CERONE GIACINTO

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CERONE GIACINTO

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Melfi (PZ) il 18 aprile 1957 – Roma 4 ottobre 2004

Scultore originario di Melfi, si è trasferito a metà anni Ottanta a Roma, dove ha condotto un’intensa sperimentazione sui materiali, dal legno alla ceramica, dalla ghisa al gesso, contemporaneamente ad una ricca attività grafica, rimanendo estraneo a qualsiasi corrente artistica.

Nel 1971 frequenta il Liceo artistico di Melfi sezione architettura. Durante i primi anni trascorre la maggior parte delle giornate ad esercitarsi con il disegno dal vero. Nel 1975 consegue il diploma di maturità artistica. Nell’ottobre dello stesso anno si iscrive all’Accademia di belle arti di Roma e segue il corso di scultura, prima con Umberto Mastroianni, poi con Pericle Fazzini.
Nel 1976 partecipa alle ricerche e all’allestimento della mostra “L’Accademia di Belle Arti e l’istruzione artistica” presso Palazzo Braschi di Roma.

Negli anni dell’Accademia segue i corsi speciali di Fonderia, Fotografia, Teoria della forma, Varie tecniche della scultura e Teoria della percezione visiva quest’ultimo tenuto da Nato Frascà.
Nel 1979 termina gli studi all’Accademia con una tesi su Vincent Van Gogh per il corso di Storia dell’arte tenuto da Cesare Vivaldi.

Ritorna in Lucania dove inizia a sperimentare tutto quello che l’Accademia gli aveva fornito a livello teorico come performance, fotografia e installazioni ambientali (gabbie e cubi). Insiste sulla sperimentazione ispirandosi a maestri della storia dell’arte come Duchamp, Malevic e Mondrian. Riproduce “Quadrato nero su fondo bianco”, “Broadway boogie-woogie”, “Percezione prospettica di un cubo nero dipinto su fondo bianco”.

Nel 1980, in occasione dell’estate melfitana, prepara tre giornate di performance: “Contrazione (Corpo su carta)” ispirato a Jackson Pollock, “Help dedicato a J. Dine” e “Z.I.N.C.O.”.
Nel 1981 è a Roma, con Nato Frascà si reca presso lo Studio internazionale d’arte grafica “L’Arco” in via Mario dei Fiori, crocevia di artisti, critici e poeti, per conoscere Giuseppe Appella.
Nel marzo 1983 viene richiamato a Roma da Pietro Perrone per la mostra “Scacco matto a Casaidea” alla Fiera di Roma.

Nell’estate dello stesso anno, Giuseppe Appella lo porta a Castronuovo Sant’Andrea (PZ) e tra le mura dell’antico Castello tiene la sua prima personale: “Dieci sculture e dieci motivi jazz di Giacinto Cerone”. In quest’occasione espone le sue prime sculture in rame. La serata inaugurale è filmata da RAI3 Basilicata.

Nel 1984 si stabilisce definitivamente a Roma e nell’ottobre del 1985 si sposa con Elena Cavallo.
Dal 1986 inizia a lavorare nello studio in vicolo del Bologna, 32 a Trastevere. Collabora alla rivista “Altrimmagine”, partecipando a Bari alla collettiva curata e organizzata dalla rivista.
Nello stesso anno riceve l’incarico per l’insegnamento di Arte dell’ebanisteria, dell’intaglio e dell’intarsio presso l’Istituto d’arte di via del Frantoio.

Nel 1987, l’Associazione Culturale Hobelix di Messina ospita la sua personale; nello stesso anno nascono le prime due ceramiche (Marsupio e Martini) in una piccola fornace in vicolo del Moro.
Entra in contatto con Maurizio Corraini e tramite l’editore-gallerista conosce Giosetta Fioroni con la quale avrà continuativi scambi intellettuali.

Nella primavera del 1987 conosce Mauro Zammataro e Corrado Bosi: nella sperimentazione di nuovi materiali, il loro appoggio sarà totale. L’attività grafica si intensifica e diviene sempre più autonoma dalla scultura.

Nel febbraio del 1988, con la visita al suo studio di Ennio Borzi (direttore della Galleria “Break Club” di Roma) vende le prime opere in legno (Bassorilievo, Inclinata, Lupo, Monaco, Utranquilla, Piccola inclinata, Spezzacatene) e le ceramiche Marsupio e Martini. In questa occasione conosce Barbara Tosi che scriverà un testo critico per il libro “Roma Arte Oggi”.

Iniziano i primi rapporti con la critica d’arte: Paolo Balmas, Martina Corgnati, Vito Apuleo, Flaminio Gualdoni. In occasione della mostra presso “Graffiti now atelier” di Verona, nel 1989, entrano nel suo lavoro due materiali nuovi: l’alluminio e la ghisa.

Nel marzo 1990 nasce il primogenito Michele, per questa occasione inaugura la sua prima mostra a Milano (Galleria Valeria Belvedere) dal titolo “San Michele”. Nel 1991 prepara la partenza con la famiglia per Albisola dove rimarrà quasi tutta l’estate, lavorando presso le Ceramiche San Giorgio con Salino e Poggi. Alcune opere prodotte ad Albisola saranno esposte in autunno a Verona in una mostra intitolata “Doppi Fiumi”, altre a Modena, nel 1992, presso la Galleria Roberto Monti in una mostra dedicata a Hölderlin dal titolo “Der Adler” (L’Aquila).

In questo stesso periodo visita il suo studio Raffaele Gavarro con il quale instaura da subito un’intesa professionale. L’8 gennaio 1993, Maurizio Corraini gli propone una produzione di ceramiche da realizzare presso la Bottega Gatti di Faenza (RA) di Davide Servadei.

Nel marzo dello stesso anno, inizia un lungo rapporto di lavoro con Valentina Bonomo che comincerà a seguirlo in maniera assidua tanto da presentarlo nella sua prima grande personale romana dal titolo “Aiaram” presso la galleria di piazza Santa Apollonia: conosce lo scrittore e storico dell’arte Mario Quesada, il collezionista Andrea Franchi e la poetessa Patrizia Cavalli.

Per un breve periodo lavora in uno studio in via dei Marrucini, nel quartiere di San Lorenzo, dove prepara le opere per la Galleria Bonomo. Al suo fianco l’allievo e assistente Valerio Ricci.
Nell’aprile del 1993 nasce Lorenzo, secondogenito. Nell’atelier di Luciano Trina, nel dicembre dello stesso anno, stampa delle incisioni monotipo; con Giosetta Fioroni un’acquaforte per “Incerti frammenti” di Andrea Zanzotto.

Nel  gennaio del 1994 lascia definitivamente lo studio di vicolo del Bologna per trasferirsi in via Sebastiano Grandis, 1 in Santa Croce in Gerusalemme.

Nascono la serie di opere in gesso e moplen (Il mare, prima scultura orizzontale, Disco con gigli, Sposa infelice, Calle appoggiate, Stele bucolica, Piazza Sonnino, Paesaggio tettonico).
Il tema di Ofelia, già inaugurato con la scultura “Vita di Ofelia” (1993) comincia ad essere una costante nella sua poetica. Da qui la mostra “Ofelia in traum” del 1995 a Verona.
In questo stesso anno interrompe definitivamente l’attività di insegnante.

Per Valentina Bonomo realizza i primi gioielli di ceramica, esemplari unici: il tema è la rosa. I gioielli sono il pretesto per approfondire e sfidare la ceramica come materiale da utilizzare per oggetti decorativi come il tavolo con carciofi, le tazze da tè di Mozart, le cornici come decorazione di camini, ecc.
Nel 1996 si allargano i contatti con le gallerie (Oddi Baglioni, Roma; Bottai, Bologna; Fioretto, Padova). Il suo lavoro diventa più complesso: inizia ad usare i merletti sulla ceramica, le opere in gesso sono eseguite senza la necessità di costruire uno stampo. A volte le sculture sono “popolate” da icone provenienti dagli stampi di oggetti (giocattoli, verza, acanto, carciofo, ecc.), evocando il ready-made duchampiano.

Espone la seconda opera orizzontale in Via degli Artisti, Associazione culturale circolo di Palazzo Giovine di Torino. L’opera è dedicata a Pino Pascali: occupa la superficie della stanza con una grande lastra in gesso costruita su misura, costringendo in tal modo il visitatore a guardarla solo dall’esterno. Per preparare l’installazione si trasferisce con la famiglia per 10 giorni ospitato dallo scultore Salvatore Astore. Con “San Savino”, esposta all’Attico di Sargentini (in “Giro d’Italia”) e le lastre in ceramica alla Galleria Oddi Baglioni (in “Paginette Faentine” con dedica a Domenico Baccarini), del 1997, si definisce l’idea per una scultura orizzontale.

Romolo Bulla visita il suo studio. Si instaura un rapporto che successivamente lo porta ad una collaborazione: nel 1998 esegue le prime litografie raccolte nella cartella  “Ofelia im Traum” presso la Bottega Bulla. Contemporaneamente Daniela Lancioni lo porta, con Marisa Albanese e Gianni Dessì, a Napoli alla Casina Pompeiana nella villa comunale e nello stesso periodo gli parla del progetto “Tor Bella in opera” presso lo Spazio per l’arte contemporanea Tor Bella Monaca di Roma. La possibilità di realizzare una grande installazione scultorea lo entusiasma a tal punto da eseguire una piccola litografia intitolata “Tor Bella Cosa”.

Pensando a Tor Bella Monaca, compone un libro d’artista ispirato alle rose che sottopone a Corraini: il libro sarà pubblicato postumo nel 2005.  Nel novembre del 1999 inizia la realizzazione della scultura in gesso nello Spazio per l’arte contemporanea a Tor Bella Monaca. L’opera è il monumento all’orizzontalità (cm. 300x3300x360). Ritorna sui temi e sulla politica della scultura greca: Fidia e il Partenone. Graziano Paiella ne racconta le giornate e i momenti di prosecuzione sino ad opera ultimata con la telecamera. Il giorno dell’inaugurazione in una intervista ad Antonella Reda per Rai3 Notte dice: “[…] Non ho mai visto un’opera d’arte figurativa davanti la quale la gente applaude. Commuove la musica, commuove la poesia […] un quadro commuove in modo silente. Non ho mai visto qualcuno applaudire davanti la Gioconda […] Vorrei che la gente applaudisse davanti ad un’opera non di certo davanti alla mia”.

Tra i presenti Graziella Lonardi Buontempo, che da subito lo accoglie tra i suoi artisti preferiti. Nel settembre 2003 esporrà nella collettiva “Incontri…dalla collezione di Graziella Lonardi Buontempo” all’Académie de France Villa Medici di Roma. Lavora per una mostra a Casa Musumeci Greco dal titolo “I soffincielo” (2000): per la prima volta la ceramica viene indurita e resa altro togliendole qualsiasi accezione pittorica. I soffincielo sono le prime dodici opere platinate più simili all’acciaio che alla ceramica.

Si prepara anche per la sua prima personale all’estero presso la David Gill Galleries di Londra, mostra curata e organizzata da Valentina Bonomo. In questo periodo nascono opere in ceramica che riportano iscrizioni ispirate alla Poesia. Quotidiane le riletture e le citazioni delle poesie di Hölderlin, Sandro Penna, Patrizia Cavalli, Eugenio Montale, Rainer Maria Rilke, Vincenzo Cardarelli e Isabella Morra.
Dedica a suo padre la mostra a Mantova del 2001 “Tripoli. Delle croci e delle delizie” e pubblica, con lo stesso titolo, un libretto d’artista per le Edizioni Corraini, Mantova.

A settembre è nella bottega Nicoli di Carrara dove esegue la sua prima ed unica produzione di marmi su commissione di Emilio Mazzoli. Il tema delle icone della mitologia (gli Argonauti) ritorna nel gruppo di opere “Donne per la storia”, personale presso Gasparelli Arte Contemporanea di Fano e nella mostra “Sant’Agnese” presso la galleria romana “Autori Cambi” di Matteo Boetti, entrambe del 2002. Ritrova il poeta Domenico Brancale col quale instaura una costante frequentazione e un fitto carteggio.

Nell’ottobre-dicembre del 2003 prepara le cere per dei gioielli realizzati in argento presso l’orafo Paolo Mangano. A febbraio del 2004 Alberto Zanmatti e Giuseppe Gallo lo invitano a realizzare un intervento scultoreo alla facoltà di Architettura “Valle Giulia”: “Una sposa infelice a Valle Giulia”, grande scultura in gesso, ultima opera di Giacinto Cerone.

Muore a Roma il 4 ottobre 2004.

A cura dell’“ARCHIVIO GIACINTO CERONE” ©

Cerone Giacinto – Autori (corraini.com)

Giacinto Cerone (1957-2004) – Scultore originario di Melfi, si è trasferito a metà anni Ottanta a Roma, dove ha condotto un’intensa sperimentazione sui materiali, dal legno alla ceramica, dalla ghisa al gesso, contemporaneamente ad un’altrettanto ricca attività grafica, rimanendo estraneo a qualsiasi corrente artistica.

Maurizio Corraini lo conosce grazie a Giovanni Usai, critico e collezionista vicino al gallerista, che gli presenta tra l’altro anche Pietro Perrone. Tra le prime mostre mantovane a vedere la partecipazione di Cerone, si segnala la collettiva organizzata da Corraini a Palazzo Ducale nel 1988, chiamata Oasi nello Spazio.

Nel 1993, tramite Maurizio Corraini, Cerone inizia a collaborare con la Bottega Gatti di Faenza, presso la quale produce un cospicuo numero di sculture in ceramica e conosce Giosetta Fioroni.

Tra i diversi volumi pubblicati con Corraini, si segnalano quelli della collana 10×10, usciti in occasione di alcune mostre presso la galleria. Il primo libretto della serie a cui prende parte Cerone esce in occasione della mostra Fucilieri, del 1990, con un testo di Martina Corgnati; il secondo è Molle di vetro, del 1993, con un testo di Giosetta Fioroni; per Molle di vetro produce, invece che un multiplo, una piccola serie di opere uniche.

Tra le numerose collaborazioni tra Cerone e la galleria mantovana, si segnalano la mostra Alpi Apuane, del 1995, Tripoli. Delle croci e delle delizie, del 2001, che dà il nome al libro d’artista che esce in occasione dell’esposizione, e Giacinto Cerone. 10 opere su carta, omaggio a Carol Rama, del 2003. Seguono numerose retrospettive organizzate da vari enti pubblici e privati.

Tra gli altri, la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, la Galleria di Arte Moderna di Torino e il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza conservano opere dell’artista.

Arte Del Novecento In Lucania: Da Joseph Stella A Giacinto Cerone. 1896-2004 (lucaniroma.it)

Arte del Novecento in Lucania: da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004

In coincidenza con la mostra organizzata dal MACRO nel decennale della scomparsa dello scultore Giacinto Cerone (Melfi 1957-2004), l’Associazione dei Lucani a Roma, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Municipio Roma II, ha organizzato l’incontro:

Arte del Novecento in Lucania. Da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004.

Ne ha parlato lo storico dell’arte Giuseppe Appella che ha conosciuto e in molti casi posto all’attenzione del mondo artistico i corregionali che hanno partecipato alle fasi più creative dell’arte moderna.

In occasione del 150° dell’Unità d’Italia, si erano intensificati studi ed approfondimenti sui contributi più significativi che personalità delle varie regioni avevano fornito alla costruzione del patrimonio nazionale di conoscenze, nell’arte come in altre discipline. Tra gli autori di rilievo , personalità che in varie occasioni erano stati protagoniste di eventi promossi dall’Associazione: Michele Tedesco, Mauro Masi, Rocco Falciano.

Il quadro emergente è stato spesso un sorprendente contrasto tra territori percepiti come estranei ai grandi movimenti e, invece, la presenza di fermenti in piena sintonia con i tempi, nel campo del cinema, della comunicazione, della musica alla base dell’ambiziosa candidatura di Matera a Città della Europea della Cultura  2019.  Scelta ambiziosa ma non infondata come è risultato dalla sua inclusione tra le 6 “finaliste”.

L’incontro del 6 giugno al MACRO, è parte dell’importante, necessario lavoro di diffusione della conoscenza relativa al grande patrimonio di ricchezza creativa e bellezza che anche la Basilicata conferisce al mondo dell’arte.

Il programma della serata è iniziato con la visita alla mostra di Giacinto Cerone svolta insieme alla curatrice Benedetta Carpi De Resmini. Seguito da brevissimi saluti del presidente dei Lucani a Roma, Filippo Martino e dall’Assessore alla Cultura del Municipio Roma II°, Agnese Micozzi che ha favorito il conferimento del patrocinio del Comune di Roma Capitale  all’iniziativa, in riconoscimento della rilevanza generale dell’evento Arte del Novecento in Lucania.

Da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004.

A seguire la relazione di Giuseppe Appella, momento centrale della serata che ha tracciato un’attenta analisi della vicenda esistenziale e creativa dell’arte lucana, supportando i vari momenti dell’accidentato percorso con una ampia, ma rigorosa, selezione di immagini di riferimento.

La costante esplorazione linguistica, presente negli artisti lucani cresciuti altrove (nel susseguirsi di generazioni, basta contare i nomi di Stella, Marino di Teana, Masi, Falciano, Guerricchio, Santoro, Pompa, Cerone), è posta tra due date: 1896-2004, la partenza da Muro Lucano per New York di Joseph Stella e la morte a Roma di Giacinto Cerone.

Sono tanti gli elementi che accomunano i due artisti, allontanatisi dai loro luoghi di origini alla stessa età, quindi la conferma di far parte, non solo agli inizi del secolo XX, di un’emigrazione non estranea nemmeno alla cultura artistica, la sconfessione di quella storia, tutta gattopardesca, di artisti che si guardano costantemente indietro, privi di collegamenti, di mercato e di collezionisti, di presenze nelle grandi esposizioni nazionali.

Napoli, da diversi decenni, ha perduto il ruolo di centro di produzione e di proposte, la pittura meridionale che, per tutto l’Ottocento, aveva trovato nell’Istituto di Belle Arti di Napoli e di Palermo due sicuri punti di riferimento, dopo l’Unità comincia a guardare a Roma e a Milano se non a Parigi o all’America.

In questo contesto, ricostruire la storia dell’arte lucana della prima metà del Novecento è arduo e difficile, tanta la fedeltà alla tradizione ottocentesca, sostenuta dalla classe al potere e quindi dura a morire, erosa dall’arte emergente, “nuova”, espressione di bisogni impensabili per quanti, abituati ai tempi lenti dei nostri paesi di allora, si erano ostinatamente seduti su una statica fedeltà di comunicazione.

La conversazione è servita, dunque, a sollecitare alcuni interrogativi e a evidenziare le radici linguistiche su cui lavorarono i giovani artisti della fine degli anni Cinquanta, sostenuti da Leonardo Sinisgalli attraverso “Civiltà delle Macchine”, e i giovani degli anni Ottanta che oggi troviamo immersi nella contemporaneità non solo italiana. Non è un caso se, nel 2011, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dedica a Giacinto Cerone una grande mostra delle sculture e delle ceramiche, seguita dall’antologica di disegni ora al MACRO, e, proprio in questi giorni, la Calcografia Nazionale, esponendo le sue opere dagli anni Sessanta a oggi, riconosce a Ninì Santoro, nel 2011 Premio Presidente della Repubblica, un posto di primo piano nella storia della grafica e della scultura del Novecento.



Ha chiuso la serata uno splendido intervento del prof. Giampaolo D’Andrea, Capo Gabinetto del MiBAC, intervenuto sia nel merito di specifici passaggi della relazione di Appella che del quadro complessivo del contributo degli artisti lucani all’arte del Novecento. Sottolineando al riguardo il particolare significato assunto dalla serata con il suo svolgimento in una sede prestigiosa come il MACRO.

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