BRONZINI GIOVANNI BATTISTA

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BRONZINI GIOVANNI BATTISTA

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Matera 4 settembre 1925 – Bari 17 marzo 2002

Antropologo e storico delle tradizioni popolari.

Fu allievo di Paolo Toschi all’Università di Roma, poi docente emerito di Antropologia culturale all’Università di Bari e direttore dal 1974 alla morte della rivista di studi demoetnoantropologici Lares.

Studioso di letteratura, in particolare dell’opera del torinese Carlo Levi, mandato al confino in Lucania negli anni del fascismo, o del poeta lucano Rocco Scotellaro, Bronzini si interesso al mondo contadino della sua terra, colto nell’intima relazione con i cicli naturali e in quella più mediata con i fattori economici e sociali, mai dimenticando di richiamarne le tensioni spirituali e le ansie di riscatto nelle espressioni magiche e superstiziose della civiltà contadina degli anni trenta e quaranta.

È stato consigliere-fondatore della Fondazione Marino Piazzolla. Nel 2012 il comune di Accettura gli ha intitolato la piazza dell’incontro tra il Maggio e la Cima, i due alberi che si uniscono nella festa del Maggio di Accettura che è stata valorizzata grazie all’opera di Bronzini proprio attraverso le sue prime opere effettuate dal 1969 in poi.

Il figlio Stefano è stato ordinario di Letteratura inglese sempre all’Università di Bari, direttore del Dipartimento di Lingue e tradizioni culturali europee del medesimo ateneo. Nel luglio 2019 è stato eletto magnifico rettore dell’Università di Bari.

 

Opere selezionate

Tradizioni popolari in Lucania, Matera, Montemurro, 1953;

Accettura: il contadino, l’albero, il santo, Galatina, Congedo, 1977;

Mito e realtà della civiltà contadina lucana, Matera, Montemurro, 1977 (Vincitore Premio “Basilicata”);

Cultura popolare. Dialettica e contestualità, Bari, Dedalo, 1980;

Cultura contadina e idea meridionalistica, Bari, Dedalo, 1982;

Homo laborans. Cultura del territorio e musei demologici, Galatina, Congedo, 1985;

I canti popolari di N. Tommaseo, Lecce, Milella, 1985;

L’Universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, Bari, Dedalo, 1987;

Intellettuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, Palermo, Sellerio, 1991;

La letteratura popolare italiana dell’Otto-Novecento: profilo storico-geografico, Novara – Firenze, De Agostini – Le Monnier, 1994

Storia del culto della Madonna dell’Arco attraverso le fonti scritte e figurative dei secoli XVII-XVIII, Firenze, Olschki, 1998.

Bronzini e la dotta civiltà contadina nella sua Basilicata, su lagazzettadelmezzogiorno.itLa Gazzetta del Mezzogiorno

 

I lucani vivono ancora oggi alla ricerca e nella difesa della propria identità culturale. Lo testimonia il successo del cinespettacolo della Grancia, La storia bandita, dove si parla appunto di cultura materiale, di brigantaggio e di lotte contadine. Questo mito è stato costruito lungo il corso del Novecento da una serie di narratori, politici e antropologi che si sono occupati o hanno vissuto in Basilicata. La tradizione di studi parte da Petruccelli della Gattina e passa attraverso  Nitti, Fortunato, Ciccotti, Rossi Doria, Pedio e Leonardo Sacco. Sul versante letterario trova sponda nella linea avviata da Sinisgalli e Carlo Levi e che passando per Pierro, Scotellaro e Stolfi approda ad Alianello, a Festa Campanile, a Riviello e Trufelli. Una terza linea del mito, quella antropologica, ha tre maestri in Ernesto De Martino, Giambattista Bronzini ed Enzo Spera. Se De Martino diede una lettura psicanalitica della religiosità contadina lucana e poi di quella salentina, Bronzini che apparteneva a quel mondo, si avvicinò con la delicatezza di chi intraprendeva un ritorno a Itaca mentre era in atto lo smantellamento della società tradizionale e i contadini già viaggiavano verso la modernità. Bronzini veniva dalla cultura dei Sassi, ne aveva vissuto grandezze e miserie attraverso la quotidianità del vicolo.

Originario di Matera, dove era nato il 4 settembre 1925, Giambattista Bronzini avrebbe raccontato analiticamente la vita quotidiana del mondo contadino lucano in un libro del 1964 e che trovammo di una poesia struggente, Vita tradizionale in Basilicata, (oggi nella riedizione della Congedo di Galatina). Partendo dalle historiole magiche, dalla cultura orale, dalle filastrocche per giochi e di questua, Bronzini ricostruiva la cronaca dei cortili, la ripetitività dei cicli dell’anno e della vita, un tempo che si consumava secondo il ritmo della nascita, del battesimo, cresima, partenza per il militare, matrimonio, lavoro e attesa infinita della morte. Una prova generale l’aveva già compiuta nel 53, quando dietro la lezione di Paolo Toschi e secondo il metodo sociologico del Van Gennep, che aveva studiato durante gli anni universitari presso la Sapienza di Roma, aveva pubblicato Tradizioni popolari in Basilicata.Ciclo della vita umana. Mentre accettava la cattedra di Tradizioni popolari all’università di Bari, si faceva sempre più chiara in Bronzini la via intrapresa, la cultura tradizionale bisognava investigarla non solo attraverso l’analisi diretta ma attraverso lo studio della cultura orale. Gli studi demoantropologici avrebbero aperto così il campo alle indagini di filologia, una passione mai celata dallo studioso di Matera, quasi in risposta al rimprovero che Pier Paolo Pasolini muoveva ne Il canzoniere all’assenza di raccolte e indagini sulla poesia popolare lucana, considerata dall’intellettuale friulano una cenerentola.

Mentre Bronzini continuava lo scavo nelle tradizioni popolari e si occupava del Maggio di Accettura e della tradizione dei maggi in Accettura. Il Contadino-L’Albero-Il Santo, oppure scandagliava i riti del pellegrinaggio alla grotta di San Michele sul Gargano e analizzava Mito e realtà della civiltà contadina lucana, dava fiato alla sua seconda anima, la passione per la cultura letteraria, per la produzione dotta o a metà strada tra l’oralità e la creatività borghese.

Ne sono testimonianza i molti studi pubblicati sulla rivista “Lares”, della quale Bronzini fu fondatore e poi gli studi sull’autore del  Cristo ne Il viaggio antropologico di C. Levi, l’edizione delle Fiabe pugliesi fatta per Mondadori con Giuseppe Cassieri nell’83, gli studi su Leopardi e la poesia popolare dell’800 (1975) quelli sul Tommaseo, sul Crocioni, dal quale aveva ereditato la passione per la poesia colta italiana e su L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro (1987) o la riscoperta delle frottole di Bisanzio de Lupis, il poeta quattrocentesco di Giovinazzo. E in questa molteplicità di vie è vissuto Bronzini, tra etnologia, poesia popolare e poesia colta, in una sorta di incerta passione tra il segno alto e il segno basso della cultura, tra la strada e lo studio, come alle origini della sua vita ci fossero sia le voci e i frastuoni dei traini e dei bambini di strada sia la luce tremolante della lucerna che illuminava i ponderosi manoscritti della grande poesia nazionale.

Vita tradizionale in Basilicata rappresentò a partire dal ‘64, per noi lucani una scoperta. Se Ernesto De Martino aveva dato dignità alla religiosità popolare, Bronzini esaltava ogni momento della nostra quotidianità, le filastrocche per giochi, i canti religiosi, le historiole magiche e ci spiegava che per millenni la nostra società era vissuta pietrificata nel reticolo della cultura orale e della ripetitività dei gesti e dei riti. Tutto si era consumato tra cicli della vita e cicli dell’anno, dal capodanno, alla befana, alla settimana di passione, alla pasqua, alle feste per la raccolta e poi per la semina. E insieme, c’erano la nascita, il battesimo, la cresima, il servizio militare, il matrimonio, l’attesa dei figli e poi la morte.

Ma nella formazione di Bronzini c’era un peccato originale, gli studi sulla poesia religiosa condotti con Paolo Toschi, la passione per le indagini che Giovanni Crocioni aveva avviato sulla contaminazione tra poesia colta e poesia popolare e infine l’utilizzo del metodo sociologico del Van Gennep. Segno alto e basso della cultura a volte si fondevano, altre volte si separavano. Bronzini aveva un’anima triplice o quadruplice. In lui c’era lo studioso della quotidianità contadina e dei ritmi attraverso cui la vita si propone ripetitiva, la vita della grande umbratilità dei contadini, poveri, straccioni, soggetti ai poteri come alle intemperie, alle disuguaglianze sociali e ai malanni della natura. Lo si veda nell’analisi del Maggio di Accettura e della tradizione dei maggi lucani o delle feste religiose pugliesi. E poi c’era il bisogno del meridionalista di impegnarsi nell’analisi di una tradizione contadina intesa come segno della subalternità. Lo spazio per la denuncia sociale e politica. C’era quindi l’accademico che teorizza le modalità dell’indagine e che espone costruisce polemizza sui metodi di analisi antropologica. Ma la terza o quarta anima di Bronzini restava forse la più prepotente. Dopo aver raccontato e studiato i tempi della miseria e della ciclicità, una stagione finita con l’ingresso nella modernità, l’intellettuale materano sentiva l’attrazione della cultura dotta, quella di Leopardi, di Tommaseo, di Croce, di Levi, di Scotellaro. E sentiva troppo forte il legame tra oralità, poesia borghese e vita tradizionale, al punto da farne una questione unica, una faccenda troppo raffinata e persino colta. Il che costituì nella sua vita motivo di distinzione e di frattura con le scuole di antropologia pura, da quelle del Cirese a quella di Carpitella e a finire a Lombardi Satriani.

Per i lucani Bronzini rappresentava l’altra faccia della lettura antropologica, il verso di quella medaglia che aveva sulla faccia opposta Ernesto De Martino e la sua analisi psicanalitica della vita contadina. Diciamo una parte nobile, la capacità creativa del popolo, l’invenzione di fiabe favole leggende miti, poemi epici e religiosi, frottole. Significava la via attraverso la quale la nostra cultura dispersa si riscattava, mentre trovava dignità quel mondo che la televisione aveva messo a tacere, lo stesso che la globalità e la postindustrializzazione stavano cancellando. Se Tommaso Pedio esaltava il brigantaggio come fenomeno politico e non più come atto delinquenziale, Bronzini difendeva l’identità culturale attraverso vie scientifiche, spiegava che avevamo avuto un grande passato, un passato popolare e contadino, fatto di sapienze orali e quotidiane, una scuola vissuta attorno ai camini e nei vicoli. Quella cultura era finalmente entrata nella storia ,grazie già a Carlo Levi e proprio con Bronzini non ne sarebbe mai più stata bandita.

                                                                                                        Raffaele Nigro

Giovanni Battista Bronzini è stato un antropologo e storico delle tradizioni popolari.

Fu allievo di Paolo Toschi all’Università di Roma, poi docente emerito di Antropologia culturale all’Università di Bari e direttore dal 1974 alla morte della rivista di studi demoetnoantropologici Lares.
Studioso di letteratura, attraverso l’opera dello scrittore torinese Carlo Levi, confinato in Lucania negli anni del fascismo, o del poeta lucano Rocco Scotellaro, Bronzini illustrò il mondo contadino della sua terra, colto nell’intima relazione con i cicli naturali e in quella più mediata con i fattori economici e sociali, mai dimenticando di richiamarne le tensioni spirituali e le ansie di riscatto nelle espressioni magiche e superstiziose della civiltà contadina degli anni Trenta e Quaranta.
È stato consigliere-fondatore della Fondazione Marino Piazzolla. Nel 2012 il comune di Accettura gli ha intitolato la piazza dell’incontro tra il Maggio e la Cima, i due alberi che si uniscono nella festa del Maggio di Accettura che il Bronzini ha contribuito in maniera determinante a riscoprire e valorizzare, partendo dai suoi primi studi sul campo effettuati dal 1969 in poi.
Il figlio Stefano è stato ordinario di Letteratura inglese sempre all’Università di Bari, direttore del Dipartimento di Lingue e tradizioni culturali europee del medesimo ateneo. Nel luglio 2019 è stato eletto magnifico rettore dell’Università di Bari

https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Battista_Bronzini

E’ SCOMPARSO IL PROFESSOR GIOVANNI BATTISTA BRONZINI

Addio, professore I suoi studi hanno fatto conoscere il “maggio” in tutto il mondo

di Angelo Labbate

Sono trascorsi ben trentacinque anni dal primo incontro con il prof Bronzini, ma il ricordo ha il nitore degli avvenimenti particolarmente cari e che hanno impresso una svolta nella vita. Era la primavera del lontano 1968. Dovevo sostenere l’esame di storia delle tradizioni popolari, disciplina che Bronzini insegnava all’Universitá di Bari. Nonostante sentissi una naturale predisposizione per la materia, ero molto teso. Non tanto temevo il professore, che, essendo materano, consideravo quasi un paesano. Mi preoccupava la sua assistente, la dottoressa Miranda, che negli ambienti studenteschi era considerata un cerbero. Solo un’infondata diceria. Sotto l’apparente scorza, la Mirando era ed é una donna di squisita dolcezza. Con improntitudine giovanile, feci un tentativo di “captazio benevolentiae”. Appena seduto, senza dar tempo agli esaminatori di pormi domande, chiesi al professore se conoscesse il maggio di Accettura. Con un sorriso vagamente ironico, mi rispose che ne aveva conoscenza attraverso una relazione inviatagli dal maestro Nicola Scarano, che da tempo pensava di studiaria sul campo e che era giunto il momento farlo.

Mi chiese di curare gli aspetti organizzativi della spedizione scientifica che intendeva attuare. Ero fuori di me per l’incarico ricevuto. Per prima cosa contattai a Matera il fotografo Rosario Genovese. Ma il compenso chiesto per fotografare e filmare la festa, 80.000 lire sembrò eccessivo per le scarse risorse dell’istituto. Fu così che il professore arruolò il medeivalista Giosuè Musca e il suo giovane assistente Franco Porsia, l’uno con l’hobby della cinematografia, l’altro della fotografia. “Giungemmo in macchina ad Accettura – ricorda Bronzini – la sera del 24 maggio 1969 dopo aver attraversato le valli del Bradano e del Basento e aver goduto stupiti la vista di ampie distese tappezzate di verde e di fiori campestri una vista ben diversa dall’immagine libresca di terra brulla che di solito si ha di tutta la Lucania.- Nella piazza principale ci fu presentato “Krusciov” (Giulio Onorati), uno dei personaggi più rilevanti del mondo popolare di Accettura. Egli era il segretario della sezione del Partito Comunista. Simpatizzammo subito con “Krusciov”, che ci parlò dello stato di miseria della popolazione e dei preparativi fatti per la festa di San Giuliano: festa, come abbiamo potuto constatare, che i comunisti, non meno degli altri (anzi!), sentono come una cosa propria.

La festa di San Giuliano, per chi la vive, come l’abbiamo vissuta noi, attraverso i personaggi umani del mondo popolare accetturese, che é il modo storicistico, l’unico valido, di penetrazione dei fatti culturali, é veramente la festa dei lavoratori senza lavoro e dei poveri della collettività, la quale, nel momento di alta tensione festiva, provocata dal rito, di sublimato distacco dal reale e dal quotidiano, manifesta piú che mai vincoli di unione, di fratellanza nella miseria, di reciproco aiuto, e con la sua totale e impegnata partecipazione alla festa comune reclama, implicitamente, giustizia non per l’uno o l’altro suo membro, ma per tutti.”

Subito si stabilisce un legame indissolubile e immediato tra il professore e Accettura; soprattutto con alcuni personaggi, il leggendario Zizilone, il forte Cialí, il burbero Cafarella, il bonario Rrusciov, il duro Totonno Volpe, il saggio Domenico Abate e si inizia il periodo d’oro del maggio di Accettura. II professore, dopo un primo resoconto pubblicato nella Rassegna pugliese e su Lares, pubblica il volume “Accettura, il contadino, l’albero, il Santo” e parla della straordinaria scoperta del “maggio” in tutti i congressi scientifici, in Italia e in Europa. Prima del 1969, nessun “maggio” era stato oggetto di studio o motivo di curiosità.

Taglio del Maggio 1971. Da sinistra Angelo Labbate, Laura Bronzini, Giovanni B. Battista Bronzini e Luigi Volpe

Alla fine della seconda metà dell’800, Cesare Malpica, un viaggiatore napoletano alla ricerca del pittoresco, capitato ad Accettura nel pieno svolgimento della festa, si limita ad annotare che si sparavano dei mortaletti “per non so quale festa”. D’altra parte, anche un’attenta studiosa della di feste popolari, come Annabella Rossi, in missione scientifica a Castelsaraceno, agli inizi degli anni ’60, non dá alcun peso al rito arboreo detto l’antenna. La segnalazione di Bronzini sollecita l’attenzione del mondo accademico.
Vittorio Lanternari, Alfonso Di Nola, Luigi Lombardi-Satriani, Aurora Milillo scoprono e studiano il maggio di Accettura, mentre registi come Folco Quilici e Francesco Canova e fotografi come Mario Cresci, Mario Dondero e Joseph Koudelka ne diffondono le immagini, Ginetto Guerricchio ne fissa sulla tela colori e calori. La festa degli altri, degli emarginati, dei poveri, quale realmente era quale l’aveva avvertita Bronzini, associando idealmente al pensiero di Gramsci il carcere di Turi, i suonatori della bassa musica della cittadina pugliese, anch’essi poveri tra i poveri, e la festa dei lavoratori senza lavoro di Accettura, in contrapposizione alla cerimonia ufficiale, diventa la festa dell’intera comunità.
Ed é anche il momento in cui il professore, lontano dalle aule universitarie dai libri, dagli studenti, dagli esami, dalla cittá, confessa di aver ritrovato la sua dimensione umana. Oggi il maggio è patrimonio di tutti gli accetturesi, quelli che sono rimasti in paese e quelli che sono sparsi per il mondo. La sua notorietà ha superato i confini nazionali.
Da negletta festa di paese é diventata festa “du Soleil”, una delle quarantasette feste piú belle del Mediterraneo. Un lungo percorso, non ancora concluso, all’inizio del quale c’é il professore Bronzini. Con Lui Accettura ha contratto un debito di gratitudine, che può sciogliere in parte dedicando alla memoria di Giovanni Battista Bronzini il museo dei culti arborei.
Addio, caro professore.

http://web.tiscali.it/paeseonline/paesebronzini/Addio%20professore.htm

Piazza G.B. Bronzini – 19 Maggio 2012
21 Maggio 2012
Bronzini e la dotta civiltà contadina nella sua Basilicata (R. Nigro Gazzetta del M. 18.5.2012)
Accettura dedica la piazza teatro dell’incontro tra la Cima e il Maggio a Giovanni Battista Bronzini, nel decennale della Sua scomparsa. Insigne antropologo e professore di Storia delle Tradizioni Popolari nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari per oltre quarant’anni.
Bronzini osservò e studiò per la prima volta nel 1969 il Maggio, cui rimase sempre profondamente legato come ricercatore e come uomo. Giovanni Battista Bronzini, nato a Matera il 4 settembre 1925 e scomparso a Bari il 17 marzo 2002, si laureò in Lettere all’Università di Roma nel 1947.
Allievo di Paolo Toschi e Angelo Monteverdi, con cui si era diplomato alla Scuola Vaticana Internazionale di Biblioteconomia, completò la sua formazione filologica in Francia e conseguì poi la libera docenza nel 1956, insegnando come incaricato nelle Università di Roma e di Bari. Dal 1962, come vincitore del concorso a cattedra, fu professore ordinario di Storia delle Tradizioni Popolari nell’Università di Bari, fondatore e Direttore del Dipartimento di Lingue e Tradizioni Culturali Europee. Insegnò anche nelle Università di Lecce e di Foggia e fu tra i fondatori dell’Università della Basilicata, dove per i primi due trienni presiedette la Facoltà di Lettere e Filosofia. Membro di prestigiose accademie scientifiche italiane e straniere, ricevette nel novembre 2001 il titolo di Professore Emerito dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Fu direttore della rivista «Lares» dal 1974 agli ultimi istanti della sua intensa e appassionata vita di studioso.
Associare ad Accettura e alla sua … straordinaria festa del Maggio il nome di Giovanni Battista Bronzini è naturale. È noto come sia stato proprio Bronzini, con un attento saggio pubblicato nella «Rassegna Pugliese» (1970-71) a divulgare, in ambito accademico e non, la conoscenza della festa, dando avvio a un intenso processo di osservazione e rappresentazione dell’evento rituale che ha visto protagonisti, a vario titolo e in diverse occasioni, anche altri antropologi, cineasti, giornalisti e grandi fotografi.
Bronzini si recò per la prima volta ad Accettura nel 1969, sollecitato dal suo allievo Angelo Labbate, a cui lo avrebbero sempre legato sentimenti di profonda stima e di grande affetto.
Molti anni sono passati da quel 1969 e molte edizioni della festa si sono avvicendate, conservandone la struttura narrativa e tutti gli elementi che scandiscono le varie fasi del rito e, nello stesso tempo, modificandone in parte valori, significati e modalità di partecipazione.
E a queste trasformazioni ha contribuito l’analisi di Bronzini, come dimostra il bel volume Accettura – Il Contadino – L’Albero – Il Santo (1979), da cui è partito il processo di interpretazione della festa come centro simbolico di identificazione storica e culturale in cui tutti gli accetturesi ritrovano la propria appartenenza.

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