della costituenda Comunità economica europea.
Dal 1959 al 1963 Colombo fu ministro dell’Industria e commercio (Governi II Segni, Tambroni, III e IV Fanfani). In quegli anni si consolidò in lui la visione volta ad assicurare, nelle scelte compiute, l’armonizzazione tra questioni sociali ed esigenze legate al mercato e alle logiche del profitto: fu quella che, nelle letture di Colombo, sarebbe tornata più volte con i termini di «economia sociale di mercato». In quella scia si collocò innanzitutto la Legge per le piccole e medie industrie (n. 623 del 30 luglio 1959), con la quale furono concessi incentivi a favore delle medie e piccole industrie dell’artigianato.
Gli anni Sessanta, inoltre, lo videro impegnato in un piano organico di industrializzazione nel Mezzogiorno, il quale avrebbe dovuto mettere a sistema risorse e investimenti. Fu colta l’occasione delle scoperte dei giacimenti di petrolio a Gela e di metano a Pisticci per avviare un vasto piano di sviluppo con l’ENI di Enrico Mattei in Val Basento (per le industrie chimiche a Ferrandina e Pisticci); contestualmente furono avviati gli investimenti a Brindisi con la Montecatini, ma anche a Pomigliano D’Arco con l’Alfa Romeo e a Termoli con lo Stabilimento Fiat.
Fu nel 1962, invece, che giunse a compimento il piano di nazionalizzazione dell’energia elettrica, con la nascita dell’ENEL. Contestualmente, procedette alla fondazione del Comitato per l’energia nucleare e dei Centri di ricerca di Frascati e Ispra, in provincia di Varese.
Dal 1963 al 1970 fu ministro del Tesoro (Governi I Leone, I-II-III Moro, II Leone, con interim al Bilancio e programmazione economica, I-II-III Rumor); in quegli anni operò a stretto contatto con l’allora governatore della Banca d’Italia, Guido Carli.
Come ministro del Tesoro, nel 1963, durante la presidenza italiana del Fondo monetario internazionale, incontrò il presidente Kennedy. La sua politica fiscale fu caratterizzata da stretto rigore, scelta che non lo mise a riparo da dure polemiche, anche interne alla DC, circa i possibili risvolti politici e sociali di un tale orientamento. Il controllo dei conti pubblici, in vista del contenimento dell’inflazione, gli valsero tuttavia il riconoscimento dell’«Oscar della lira» nel 1965, quale concreto apprezzamento per le politiche messe in atto dal Ministro del Tesoro Colombo e dal Governatore della Banca d’Italia Carli, le quali avevano consentito il superamento di una congiuntura pericolosa per l’economia italiana e l’avvio verso una fase di normalità.
Da ministro del Tesoro, seguì le politiche europee nel corso degli anni Sessanta. Le sue qualità di mediazione lo portarono a tessere la rete di relazioni tra l’Europa e alcuni paesi africani, giungendo nel 1964, dopo due anni di lavoro, alla firma della Convenzione di Yaoundé.
Nel 1965, invece, fu mediatore tra la Francia e la Comunità europea per la risoluzione della crisi della «sedia vuota», ricomposta un anno dopo grazie alla sottoscrizione del «Compromesso di Lussemburgo» (30 gennaio 1966).
Nel 1967, durante il Governo Moro III (23 febbraio 1966-24 giugno 1968), il tema dell’aumento delle pensioni, sollevato dai sindacati, fu oggetto di un lungo dibattito che coinvolse le forze di Governo. Alle insistenze dei socialisti, Colombo, all’epoca ministro del Tesoro, si oppose temendo un’impennata dell’inflazione.
Una riforma delle pensioni significativa sarebbe stata, poi, varata da lì a qualche anno con la l. 30 aprile 1969, n.153 con la quale, tra le altre cose, per il calcolo della pensione, il sistema retributivo sarebbe subentrato a quello contributivo e sarebbe stata istituita la pensione sociale.
Nel 1970, la decisione di assegnare alla città di Catanzaro la funzione di capoluogo di regione innescò moti di piazza a Reggio Calabria. La rivolta durò da luglio 1970 a febbraio 1971 e fu caratterizzata da un ricorso costante alla violenza con uso di armi e di esplosivo. Il gruppo promotore, inizialmente, fu contraddistinto da una sostanziale eterogeneità: in esso vi erano esponenti locali della Dc, dell’associazionismo cattolico e popolare, dei partiti laici di governo, dei sindacati (Cisl e Uil) e della Chiesa. Anche il Pci reggino assunse verso i moti un atteggiamento non sempre lineare, avvicinandosi alla protesta, seppure per un brevissimo periodo, nell’ottobre del 1970. Ad assumere, però, una funzione nevralgica nell’organizzazione dei moti furono comitati civici egemonizzati dalla destra. In sede giudiziaria è stato poi denunciato il contributo delle mafie all’organizzazione degli atti terroristici, nei quali vi fu un uso massiccio del tritolo, come nel caso del deragliamento, del 22 luglio 1970, della Freccia del Sud, che provocò sei morti e settanta feriti.
La risposta del Governo Colombo alla rivolta di Reggio Calabria non fu solo di tipo militare, ma anche e soprattutto di tipo politico ed economico. La consapevolezza che dietro l’adesione di massa alle proteste vi fossero problematiche di tipo sociale e occupazionale spinse il Governo a varare un nuovo piano di sviluppo della Calabria, attento ad assegnare a ciascuna provincia un ruolo strategico e a industrializzarne alcune aree.
Emilio Colombo fu eletto presidente del Parlamento europeo l’8 marzo 1977. Sarebbe rimasto in carica per tre mandati, fino al 16 luglio 1979.
Con Colombo alla guida degli Esteri si dovettero affrontare le difficili trattative con il Regno Unito per la politica agricola comunitaria
I rapporti tra Regno Unito e Unione Europea sono stati contraddistinti da importanti frizioni. Nella primavera del 1980, Colombo, ministro degli Affari esteri, si adoperò con successo per il superamento di un momento di impasse dovuto agli scontri in materia di politica agricola, acuiti dall’imponente deficit pubblico inglese. L’accordo raggiunto previde l’iscrizione per due anni, a carico della Comunità europea, del 65% del deficit britannico.
Altro tema spinoso era la questione mediorientale, per la quale si tenne Il 12 e il 13 giugno del 1980 a Venezia la seduta del Consiglio europeo, nel corso della quale, in merito alla questione mediorientale, fu escogitata la soluzione poi sintetizzata nella celebre frase «due popoli, due Stati». Su questa questione il ministro Colombo ha sempre rivendicato il ruolo giocato in quell’occasione dall’Italia e da se stesso.
Il 23 novembre 1980 la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale furono interessate da un devastante sisma che provocò 2914 decessi, 8848 feriti e circa 280.000 sfollati.
Colombo, ministro degli Affari esteri, impegnato a Roma in un incontro con il primo ministro britannico, Margaret Thatcher, rientrò subito in Basilicata e l’arrivo nella Balvano devastata dal crollo di una chiesa che aveva provocato un’«ecatombe» di bambini. Nel rendersi conto sui luoghi di tale tragedia Colombo disse “che poche volte nella vita ho avuto uno shock così profondo nella constatazione della sofferenza umana a cui era difficile corrispondere. Non era sufficiente, infatti, manifestare il proprio dolore a quelle famiglie, chiuse in loro stesse a piangere i loro morti e a domandarsi quale sarebbe stato il loro futuro”.
Nelle numerose dichiarazioni di cordoglio è stato sempre ricordato come il politico che ha attraversato da protagonista tutta la storia politica italiana del secondo Dopoguerra ed anche parte di quella europea, avendo ricoprendo incarichi di primissimo piano – fino alla nomina a senatore a vita, nel gennaio del 2003, per decisione dell’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi – ma senza mai interrompere un legame con la sua città e la sua regione, la Basilicata, alla quale è rimasto sempre legato.
Come significativo riconoscimento a livello europeo va ricordato che riconfermato nel 1979 presidente del Parlamento europeo gli fu assegnato il premio “Carlo Magno”, attribuito ogni anno proprio all’uomo politico che contribuisce di più al processo d’integrazione europeo.
Nel 2011 a Losanna, dopo aver ritirato la prestigiosa medaglia Monnet, Colombo fece un discorso-testamento sull’Europa unita, che egli a lungo ha contribuito a far nascere e sviluppare. “L’Europa – aggiunse Colombo – non è ancora entrata nella stagione di una compiuta maturità politica, poiché manca di un influente Governo multinazionale, di una comune politica della sicurezza, estera e di difesa”. L’euro ha però “rappresentato una straordinaria risposta alla predisposizione di un terreno comune nelle politiche monetarie”, anche se “non ha impedito che l’Europa vivesse soprattutto la dimensione di grande mercato in cui l’economia, arbitrata dall’autorità monetaria, ha rivelato inevitabili debolezze in un mondo dominato dalle potenze globali della finanza”.
Come metodo “per contrastare la crisi e attuare politiche di rigore verso il debito sovrano” Emilio Colombo indicò “un efficace aggiornamento delle istituzioni europee. Siamo a un passaggio difficile della storia del mondo; l’Europa deve affrontarlo con consapevolezza unitaria, respingendo l’illusione di scorciatoie affidate a sodalizi fra singoli Stati”. Perché “dalle difficoltà è impossibile uscire da soli presumendo di capacità eroiche quasi temerarie”. Serve quindi “più responsabilità” da parte dei singoli governi, “ma anche più coordinamento nelle politiche di bilancio e sviluppo”. Quanto alla situazione italiana. “mi sento di dire – raccontò Colombo – che, pur nel difficile momento che sta vivendo, l’Italia si sente ancora in Europa. Appare ancora forte la memoria dei principi ispiratori del progetto europeo, principi dettati da Gasperi. Io – concluse – ho profonda fiducia che l’Italia possa ancora contribuire al superamento dell’attuale crisi e allo sviluppo di quell’Europa che è stata la stella polare della mia vita politica”.

Cronologia

1920 (11 aprile) nasce a Potenza, quarto di sette figli, da Angelo e Rosa Tordela.
1935 fonda a Potenza, la prima associazione studentesca di Azione cattolica.
1937 è presidente di Azione cattolica della Diocesi di Potenza e componente del Consiglio nazionale della Gioventù italiana di Azione cattolica; consegue la maturità classica presso il Liceo «Quinto Orazio Flacco» di Potenza.
1941 consegue la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Roma.
1944-1947 è segretario generale della Gioventù italiana di Azione cattolica.
1946 è eletto all’Assemblea costituente per la circoscrizione Potenza-Matera.
1948-1951 è sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e foreste (Governi V e VI De Gasperi).
1952 (giugno-dicembre) è sindaco della città di Potenza.
1953-1955 è sottosegretario al Ministero dei Lavori pubblici (Governi VIII De Gasperi, Pella, I Fanfani, Scelba).
1955-1958 è ministro dell’Agricoltura e foreste (Governi I Segni e Zoli, in cui è anche Alto commissario per l’alimentazione).
1958-1959 è ministro del Commercio con l’estero (Governo II Fanfani).
1959-1963 è ministro dell’Industria e commercio (Governi II Segni, Tambroni, III e IV Fanfani).
1963-1970 è ministro del Tesoro (Governi I Leone, I-II-III Moro, II Leone, con interim al Bilancio e programmazione economica, I-II-III Rumor).
1970-1972 è presidente del Consiglio dei ministri (1971-1972 è anche ministro ad interim di Grazia e giustizia).
1972 è ministro del Tesoro (Governo I Andreotti).
1972-1973 è ministro senza portafoglio con delega per i compiti politici particolari e di coordinamento, con speciale riguardo alla presidenza della delegazione italiana all’Onu (Governo II Andreotti).
1973-1974 è ministro delle Finanze (Governo IV Rumor).
1974-1976 è ministro del Tesoro (Governi V Rumor, IV-V Moro).
1976-1980 è parlamentare europeo (e presidente del Parlamento europeo dal 1977 al 1979).
1979 gli viene conferito il «Premio Carlo Magno».
1980-1983 è ministro degli Affari esteri (Governi II Cossiga, Forlani, I-II Spadolini, V Fanfani).
1987-1988 è ministro del Bilancio (Governo Goria).
1988-1989 è ministro delle Finanze (Governo De Mita).
1989-1992 è parlamentare europeo.
1992-1993 è ministro degli Affari esteri (Governo I Amato).
2003 è nominato senatore a vita.
2013 (24 giugno) muore a Roma.

https://www.regione.basilicata.it/giunta/site/giunta/detail.jsp?otype=1012&id=3068933&value=regione/..

INTERVENTO BARDI A CENTENARIO NASCITA DI EMILIO COLOMBO
18.09.2020ore 13:12

“Il centenario della nascita di Emilio Colombo”

Il centenario della nascita di Emilio Colombo è l’occasione per rendere omaggio a un grande italiano ma è anche un’opportunità importante per riflettere sulla nostra storia e sull’identità dei lucani.
Intorno alla figura del grande statista lucano si snodano gli eventi essenziali che hanno segnato la costruzione della democrazia italiana”. Lo ha detto il Presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, nell’ambito di un evento-dibattito che si è svolto questa mattina al Teatro Stabile di Potenza in occasione del Centenario della nascita di Emilio Colombo. “Oggi le regioni scontano i ritardi, il carattere confuso e contraddittorio di riforme istituzionali che non ha saputo riscrivere, in maniera chiara, il ruolo delle istituzioni locali nella prospettiva europea.
Oggi servirebbe tutta la saggezza, la temperanza e la tolleranza di Emilio Colombo per rimettere sul binario il dibattito sul ruolo delle Regioni e sul loro rapporto con lo Stato e con l’Europa.
Bisogna provare ad onorare la sua memoria con un’idea e una pratica della politica quale strumento di confronto, di emancipazione delle persone, di affermazione dell’interesse pubblico. Un’idea che sia un riferimento per i giovani e per il loro futuro” ha concluso il Presidente Bardi.
L’iniziativa s’inserisce tra le attività organizzate dal Centro Studi Internazionali “Emilio Colombo” e dalla Biblioteca “Maurizio Leggeri”, sezioni del CGIAM – Centro di Geomorfologia Integrata per l’Area del Mediterraneo di Potenza. All’incontro sono intervenuti, dopo i saluti istituzionali di Mario Guarente, Sindaco della città di Potenza, e di Vito Bardi, Presidente della Regione Basilicata, lo storico Giampaolo D’Andrea, il Presidente dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma Nicola Antonetti e i Senatori Gianni Pittella e Pier Ferdinando Casini.
L’apertura dei lavori è stata affidata al messaggio di David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo, e agli interventi di Antonio Colangelo, ideatore del progetto, e Donato Verrastro, Direttore Centro studi internazionali “Emilio Colombo”. L’incontro è stato coordinato dal giornalista Renato Cantore. Si è svolta una visita guidata alla mostra fotografico-documentaria “La prima fede e l’ultima inquietudine. Emilio Colombo a cento anni dalla nascita” allestita presso il Palazzo della Cultura e del Turismo di Potenza.

19 MAGGIO 2020
Cosimo Damiano Fonseca
Primo Rettore dell’Università della Basilicata, Accademico dei Lincei

L’on. Emilio Colombo e l’Università degli Studi della Basilicata
L’on. Emilio Colombo non ebbe apparentemente un ruolo determinante nella nascita e nello sviluppo dell’Università della Basilicata e non perché non fosse stato attento al peso socialmente rilevante che una istituzione di cultura superiore avrebbe potuto avere entro il microcosmo lucano quanto invece per i mutamenti politico-istituzionali intervenuti negli anni Settanta del “secolo breve” con l’entrata in vigore dell’ordinamento regionale e del conseguente protagonismo su alcune scelte pianificatrici assunte dai quadri decisionali locali. Va comunque detto che al “Presidente” non erano estranee le problematiche sull’Università e sui suoi ordinamenti: tra il 1960 e il decennio successivo egli aveva operato all’interno dell’Università Cattolica di Milano prima come Consigliere poi come Presidente dell’Istituto Toniolo, l’ente fondatore e finanziatore dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, chiamato da Padre Agostino Gemelli.
Comunque ciò che è certo e documentato è che nel 1967, il 18 marzo, il Circolo la Scaletta di Matera promuoveva una tavola rotonda sul tema Università in Basilicata problemi e proposte, pubblicandone immediatamente gli Atti e che due anni più tardi, il 20 dicembre 1969, al Senato della Repubblica da parte dei Senatori Verrastro, Scardaccione, Schiavone, Morlino, Russo, De Marsi, Murmura, Coppola, De Vito, Del Nero, Zaccari, De Zan e Smura veniva presentato un Disegno di legge (n. 1027) dal titolo “Istituzione dell’Università della Basilicata”.
Emerge così il nome di colui che diventa l’interlocutore privilegiato dell’on. Colombo per quanto attiene la nascita dell’Università della Basilicata, il sen. Vincenzo Verrastro, il quale prima come Presidente della Provincia di Potenza poi come Presidente della Regione Basilicata con tenacia e lucida determinazione seguirà le vicende dell’Ateneo sino al suo inserimento nel titolo VI della legge 219 /1981 che anticipò rispetto alla Regione Molise – l’altra Regione che era priva di strutture universitarie statali – il suo ingresso nel sistema universitario nazionale.
Alla presidenza Verrastro della neonata Regione Basilicata si deve tra l’altro la stipula della convenzione tra l’Assessorato Regionale della Pubblica Istruzione e il Centro di Formazione e studi per il Mezzogiorno (FORMEZ) cui venne affidato il mandato, il 28 gennaio 1972, di predisporre lo Statuto della futura Università Lucana. In questa Commissione compaiono i nomi di Carlo Ajello, Presidente dell’IBRES, Pietro Balbo (Italconsult), Sabino Cassese (Università di Urbino), Francesco Curato (Oti), Carlo Donnolo (Centro Cosmos, Napoli) e Rocco Mazzarone (Dam).
Non è questa la sede per seguire partitamente le vicende degli ultimi otto anni del decennio 1970-1980 sino a quando fu inserita nella legge 219/81 l’istituzione dell’Università degli Studi della Basilicata, quanto piuttosto la provvida occasione per mettere in doveroso risalto questa sorta di operosa intesa che intercorse tra il sen. Verrastro e l’on. Colombo, ambedue interessati al “buon cammino” della nuova istituzione, ma nel contempo rispettosa sino alla scrupolo delle rispettive competenze.
Chi scrive ne poté percepire personalmente il tono in numerose circostanze come, ad esempio, quando si trattò da parte del Ministro della Pubblica Istruzione, on. Guido Bodrato, di nominare quattro dei dodici membri elettivi dei Comitati Ordinatori delle Quattro Facoltà previste dalla legge; il Ministro ritenne di consultare il Presidente Colombo il quale peraltro non aveva potuto firmare, a differenza dei rappresentanti dei gruppi parlamentari eletti in Basilicata, in quanto Ministro in carica del Governo.
Nella stessa visita di cortesia a chi scrive, all’indomani della sua elezione all’ufficio rettorale della nuova Università, il Presidente Colombo non avanzò alcuna richiesta se non quella di essere “informato” sugli eventi significativi del nascente Ateneo e, in proposito, mi indicò quale possibile interlocutore il sen. Vincenzo Verrastro che divenne poi il primo Presidente del Consorzio Universitario Lucano.
D’altro canto non era del tutto ignota la mia intransigenza nel rivendicare l’autonomia dell’Università come ebbi modo di illustrare a chiare lettere in occasione di una storica seduta del Consiglio della Regione Basilicata presieduta dal futuro Senatore prof. Romualdo Coviello. Si constata allora che l’esempio del Presidente Colombo aveva contagiato le istituzioni.

https://www.letture.org/emilio-colombo-protagonista-della-storia-italiana-ed-europea-del-novecento-nicola-antonetti/..

“Emilio Colombo. Protagonista della storia italiana ed europea del Novecento” di Nicola Antonetti

Prof. Nicola Antonetti, Lei ha curato l’edizione del libro Emilio Colombo. Protagonista della storia italiana ed europea del Novecento edito da Rubbettino: quale importanza riveste, nella storia repubblicana, la figura di Emilio Colombo?

Quest’anno si sono celebrati i cento anni dalla nascita di Emilio Colombo e l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, dove è conservato il suo importante Archivio, ha voluto contribuire a sviluppare la necessaria riflessione sull’opera di una personalità che è stata presente, sempre a livelli apicali, sulla scena pubblica italiana ed europea per circa 50 anni. Entrò giovanissimo, con oltre 26000 voti di preferenza, in Assemblea Costituente, rimase nella Camera dei Deputati dalla I alla XI legislatura; oltre vari incarichi, è stato ministro di Agricoltura e foreste, Commercio con l’estero, Industria e commercio, Tesoro, Bilancio e programmazione economica, Grazia e giustizia, senza portafoglio “con delega per i compiti politici particolari e di coordinamento, con speciale riguardo alla presidenza della Delegazione italiana all’Onu”, Affari esteri, Finanze. Oltre che presidente del Consiglio, dal 6 agosto 1970 al 17 febbraio 1972. Nel marzo 1977, fu eletto Presidente del Parlamento Europeo e guidò l’Assemblea verso la prima elezione a suffragio universale, a seguito della quale egli stesso venne chiamato di nuovo a farne parte nel 1979, con un suffragio plebiscitario (oltre 850 mila preferenze) nella Circoscrizione dell’Italia Meridionale. Dal 1993 al 1995 è stato Presidente della Internazionale Democristiana e nel 2003 fu nominato senatore a vita da Carlo Azeglio Ciampi
Insomma, anche di fronte a una rapida ricapitolazione degli incarichi ricoperti, comprendiamo che l’opera di Colombo è stata quella di un uomo di Stato che ha attraversato da protagonista sia la storia della prima Repubblica, con i suoi chiaroscuri, sia una fase cruciale del processo di integrazione europeo. Nella stesura del nostro libro abbiamo verificato che, purtroppo, di Colombo si è studiato e scritto ancora poco o, almeno, non quanto la sua figura meriterebbe: speriamo che si dia a breve seguito anche al bel volume curato da D. Verrastro ed E. Vigilante su Emilio Colombo. L’ultimo dei costituenti (Laterza, 2016) con studi che muovano dall’attenta compulsazione del suo archivio.

Quale fu la formazione che ispirò l’attività politica di Emilio Colombo?

Colombo è stato un giovane della ‘seconda generazione’ dei cattolici: a 26 anni entrava in politica probabilmente (come si diceva allora) per ‘chiamata del Vescovo’, che a Potenza era Mons. Augusto Bertazzoni. Oltre la formazione religiosa acquisita nell’AC, possedeva una visione immediata delle condizioni sociali del Mezzogiorno nel passaggio epocale (in campo politico e istituzionale) verso la democrazia. Come gli altri giovani del Sud non aveva esperienza, se non indiretta, della Resistenza, ma era consapevole partecipe di quello che divenne immediatamente – come ebbe a definirlo Aldo Moro nel 1945 in polemica con Pietro Nenni – il “vento democratico del Sud”, con la sua storia particolare e con il suo destino nello Stato democratico. Era quello di Moro e di Colombo il vento di un Sud che nasceva da una sua storia particolare di arretratezza e doveva suscitare, con i suoi uomini, nuove energie per la costruzione dello Stato democratico in Italia. In effetti, la divisa del ‘ricostruttore’ o del ‘costruttore di democrazia’ non fu mai dismessa da Colombo. Nella sua formazione gli fu molto vicino il suo parroco, don Vincenzo d’Elia, il quale certamente ebbe modo di illustrargli anche la triste parabola politica del Ppi, di cui era stato egli stesso esponente a Potenza, e di spiegargli l’indirizzo antistatalista e antifascista difeso fino in fondo da Luigi Sturzo. In altre parole, Colombo – in realtà come pochi altri giovani della ‘seconda generazione’ democristiana – ebbe modo di apprezzare il modo nel quale l’ispirazione cristiana era stata coniugata con la cultura liberal-democratica dal primo partito dei cattolici italiani. Tale consapevolezza si arricchì presto quando lo stesso D’Elia lo avvicinò a suo zio, l’altro lucano don Giuseppe De Luca (uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano!), che fu tra le persone più vicine a Sturzo, quando questi tornò nel 1946 dal suo esilio negli Stati Uniti. Attraverso De Luca, il giovane Colombo ebbe anche modo di avvicinare, a metà degli anni ’40 dello scorso secolo, importanti ecclesiastici, come il card. Roncalli e Mons. Montini, e alcuni dei maggiori attori politici dell’epoca: da De Gasperi a Sturzo e Dossetti, da Togliatti a Franco Rodano e a vari altri.
La memoria di tali esperienze non lo abbandonò mai. Colombo fece sue le aspettative di giustizia sociale avanzate dai ‘professorini’ dossettiani, ma non condivise la loro idea che la politica bastasse per una palingenesi globale della società. Piuttosto, fu erede di quella consapevolezza dei limiti sempre presenti nell’azione riformatrice della politica, così come li aveva teorizzati lo stesso De Gasperi. Il politico lucano operò perché la DC adeguasse i suoi comportamenti alle rapide trasformazioni della società e alle rinnovate esigenze di giustizia sociale. Non volle neanche che un partito laico come il suo fosse attratto da forme ideologizzate (pur di tipo religioso) di lotta politica: per lui la DC era quel «partito di centro che guarda a sinistra», secondo la formula degasperiana, e non era consentito alla classe dirigente democristiana sottrarsi al complessivo mandato politico affidato ad essa da una pluralità di forze e di interessi. Qualificò in questo modo il suo impegno nella lunga azione di governo esprimendo la sua coerenza nell’attitudine verso soluzioni meditate e consapevoli delle questioni interne e esterne al partito, specie in campo sociale ed economico. Quindi, fece suo, prima e diversamente da altri della sua generazione, l’indirizzo filo-atlantico impresso da De Gasperi alla politica italiana e colse subito i livelli sui quali si sarebbero dispiegati gli impegni transatlantici sul piano internazionale e su quello interno. Sul primo, si profilava, con la Guerra Fredda, un’alleanza militare (con la difficile adesione – anche per una quota della Dc – al Patto Atlantico e in seguito alla NATO), non disgiunta però dalla attivazione nel 1947 di quell’European Recovery Program (il Piano Marshall) che, necessario per la ricostruzione, di fatto dava un consistente impulso al primo processo di integrazione della Piccola Europa. Sul piano interno, l’atlantismo implicava l’adesione al modello delle democrazie occidentali, cioè alla esclusione o marginalizzazione del comunismo: in Italia, dove agiva il maggiore partito comunista europeo, significava per i democristiani offrire un’alternativa non ideologica alla lotta di classe. Un’alternativa pacifica che veniva dalla tradizione cattolica ma che una volta rinnovata, dopo l’esperienza del fascismo, si esprimeva nel programma degasperiano dell’interclassismo, nel quale la difesa delle libertà civili e personali si saldava alla prospettiva di soluzione delle tante e urgenti questioni sociali del paese: fu il programma che fece prese nei ceti popolari come nei ceti medi e in vari ambienti intellettuali, non solo cattolici.

Come si espresse la vocazione europeista dell’onorevole Colombo?

Colombo avvertì precocemente (verso la fine degli anni 50) che declinava il «centro statale» della politica italiana rispetto ai poteri che assumeva la Comunità europea specie nella determinazione degli indirizzi economici. Di particolare interesse rimane quanto disse in sede di insediamento del suo governo, nella seduta della Camera del 10 agosto 1970:
«Una delle caratteristiche del nostro tempo è rappresentata dal fatto che i problemi di politica estera che interessano singole nazioni finiscono con l’essere problemi di tutte le nazioni. Il nostro avvenire sarà sempre più comune. Il nostro destino è già indivisibile. […] Il progresso verso l’unione economica e monetaria presuppone il supporto di una organizzazione politica ed una progressiva convergenza degli obiettivi economici a medio termine e delle loro priorità, nonché delle politiche economiche messe in atto per raggiungere gli obiettivi stessi».
Aveva presente che la prima fondamentale traccia unitaria del vecchio continente era stata incisa con il sudore e (talora) con il sangue di migliaia di emigranti del Mezzogiorno: operò quindi in ogni occasione e in modo concreto per il coinvolgimento pieno nelle responsabilità sociali e politiche di ognuno dei paesi membri dell’Unione. Rimane esemplare, il fatto che a seguito della crisi apertasi nel giugno del 1979, dopo che fu annullato il voto negativo del Parlamento europeo al bilancio presentato dal Consiglio, Colombo assieme al Ministro degli Esteri della Germania federale H. Dietrich Genscher chiese una revisione dei Trattati al fine di armonizzare le funzioni svolte dalle varie istituzioni europee. Da quella intesa nacque il Piano Colombo-Gensher che impegnava i governi dei paesi membri a produrre un «atto europeo» sulla integrazione comunitaria. Il Piano divenne il documento base del processo di cooperazione europea fissato dalla Dichiarazione di Stoccarda del 1983. Con il prestigio derivato da questa essenziale iniziativa e con la sua riconosciuta competenza assunse la Presidenza del Parlamento europeo che diveniva elettivo e, quindi, rappresentativo di tutti i Paesi membri. Nel maggio 1979 ricevette ad Aquisgrana, terzo statista italiano dopo De Gasperi e Antonio Segni, il Premio Carlo Magno, che viene assegnato ogni anno all’uomo politico europeo che, con la sua opera, ha maggiormente contribuito al processo di integrazione comunitaria.

L’Istituto Sturzo ha recentemente acquisito l’archivio personale di Emilio Colombo: quale straordinario valore documentale possiede il fondo?

L’importante Archivio di Colombo è stato donato all’Istituto Luigi Sturzo di Roma che lo ha affidato all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole per la inventariazione e la digitalizzazione. In pratica, a breve sarà disponibile una grande massa di documenti, pubblici e privati, dalla quale, l’opinione pubblica e non solo gli studiosi, dovranno tenere conto, avendo peraltro l’opportunità di accedere ormai anche alle carte, depositate nell’Archivio dello Sturzo, di molti dei politici che, come Colombo, sono stati protagonisti della storia della Dc: dallo stesso Sturzo ad Andreotti a Scelba a Piccioni, da Gronchi a Malvestiti e a tanti altri. Questo patrimonio documentario, dunque, permetterà non solo doverose integrazioni (cioè, conferme e smentite) su quello che si è scritto finora su Colombo, ma, e soprattutto, consentirà qualche opportuno approfondimento dell’intera storia della Democrazia Cristiana, dall’inizio fino al suo scioglimento nel 1994 (50 anni!). Certamente una importante storiografia ha già cancellato, in buona parte, gli stereotipi interpretativi, fissati già negli anni 50 da Togliatti e replicati nei decenni successivi, che etichettavano la Dc e i suoi maggiori esponenti, tra i quali Colombo, come «il partito o gli uomini della Chiesa» e come «il partito o gli uomini degli americani». La suddetta storiografia (e penso a De Rosa, a Malgeri, a Scoppola e a vari altri) è riuscita a spiegare, su base documentaria, che l’avvento e la storia della Dc, con la Costituzione repubblicana, con la vittoria elettorale del 18 aprile 1948 e con le successive affermazioni, non ha rappresentato una sorta di calata sulla scena politica del dopoguerra di una generazione di barbari (gli Hiksos di crociana memoria), bensì dell’ingresso nella storia italiana di una classe politica formata principalmente nell’associazionismo cattolico e, in buona parte, specie nei suoi leaders, forgiata dall’opposizione al fascismo. Una storia della quale Colombo fu interprete: è ovvio assieme a tanti altri, ma dando un contributo per molti versi del tutto particolare.
Nicola Antonetti, ha insegnato come professore ordinario nell’Università di Parma; è stato Presidente dell’Associazione Italiana degli Storici delle Dottrine Politiche. È attualmente Presidente dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma. Tra gli scritti recenti Luigi Sturzo e la Costituzione repubblicana (Rubbettino, 2017); per Il Mulino ha curato Aldo Moro nella storia della Repubblica (2018) e (con P. Pombeni), Da Versailles (1919) a Berlino (1989). La lunga storia dell’Europa nel secolo breve.

POTREBBE INTERESSARTI