FAMIGLIA SCARDACCIONE

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FAMIGLIA SCARDACCIONE

Lucania_d_oro bianco

Arma: Troncato: nel 1° d’azzurro, ad un lambello

di tre pendenti di rosso, sormontato da tre

stelle d’oro male ordinate; nel 2°d’azzurro,

a sinistra all’albero al naturale piantato

su un monte di verde, accostato a destra da

un leone d’oro posto su un monte di verde.

CENNI STORICI

La famiglia Scardaccione è tra le più antiche della Basilicata ed ha avuto un ruolo importante, con personaggi illustri nei campi essenziali della società dei passati secoli: la politica e le armi, la legge, le arti e cultura.

Le origini più antiche pongono nella Basilicata settentrionale questa famiglia. Essa appare successivamente attiva nella vita della città di Potenza. Infine, nella seconda metà del Seicento, la vediamo insediata a Sant’Arcangelo, sempre in provincia di Potenza: da quel momento è qui che essa si sarebbe costituita come nucleo anche fondiario di primo piano, continuando la propria tradizione attraverso le generazioni sino ai giorni nostri.

La documentazione di cui si dispone, tanto pubblicata che storico-archivistica inedita, mette in luce la nobiltà degli Scardaccione ben prima del loro stabilirsi in Sant’Arcangelo essendo essa una diramazione della potente casata Sinerchia, o Senerchia, di origine normanna, con rilevanti incarichi d’arme e giustizia nei secoli XIV-XV e con numerosi gruppi familiari insediati “in Principato, in Lucania ed in Puglia”, come riferito dagli storici Scipione Ammirato e Giuseppe Gattini.

Un’altra fonte, certo meno nota delle due precedenti, posiziona con maggiore precisione geografica il gruppo dei Sinerchia di Lucania, che appaiono stanziati oltre che nell’area di Rapone, citata anche dal Gattini, in località Sant’Andrea.

Si tratta di Jacopo Valentino che, nel 1752, ricorda come “don Orlando Scardaccione delli Sinerchia” (nato attorno al 1460/1465) fosse “Comite et Utile Signore di Sancto Andrea et Signore di Rapone”.

Don Orlando Scardaccione de Sinerchia, insieme al cugino don Amelio Sinerchia barone di Rapone, partecipò alla famosa congiura del 1485 ordita nel “castello del Malconsiglio” che è il castello di Miglionico (MT), costruito su un colle della città a partire dall’VIII-IX secolo, in una posizione strategica ove i baroni del regno opposero una resistenza all’opera di accentramento dello Stato perseguita dagli Aragonesi a Napoli. Tale evento è stato fedelmente ricostruito dal celebre storico cinquecentesco Camillo Porzio, che nel citare le famiglie coinvolte tra cui anche i Sinerchia, descrive le conseguenze politiche ed economiche subite per la loro partecipazione: l’inesorabile spossessamento dei feudi, l’emarginazione da privilegi e cariche.

 

HISTORIA FAMILIAE SCARDACCIONE – TERRAE SANCTI ARCHANGELI – MVCCLII

Della derivazione degli Scardaccione dai Sinerchia scrive diffusamente il Valentino, nel citato saggio incentrato sulla casata, redatto nel 1752. L’autore, con un’affascinante narrazione, porta ad individuare la nuova e definitiva localizzazione geografica degli Scardaccione in Sant’Arcangelo.

Il reverendo Valentino era stato precettore diretto di don Matteo Scardaccione (1732-1780), divenuto poi Dottore in Legge utriusque juris. Basandosi anche su atti

del notaio potentino Giovanni Scafarello (o anche Scafarella, Scafarelli), egli documentò accuratamente, proprio pensando alla discendenza del suo pupillo, le origini di quell’ “antiquo casato…collo sussidio de’ documenti pergamene et libri retrovati et possiduti delli istrumenti de’ notari di questa terra (Sant’Arcangelo) et della città de Potentia”.

Proprio scrivendo su don Orlando il reverendo Valentino riporta la spiegazione storica del cognome Scardaccione. Don Orlando, appartenente “alla nobile famiglia dei Sinerchia”, aveva aggiunto a tale antico cognome l’ulteriore denominazione di Scardaccione, essendosi egli dotato di un’arma particolare, una mazza in ferro dalla sagoma di un grosso cardo. Quel nuovo nome, da un siffatto simbolo, fu prescelto -scrive il Valentino per “motivi di forza”. Si potrebbe verosimilmente ritenere che ciò avvenisse non solo per la potenza in armi di don Orlando, ma anche a seguito delle violente ritorsioni subite dalla casata Sinerchia dopo la Congiura dei Baroni, per cui si appalesava conveniente una differenziazione dello stesso don Orlando dal proprio ceppo.

Il reverendo Valentino scrive di fatti che don Orlando aveva agito “etiamdio per distinzione dal Parentado suo”. Quell’arma recava incisa l’immagine di un leone rampante sull’albero. Un’immagine che compare nello stemma dei Sinerchia e che sarebbe rimasta il segno essenziale dello stemma degli Scardaccione.

Seguita il reverendo Valentino con la sua narrazione, ricordando come i figli di don Orlando, oramai insediati a Potenza, l’Abate don Aroncio, dottore utriusque juris e don Pietro Paolo, giudice e sposo di donna Antemia Corrado, tentassero di recuperare i beni confiscati qual punizione per la partecipazione della casata a quella violenta circostanza. Inutile si rivelò tuttavia la loro supplica, seppure essa fosse stata sottoscritta dalla migliore nobiltà della città.

Circa i sette figli avuti da don Pietro Paolo e donna Antemia, nonché per la successiva discendenza, nel corso del secolo XVI, si ha notizia solamente di don Francesco sposo di donna Laura de Scuris, di donna Laura sposa di don Ferrante Manese e di don Orlando, che divenne capitano d’armi.

Questo don Francesco ebbe due figli: don Pietro Paolo (come l’avo) e don Orlando (come il bisavo). Risale a questa generazione il passaggio del palazzo familiare di Potenza, unitamente a 200 tomoli di terra in enfiteusi, in mano alla locale famiglia d’Amatis, per via del matrimonio di un altro dei figli di don Pietro Paolo e donna Antemia con una fanciulla di tale famiglia gentilizia.

Il reverendo Valentino prosegue poi con l’albero degli Scardaccione, evidenziando il ruolo culturale del ricordato don Pietro Paolo quondam Francesco, religioso dedito alle lettere antiche e dotto in Sacre Scritture; egli scrisse due opere, “Dissertatione sopra la Povertà Religiosa” e “Trattato sull’aministratione dei Sacramenti”.

Don Orlando, secondogenito del quondam Francesco, diede invece discendenza alla casata, essendo andato sposo a donna Antonia Vendegna. Gli conseguì don Pietro Antonio (n. 1605), sposatosi con donna Laura Riviello, che ebbe due figli: don Giovanni (n. 1644), Doctor utriusque juris e don Domenico (n. 1650).

 

 

Dunque, con D. Giovanni (1644 † 1698) dopo il 1660, la famiglia si trasferì a Sant’Arcangelo dove fu ascritta al Patriziato di quel Sedile e dove tenne la Signoria dei casali di Cellesse e Terlizzi. Giovanni fu nominato Camerlengo del Consiglio Vicario e Governatore del Palazzo Viridario della Cavallerizza, dove veniva allevata una delle razze di cavalli più pregiate del Regno di Napoli, fece erigere la Cappella di Sant’Andrea a Terlizzi i cui privilegi furono confermati al nipote Matteo. Giovanni combatté alla battaglia di Spalato contro i Turchi nel 1687 come da lettere patenti del Conte Carlo Martinengo che lo menziona “Cap.no Don Giovanni Scardaccione Ecc.mo Nob. V.o della città di Potentia Util.mo Domi*s de castro Tirlitij e Cellexe, potestate et impero, et Cammerlengo de Or.e Cons.o Vic.o di Sancto Archangelo Gover*e in Sancto Archangelo, sendo d’arme et sanguine de la nobilissima gente de Sinerchia”.

Il barone Don Giovanni Scardaccione (1644-1698) sposò Donna Giulia de Grandis, nipote del vescovo Giulio De Grandis di Ferrara, il quale trasferì in Lucania la sua famiglia avendo ottenuto la cattedra di Anglona Tursi il 27 luglio 1547, e con cui giunsero altri personaggi di famiglie ferraresi, tra cui il suo Vicario, Annibale della nobile famiglia Ferniani di Faenza e probabilmente anche il notaio Antonio Giocoli il cui figlio dottor Marzio Giocoli, si trasferì in Sant’Arcangelo e sposò Giulia Cerabona nel 1595.

Poiché suo fratello Don Domenico, Governatore in Terra d’Otranto, era stato rapito nella Pasqua del 1667 dalla banda del Brigante Scurzo, Don Giovanni lo inseguì e, con l’aiuto dei parenti Sinerchia di Matera, lo riuscì a liberare con un agguato teso agli stessi rapitori, nel bosco di Roccanova a poche miglia da Sant’Arcangelo. Ferito riparò a Sant’Arcangelo dove fu ospitato dalla menzionata Nobile Famiglia dei de Grandis, ed in quell’occasione conobbe Donna Giulia che divenne poi sua moglie. Egli fu cavaliere di grande abilità, “…uomo di lame et destrieri”, come viene definito dal reverendo Valentino.

Don Giovanni, dunque, stabilitosi a Sant’Arcangelo ottenne molti benefici dalla Principessa di Stigliano Olinda Piccolomini (+ 1716) la cui figlia Giovanna van den Linden (o van den Ejden), figlia di Ferdinando Marchese di Castelnuovo sposò nel 1688 il Principe Don Giuliano Colonna (n. Roma 10-12-1671 + Napoli 11-4-1732), alla cui famiglia era legato da amicizia per aver salvato la vita in Napoli al padre D. Filippo Colonna (n. Roma 1642 + ivi 20-4-1686).

Don Giovanni ottenne come Utile Signore in S. Arcangelo i possedimenti di Cellesse e Terlizzi con annessi i diritti feudali, ed esenzioni fiscali.

Con Giovanni Scardaccione in quella zona la Famiglia costruì e accrebbe per secoli un vastissimo patrimonio fondiario, mantenuto, in parte, sino ai nostri giorni.

Monumenti, tombe e lapidi della famiglia si trovano nella Chiesa Madre di San Nicola, nella Chiesa dei Padri Riformati e nella Chiesa del Monastero di Orsoleo in Sant’Arcangelo, nel cimitero ottocentesco in Sant’Arcangelo (PZ), nonché nella Chiesa di San Michele Arcangelo in Senerchia (AV).

Figli di don Giovanni e d. Giulia de Grandis furono Don Andrea, il reverendo Arciprete don Pietro Antonio, e don Nicolò, nato nel 1670 circa, il quale, come si evince da un’ulteriore fonte, Gerardo Giocoli, fu autore di bellissimi distici iscritti lungo i corridoi che circondano il chiostro della Chiesa dei Padri Riformati di Sant’Arcangelo.

Quanto riportato da Ammirato e da Gattini, nonché dal reverendo Valentino si ritrova inoltre in due documenti archivistici assai interessanti.

Il primo di essi reca la data 1687 e proviene dall’archivio gentilizio Martinengo, famiglia comitale bresciana con origini prima dell’anno 1000, nota per condottieri illustri sin dal XIV secolo fino a tutto il XVII, attivi nel Ducato di Milano, sotto diversi re francesi a cominciare da Luigi XII, e naturalmente sotto la Repubblica di Venezia.

Per quanto concerne le attività nel Mediterraneo di quest’ultima potenza, durante le guerre contro i Turchi, fu famoso, tra tanti della casata, Carlo Martinengo del ramo dei Cesareschi (1615-1691), che intervenne con suoi armati in Dalmazia e Balcani, in Albania e financo a Budapest.

Nei suoi carteggi è stato rinvenuto un significativo documento con il quale, su suo impulso, veniva concesso un elogio, a carattere ufficiale in quanto trasmesso alla Serenissima, a don Giovanni Scardaccione per suoi atti di valore in battaglia proprio a Spalato.

Il documento elenca una serie di titoli e attributi nobiliari, con i quali evidentemente lo Scardaccione era riconosciuto al tempo suo ed egli è inoltre indicato come “discendente della nobilissima gente dei Sinerchia” per sangue e valore delle armi.

D. Andrea (1675†1742) figlio di Don Giovanni, ascritto al Sedile Nobile di S. Arcangelo, sposò nel 1723 D. Rosa La Ragione, sorella ed unica erede dei fratelli Alessandro e Decio, Nobili Patrizi di S. Arcangelo. Nel 1734 fece restaurare la cappella di famiglia, detenuta con jus patronato, che custodisce i resti di S. Fortunato Martire nella Chiesa dei Padri Riformati di Sant’Arcangelo decorandola, tra l’altro, con questo eloquente paliotto:

Stemma Scardaccione inquartato con lo stemma La Ragione, paliotto nella Cappella di San Fortunato con jus patronato della Chiesa dei Padri Riformati di Sant’Arcangelo

 

D.O.M.

SACELLUM HEREDITATE LARAGIONE OBTENTUM ARAMQ DICATAM SUB S. FORTUNATI M. US. DAE. INVOCATIONE ET SARCOPHACU NUPR. EXCITATU

PRO SE SUISQUE CINERIS ASSERVANDUM B.RO TIRLITII CELLEXIQ. D. ANDREAS EX NOBILI SCARDACCIONE SINERCHIORUM FAMILIA AERE SUO RESTAURANDAM EXORNANDUMQ. CURAVIT

D. M.D.CC. XXXIV.

 

A Dio Ottimo Massimo (questa) Cappella avuta per l’eredità La Ragione e l’altare dedicato sotto l’invocazione del Martire S.Fortunato sciogliendo un voto a Dio Eterno e il Sarcofago da poco eretto per conservare le ceneri sue e dei suoi, il Barone di Tirlizzi e Cellesse D. Andrea della Nobile Famiglia Scardaccione dei Sinerchia a sue spese li fece restaurare e ornare

nell’anno del Signore 1734”

MATTEO SCARDACCIONE  1732-1780

Merita interesse ricordare lo jus patronato sulla Chiesa di Terlizzi, che dimostra l’importanza della famiglia Scardaccione ed il suo ruolo nel territorio a partire da don Giovanni. Esso era stato riconosciuto nel 1752 per testamento a favore di don Matteo Scardaccione (1732-1780) quondam Andrea (1675-1742), quondam Giovanni (1644-1698), come recita la bolla del Priore Vincenzo Verde, di San Nicola nella Valle di Chiaromonte, in terra di Francavilla (Potenza), datata 1793: in essa gli Scardaccione, casata dagli “antiqui privilegi feudalis”, sono indicati come “Utili Domini”.

B.ne Don Matteo Scardaccione (1732-1780) nipote del B.ne Giovanni Scardaccione Governatore della Cavallerizza

Un secondo interessante documento, che appartiene alla famiglia Scardaccione, reca la firma del notaio Angelo Antonio Torraca ed è datato 1749.

Si tratta di una supplica che notabili di Sant’Arcangelo inoltravano ond’essere riconosciuti tra il patriziato locale da parte del “Nobilissimo Sedile”. Sono testimoni della supplica, tra varie personalità del luogo, anche gli Scardaccione, che, proprio data la loro posizione, possono dare sostegno alla stessa.

La lettura attenta del documento evidenzia per gli Scardaccione, senza alcun dubbio, un nobile patriziato di lunga data.

Onde meglio inquadrare il tenore del documento, si deve aggiungere che la supplica termina con una seconda carta, purtroppo molto danneggiata seppure chiaramente leggibile; essa venne redatta dal notaio Torraca -o da suo segretario nodaro- e chiama a personali testimoni del notaio stesso gli Scardaccione indicati come nobili ed illustri della città di Sant’Arcangelo.

Ancora nel corso del XIX e XX secolo gli Scardaccione continuarono ad avere un ruolo di rilievo nella vita culturale e politica della regione, e non solo.

 

B.ne don FRANCESCO SCARDACCIONE 1812-1872

Un posto di spicco è riservato, al Cavaliere B.ne don Francesco, Avvocato e Magistrato. Primo Presidente della Provincia di Basilicata, uno dei più facoltosi latifondisti della regione, che aveva sposato donna Rosa Amodio di Accettura, figlia dell’onorevole Giulio.

B.ne Avv. Francesco Scardaccione

Il matrimonio tra Francesco e Rosa Amodio fu sontuoso, allegro ed articolato e, successivamente al matrimonio di D. Teresa Amodio, nipote di D. Rosa Amodio in quanto figlia del fratello Nicola, con il Marchese D. Antonio Donnaperna residente nella vicina Senise, legò gli Scardaccione in parentela anche con questa ricca e molto influente famiglia nel circondario.

Inoltre, Teresa Scardaccione, sorella di Francesco, sposò Don Prospero Fortunato di Roccanova (n.1807 m.1877), imparentato con la Famiglia Fortunato di Rionero in Vulture, con la quale condivise anche rapporti politici. D. Prospero Fortunato, Avvocato, Capitano della Guardia Nazionale, Sindaco di Roccanova, fu un fondamentale alleato del cognato Francesco Scardaccione, i cui meriti vengono dal lui spesso richiamati.

Si deve aggiungere che in seguito al matrimonio (1857) della nipote Rosalba Fortunato di Roccanova, figlia di Prospero e Teresa Scardaccione, con D. Domenico La Cava di Corleto Perticara, vennero creati importanti legami anche con quest’altra nota famiglia, che sarà protagonista dei moti risorgimentali e che raggiunse il suo apice con Pietro (n.1835 m.1912) il quale, Segretario del Governo Prodittoriale Lucano, Vice Governatore in Lagonegro, Questore di Napoli, Presidente del Consiglio Provinciale di Basilicata, Deputato al Parlamento Nazionale, Vice Presidente della Camera dei Deputati, ricoprì più volte incarichi di Ministro e fu il primo Ministro delle Poste nella storia d’Italia.

Don Francesco Scardaccione fu tra i più apprezzati uomini politici d’ispirazione liberale del suo tempo, Capitano della Guardia Nazionale nel 1848 e componente del Circolo Costituzionale.

Gravi e solenni eventi, capolinea di storia lucana, vennero vissuti dal Francesco Scardaccione, successivamente al 1860 da lui eloquentemente descritti nella cronistoria della sua vita.

Alla morte di Ferdinando II il 22 maggio 1859, gli successe il figlio Francesco II il quale inizialmente seguì l’impostazione politica paterna. Ben presto, tuttavia, esercitò una politica più indulgente, concedendo molte autonomie locali ai comuni e ripristinando la Costituzione del 1848 concessa e poi ritirata dal padre.

Successivamente al plebiscito, quindi, nel 1860 Francesco Scardaccione venne nominato Sindaco ed eletto Capitano della Guardia Nazionale, e nel medesimo anno, venne eletto Consigliere Provinciale e poi Presidente del Consiglio Provinciale.  Il 18 ottobre del 1861, Francesco Scardaccione, all’epoca Presidente della Provincia di Basilicata, ricevette una lettera del Generale Pepe, Governatore della Provincia di Basilicata, con cui gli veniva trasmessa una lettera di Giuseppe Garibaldi, scritta in Caprera il 10 ottobre 1861. Nominato Senatore del Regno d’Italia, non poté ricoprire la carica perché deceduto poco prima di esserne investito.

 

Senatore Prof. DECIO SCARDACCIONE 1917-2003

Molto stimato, ai nostri tempi, è stato inoltre il Senatore Decio Scardaccione, Professore di Economia e Politica Agraria nell’Università di Bari, Segretario Generale della Confederazione Nazionale del Mondo Rurale negli anni 1960, fu nominato Presidente dell’Ente di Sviluppo di Puglia, Lucania, Molise ed Irpinia, Senatore della Repubblica (1968), Sottosegretario al Ministero degli Interni. Egli è ricordato tra i realizzatori della riforma fondiaria nel Meridione d’Italia.

Prof. Decio Scardaccione (1917.2003)

Si riporta integralmente l’esaustivo articolo della Dott.ssa Anna Mollica che descrive in maniera completa e dettagliata e la personalità e l’opera politica:

“Decio Scardaccione, economista, politico, agronomo, professore universitario, nasce a Sant’Arcangelo (PZ) il 28 marzo 1917 (settimo figlio). Il papà è il barone Don Giuseppe Scardaccione e la mamma Donna Maria Latronico di Tursi. Discende da una nobile famiglia lucana di proprietari terrieri risalente, pare, ad epoca normanna.

Il suo futuro sembra essere stato scritto proprio dalle origini. Frequenta infatti la Scuola Pratica di Agricoltura di Eboli (Sa) per poi diplomarsi all’Istituto Tecnico Agrario di Lecce. Nel 1943 consegue la laurea in Agraria presso l’Università degli Studi di Bari, di cui diventa docente di Economia e Politica Agraria. Da questo momento in avanti si avvia per lui quella che può essere validamente definita una missione, un progetto ad ampio raggio teso a riformulare in senso moderno il sistema produttivo del Meridione nel contesto del secondo dopoguerra che, economicamente si prepara a correre veloce. In particolare, si concentra sul mondo contadino dei territori lucani, pugliesi, campani e calabresi dove intende attuare la sua nuova visione di sviluppo che valorizza le tipicità di zone morfologicamente diverse.

Con questo parametro opera all’interno della programmazione regionale della Basilicata, avviata nell’autunno del 1965, sulla scia di quanto ha già realizzato negli anni precedenti, essendo stato uno dei protagonisti della Riforma fondiaria in qualità di Direttore Generale e poi di Presidente dell’Ente di Riforma. Nel 1950, infatti, diventa operativa la legge stralcio n. 841 del 21 ottobre, il cui fine è di rivoluzionare il settore economico primario in termini di ridistribuzione dei terreni e di riorganizzazione del lavoro agricolo. Si prospettano grandi cambiamenti in questa parte dell’Italia grazie anche all’operato della Cassa del Mezzogiorno, istituita nell’agosto dello stesso anno allo scopo di promuovere investimenti strutturali contro il dislivello economico con il Nord del paese. Infrastrutture, istruzione, grandi opere, industrializzazione avanzata, superamento del latifondismo sono gli obiettivi a cui guardare in funzione anche della crescita sociale e civile della popolazione locale.

È un quadro di grandi cambiamenti a cui il professore vi partecipa dinamicamente, tenendo persino corsi di formazione teorico-pratici ai contadini assegnatari della Riforma in linea, dopotutto, con l’attività formativa, pedagogica, educativa portata avanti nell’insegnamento universitario. Incoraggia lo sviluppo diffuso, la difesa della piccola impresa agricola, il pareggiamento delle condizioni di vita del mondo rurale con quelle del mondo urbano. Il contadino deve diventare imprenditore ed essere protagonista dell’intero processo produttivo, dalla piantagione, al raccolto, alla lavorazione dei prodotti, agevolato, in questo, da apposite attrezzature.

Tra la fine degli anni ’50 e gli inizi ’60 tali idee lo occupano totalmente. Si divide tra università, campi ed impianti lucani per vedere realizzata la crescita professionale, economica e sociale dei territori su cui ha competenza come dirigente pubblico. Ed intanto divulga la sua linea teorico-pratica nei saggi, editi dalla Laterza, Agricoltura meridionale e la nuova realtà storica che esce nel ‘58; Costi di produzione del grano duro in Italia e Cooperazione agricola e sviluppo economico entrambi del ‘59. Agli inizi degli anni ’60 è ormai l’uomo simbolo dello sviluppo agricolo meridionale. Il 18 agosto 1964 su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri è nominato Grande ufficiale Ordine al merito della Repubblica Italiana.

Gli anni a venire apportano ulteriori cambiamenti. Nel 1965 le Sezioni di riforma fondiaria vengono trasformati in Enti di Sviluppo. Decio Scardaccione, in qualità di segretario generale della Confederazione nazionale del mondo rurale e dell’agricoltura, diventa Presidente dell’Ente di Sviluppo di Puglia, Lucania, Molise ed Irpinia dove opera con generale approvazione del mondo contadino che gli riconosce onestà intellettuale avendo peraltro instaurato con lui un rapporto di reciproco rispetto.

Nello stesso periodo si istituiscono in tutte le regioni italiane i Comitati regionali per la programmazione economica, i CRPE, organi periferici del Ministero del Bilancio e della programmazione economica nazionale. Scardaccione viene scelto a presiedere il CRPE lucano e lavora per mettere a punto lo Schema di Sviluppo regionale per il quinquennio 1966-70. Gli obiettivi sono ambizioni. In primo luogo, il potenziamento della rete stradale con collegamenti veloci che dall’entroterra, seguendo le direttrici dei maggiori fiumi lucani, arrivino alle coste congiungendosi con l’autostrada tirrenica, già esistente, e quella jonica di futura realizzazione. Il progetto deve servire allo sviluppo economico della montagna secondo le intenzioni del presidente che vuole l’intero territorio connesso in un’ottica di crescita complessiva. E poi maggiore sostegno all’agricoltura di qualità con la costruzione di dighe, il perfezionamento della rete idrica e la creazione di Istituti agrari; investimenti per le industrie di diversi settori produttivi e per il turismo privilegiando quello costiero; utilizzo e valorizzazione delle risorse naturali ed umane locali, quest’ultime opportunamente professionalizzate e retribuite.

Tutto deve ruotare intorno al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione nella speranza che si freni l’emigrazione giunto in Basilicata a livelli allarmanti. Tra il ‘66 e il ‘67 il CRPE discute ed approva il Piano di Sviluppo che viene divulgato, con successo, al grande pubblico. Scardaccione, quindi, pubblica nel 1966 i seguenti saggi: La riforma fondiaria. Esperienze in Puglia, Lucania e Molise, Arti grafiche Favia e Il carciofo nella nuova agricoltura, Laterza Edizioni.

Arriviamo al 1968. Scardaccione è un esponente di spicco della Democrazia Cristiana lucana e, superando l’innata indole di uomo d’azione più che di teorico della politica, si candida alle elezioni per il Parlamento. Il successo è travolgente, vince nel collegio di Corleto Perticara (PZ).

Sarà Senatore della Repubblica per le successive cinque Legislature. Appena eletto è nominato Vicepresidente della Commissione Agricoltura, di cui diviene poi Presidente, quindi Sottosegretario al Ministero dell’Interno, partecipa al quarto Governo Moro ed approda al Parlamento Europeo come deputato.

Diventa un personaggio di levatura nazionale. Mostra presto la sua competenza in temi agricoli insieme al pragmatismo e all’essenzialità, abituato così dal rapporto con gli agricoltori di cui continua a visitare le aziende dispensando loro consigli. Nella sua visione di crescita economica vi sono punti fermi. Crede nell’intervento pubblico, nelle società miste pubblico-private ma sempre incentivando le Autonomie Locali e le libertà individuali che, più di ogni altra cosa, mai devono andare contro i meno abbienti. Aperto alle novità, plaude ad ogni nuova idea potenzialmente valida e si batte affinché si finanzino progetti innovativi e di sviluppo soprattutto delle aree interne. È convinto che la Questione Meridionale sia un problema nazionale poiché le ricadute di una crescita lenta non possono essere circoscritte al solo Sud.

Al X° Congresso provinciale della DC puntualizza: “Occorre dare subito una risposta a due interrogativi: è proprio vero che per acquisire la massima competitività economica, l’unica strada è quella della concentrazione degli sforzi nelle aree particolarmente avanzate? È proprio vero che nel Mezzogiorno d’Italia non esiste la possibilità di creare occasioni di lavoro ad alto livello produttivo? Noi rispondiamo che non è vero. Secondo noi è un gravissimo errore economico quello di ritenere che si possa conseguire una maggiore fruttuosità degli investimenti effettuati nelle zone in slancio. È dimostrabile invece che gli investimenti pubblici in particolare, ma anche quelli privati, rendono la più alta fruttuosità possibile, se eseguiti in quelle zone nelle quali la produttività non si era potuta evidenziare, perché sono mancate le premesse di ordine tecnico e legislativo, capaci di mobilitare le risorse esistenti”.

Prof. Decio Scardaccione con Aldo Moro

Il 25 luglio 1977 una legge regionale istituisce l’Ente di Sviluppo Agricolo di Basilicata, ESAB. L’agricoltura continua, dunque, ad essere al centro degli interessi della Regione che favorisce e sostiene con opportuni interventi ogni suo aspetto. Il senatore viene nominato presidente, incarico che gli consente di continuare a seguire questo settore con la sua proverbiale dedizione. Una dedizione che a qualcuno deve essere apparsa scomoda in quanto subisce un attentato per fortuna non letale. Siamo negli anni ’80. L’avvio di questo decennio è, da molti purtroppo, tristemente ricordato per il terremoto che nella sera del 23 novembre 1980 si abbatte su buona parte dei territori compresi tra la Campania e la Lucania. Quell’evento significa distruzione ma anche rinascita grazie agli aiuti di Stato che finanziano la ricostruzione di paesi totalmente o in parte rasi al suolo, e la nascita di industrie ed Istituzioni moderne capaci di favorirne il progresso.

L’Università degli Studi di Basilicata ne è la diretta conseguenza. Ma per conoscere il processo che porta alla sua fondazione è necessario tornare indietro di dieci anni. Aula del Senato, 21 gennaio 1971. Decio Scardaccione in occasione di un dibattito sulle misure per le nuove università dichiara: “Due sono dunque le ragioni fondamentali che spingono verso la riforma, l’ansia dei giovani per un’università migliore, adeguata alle loro aspirazioni e questa frattura tra corpo docente e studenti. Ora, secondo me, lo scopo fondamentale della riforma è quello di ristabilire in maniera più ampia, più moderna e più evoluta quel colloquio tra professore e studenti che una volta esisteva. Il rapporto che dobbiamo creare tra docenti e discenti è il rapporto tra il maestro, nel significato completo della parola, e colui che, animato da una grande ansia di apprendere, accetta il colloquio continuo con chi a sua volta ha un’ansia straordinaria di donare il frutto della propria esperienza. Mi permetto di dire che il professore deve veramente intendere la scuola e l’Università come un’occasione di formazione di vita giovanile e come un atto d’amore e di donazione continua. Ed è in questo atto di donazione continua che il professore stesso deve trovare soddisfazione alle sue aspirazioni, pur dovendo poter trovare nell’Università, attraverso la ricerca scientifica, l’appagamento all’ansia che egli prova verso la scoperta dei misteri della natura, nella ricerca di ciò che ancora non è noto”.

Il 20 settembre 1979 viene presentato uno specifico disegno di legge unitario per l’istituzione dell’Università in Basilicata condiviso sia da Scardaccione che dalle rappresentanze parlamentari lucane. Approvato dal Senato fu poi trasfuso in un emendamento al disegno di legge di conversione del decreto-legge sulla ricostruzione e lo sviluppo delle aree terremotate nota come la Legge 219/81 che detta, tra le altre cose, disposizioni finalizzate alla nascita dell’Ateneo lucano. Scardaccione è fortemente convinto che: “La Basilicata fino a quando non avrà la sua Università, non sarà una regione; non sarà una regione fino a quando i suoi figli, i suoi giovani non potranno studiare, vivere, operare e ricercare in Basilicata e per la Basilicata”.

L’Ateneo viene inaugurato a Potenza il 23 novembre 1983, a tre anni esatti dal sisma e alla presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Riguardo alla gestione dell’emergenza il senatore resta fedele al principio dell’autogestione e sostiene l’emendamento della cumulabilità delle provvidenze della cosiddetta Ordinanza 80 con i benefici previsti dalla legge per la ricostruzione al fine di non discriminare nessuno nell’erogazione dei finanziamenti.

Tantissimi sono gli atti parlamentari da lui promossi. Vi è uno dal titolo molto significativo “Intervento straordinario nel Mezzogiorno come presupposto della ripresa dell’economia nazionale (n.758/84), che volle presentare, insieme con altri colleghi, nel 1984 alla vigilia della discussione sulla liquidazione della Cassa del Mezzogiorno. Siamo nel corso della IX Legislatura, l’ultima per il senatore che termina la carriera parlamentare nel 1987. L’anno successivo l’Amministrazione comunale di Pomarico (MT) gli conferisce il premio Lucania d’Oro per la politica.

Decio Scardaccione muore a Roma il 29 marzo 2003. Scompare l’accademico e il politico autore di una vasta produzione scientifica e politica conservata presso l’Università della Basilicata e l’Università degli Studi di Bari. Soprattutto scompare l’uomo dell’innovazione e del concretismo illuminato, il padre della riforma agraria del Meridione che ha lottato per il riscatto di queste terre, alimentando in tutti l’orgoglio di riuscire a ‘farcela da soli’. Inamovibile nei convincimenti, inguaribile ottimista, legato ai fondamenti cattolici e democratici ha nutrito insofferenza verso le barriere economiche e sociali, anacronistiche e divisive, stando sempre dalla parte degli umili.

Incline all’ascolto e al dialogo ha instaurato un rapporto di reciproca comprensione con le persone che familiarmente lo chiamavano zio Decio. Nel marzo del 2017, nel centenario della sua nascita, Sant’Arcangelo gli dedica una piazza del centro storico.”

 

PARENTELE

La famiglia Scardaccione contrasse parentele con le più influenti famiglie in Sant’Arcangelo come i De Grandis, i La Ragione, i Guarini, i Cerabona, i de Ruggieri, i Giocoli, e nel circondario, come i Sarubbi di Lauria, gli Amodio di Accettura, i Porcellini di Stigliano, i Fortunato di Roccanova, i Latronico di Tursi, i Porcari di Matera ed altre.

 

RAMO PRIMOGENITO

Il ramo primogenito della famiglia, discendente dal defunto B.ne Giuseppe Luigi Salvatore, n. a Monza il 5 mar. 1937, † a Taranto il 5 lug. 1991, f. del B.ne Francesco Salvatore (n. a Tursi il 16 gen. 1905, † a Sant’Arcangelo l’8 gen. 1984, Avvocato, Cavaliere Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro) e di Giuseppina Porcari, Professore di Agraria, sp. a Roma il 31 lug. 1964 Elvira d’Alessandro, è rappresentato da:

  1. ne Francesco Decio Giovanni, n. a S. Arcangelo il 24 ago. 1965, Avvocato, Presidente del Centro Studi Giuridici “Cardinale Giovan Battista De Luca”, già Presidente dell’Associazione Dimore Storiche Italiane ADSI, Sezione Basilicata, Cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Cavaliere di Grazia dell’Ordine Equestre Costantiniano di San Giorgio, Membro dell’Accademia Araldica Nobiliare Italiana, sp. a Orbetello il 30 set. 1995 Stefania La Gamba, da cui: a) Elvira, n. a Roma il 6 ott. 2000 Dott.ssa in Lettere; b) Eliana, n. a Grosseto il 31 mag. 2003; c) Giuseppe, n. a Roma l’11 mar. 2005;
  2. Decio Giovanni, n. a Sant’Arcangelo l’8 nov. 1968, Dottore Commercialista; sposa nel 2014 Rossella Piccininni (1978), da cui Fulco Scardaccione (n. 2015);
  3. Andrea Giovanni, n. a Policoro il 19 ago. 1974, Farmacista, sp. a Trani il 23 giu. 2007 Vittoria Roberto, da cui: Jolanda, n. a Bari il 16 giu. 2008, Decio Matteo, n. a Bari l’1 set. 2010.

 

LA CAVALLERIZZA DI SANT’ARCANGELO

A circa tre chilometri dall’abitato di Sant’Arcangelo (PZ), vicino al greto del fiume Agri, si possono ammirare le mura di un originale Castello del Medioevo lucano. La costruzione del “Palazzo” risale al XIV sec. e fu realizzata nella pianura del fiume Agri, in mezzo ad estesi boschi, ad opera di Eligio Della Marra, importante famiglia feudale al tempo del Re Ferrante d’Aragona (il Vecchio), per l’allevamento e la selezione dei cavalli per cui fu realizzata la “Cavallerizza”. Per la importanza acquisita a suo tempo, non solo nel Regno di Napoli ma anche negli altri Stati italiani, il “Palazzo” fu inserito in tutte le mappe geografiche a partire dal ‘500.

Successivamente il castello della Cavallerizza passò alla famiglia Carafa e nel XVII secolo, durante il possesso di Antonio Carafa, P.pe di Stigliano, il Palazzo fu ampliato con la costruzione della “Carriera”, un galoppatoio coperto ad archi lungo più di 200 m.  e da un’ala con gli appartamenti degli scudieri e cavallerizzi posti sopra le scuderie.

La Cavallerizza raggiunse il massimo del suo splendore e l’importanza della razza di cavalli lì allevata fu giudicata “la maggiore del Regno” con Luigi Carafa, (1511-1576), nato da Antonio principe di Stigliano e di Beatrice di Capua dei conti di Altavilla. Luigi arrivò a possedere una scuderia di 100 cavalli e li condusse tutti con sé quando si recò a Bologna per l’incoronazione di Carlo V. In questa occasione si comportò “con tanto splendore… che superò particolarmente di cavalleria quanti signori… che in gran numero concorsero, di tutte le nationi…” (Aldimari, II, p. 381). La sua magnificenza lo spinse a donare parte dei cavalli all’imperatore e a distribuire gli altri tra i signori presenti. Questa generosità gli era abituale tanto che “teneva obbligati tutti i principi quasi dell’Italia e fuori e i cardinali col donare loro cavalli continuamente, di prezzo e di maestria” (ibid., p. 383).

Luigi Carafa di Stigliano


Marcantonio Colonna

La Cavallerizza raggiunse nuovo splendore ad opera di Giuliano Colonna (1671-1732)

P.pe di Stigliano che aveva sposato nel 1688 a Napoli Giovanna van den figlia di Ferdinando van den Eynde, I marchese di Castelnuovo e di Olinda Piccolomini.

  1. Giuliano Colonna nominò Governatore della Cavallerizza il B.ne di Cellezze e Terlizzi Giovanni Scardaccione. Da un ritratto equestre di questi, che aveva ricevuto in dono da detto Principe uno splendido stallone  di nome “Saittone”, è possibile riscontrare perfettamente le caratteristiche morfologiche della razza dei cavalli napoletana santarcangiolese.

Sotto il possesso di D. Marcantonio Colonna III principe di Stigliano, (1724–1796), nominato nel 1774 viceré in Sicilia, la Cavallerizza iniziò decadere come centro di allevamento equestre ed a perdere l’interesse dei suoi proprietari.

La cavallerizza oggi è proprietà della Famiglia Scardaccione di Sant’Arcangelo che ne ha curato il recupero ed il restauro.

Come doveva apparire la Cavallerizza nel XVII sec.

Come appariva la Cavallerizza ed il Palazzo nel 1960, vista da Sant’Arcangelo

Il complesso della Cavallerizza come appare dal 2019 dopo l’intervento di recupero e restauro.

La Cavallerizza – La Torre

Particolare dell’arco rinascimentale

 

PALAZZO SCARDACCIONE A SANT’ARCANGELO

Portale d’ingresso

Ingresso

Portale con terrazza a loggiato superiore

Palazzo Scardaccione – Facciata posteriore

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