CIASCA RAFFAELE

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CIASCA RAFFAELE

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Rionero in Vulture, 26 maggio 1888 – Roma, 18 luglio 1975

Professore di storia contemporanea fu autore di diversi studi storici sul meridinalismo, Senatore della Repubblica per tre legislature, nominato rappresentante del Senato nella Commissione presso l’Unesco.

Nato da Antonio (commerciante di legname) e Maria Donata Vucci, famiglia di estrazione borghese, frequentò, dopo le elementari, il seminario di Ascoli Satriano (FG) e il liceo presso l’istituto “Salvator Rosa” di Potenza. Crebbe con le idee di Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato, con il quale strinse un intenso rapporto di amicizia.

Fu, in seguito, studente di Lettere per un anno presso l’Università di Napoli, decidendo poi di trasferirsi all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, dopo aver conosciuto Gaetano Salvemini.

Si laureò nel 1913, e vide la sua tesi pubblicata nel 1916 (L’origine del programma per “l’opinione nazionale italiana” del 1847-1848, Milano, Albrighi e Segati) Partecipò alla Prima guerra mondiale, con il grado di ufficiale di Artiglieria e fu decorato con la Croce di guerra al valor militare.

Dopo la seconda laurea in Giurisprudenza, ottenuta nel 1919 all’Università di Urbino, insegnò Storia moderna dapprima alla Facoltà di Magistero di Messina (1923), e poi (dal 1925) all’Università di Cagliari, a quella di Genova, ed infine all’Università “La Sapienza” di Roma, dove insegnò Scienze Politiche a partire dal 1949. Ebbe inoltre l’incarico, durante gli anni della Seconda guerra mondiale, di Storia economica all’Università Cattolica di Milano.

Il 26 aprile 1922 si sposò con la scrittrice Carolina Rispoli. La coppia ebbe tre figli: Maria Amalia, la nota archeologa Antonia ed Eugenio.

Fu autore di numerosi volumi storici che s’inseriscono principalmente nel filone del meridionalismo. Una delle sue opere, Momenti della colonizzazione in Sardegna nel secolo XVIII, pubblicata in Annali di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari (1928), attirò l’interesse di diversi studiosi e politici tra i quali Antonio Gramsci.

Fu Presidente tra il 1950 e il 1967 del ricostituito Istituto per l’Oriente, nonché del Centro per le Relazioni Italo-Arabe. A partire dal 1951 fu presidente, dell’Istituto Storico Nazionale per l’Età Moderna e Contemporanea. Dal 1956 fu membro della prestigiosa Accademia dei Lincei.

Nel dopoguerra fu esponente del Partito Liberale. Nel 1948 diventa senatore per il collegio di Melfi nelle liste della Democrazia Cristiana e svolge una significativa attività parlamentare. È rieletto nel 1953 e nel 1957. Iscritto al Movimento Federalista Europeo, componente dell’Unione Interparlamentare, è nominato rappresentante del Senato nella Commissione presso l’Unesco.

 

Onorificenze

Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana

«Di iniziativa del Presidente della Repubblica»
— 2 giugno 1962

Croce di Guerra alo Valor Militare

 

Tra le diverse sue pubblicazioni si segnalano:

  • L’origine del Programma per l’opinione nazionale italiana del 1847-48(1916)
  • Constitutum artis et collegii medicorum, spetiariorum et merciariorum civitatis Florentiae, Firenze, Olschki, 1922.
  • L’arte dei medici e speziali nella storia e nel commercio fiorentino dal sec. XII al XV(1927)
  • Storia delle bonifiche del regno di Napoli(1928)
  • Storia coloniale dell’Italia contemporanea. Da Assab all’Impero(1938, 2ª ed., 1940)
  • Il problema della terra(1963)
  • Aspetti economici e sociali dell’Italia preunitaria(1973)

 

Bibliografia

Voce “Raffaele Ciasca” in AA.VV., Biografie e bibliografie degli Accademici Lincei, Roma, Acc. dei Lincei, 1976, pp. 837–843.

Michele Strazza, Lucani in Parlamento. Repertorio di deputati e senatori lucani (1861-1961), Venosa, EdiMaior, 2010.

Alberto Monticone, CIASCA, Raffaele, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 25, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1981.

CIASCA Raffaele in “Dizionario Biografico” – Treccani

https://www.treccani.it› enciclopedia › raffaele-ciasca…

 

di Alberto Monticone – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 25 (1981)

 

Nacque a Rionero in Vulture (Potenza) il 24 maggio 1888 da Antonio e da Maria Donata Vucci, in una famiglia borghese. Compiuti gli studi liceali nel seminario di Melfi, ove, ebbe modo di incontrare laici ed ecclesiastici di rilievo, si laureò in giurisprudenza a Napoli.

I suoi interessi culturali si indirizzavano sulle strutture e istituzioni del Mezzogiorno, nella scia della tradizione giuridica napoletana, ma sotto l’influsso della polemica meridionalistica dei conterranei G. Fortunato e F. S. Nitti. La ricerca storica fu pertanto uno sbocco naturale; il C. si trasferì a Firenze per frequentare l’Istituto di studi superiori e di perfezionamento, alla scuola di G. Salvemini, sotto la cui guida preparò e discusse nel 1913 la tesi di laurea in lettere, pubblicata nel 1916 a Milano col titolo L’origine del programma per “l’opinione nazionale italiana” del 1847-1848 (2 ediz., Milano 1965). Il soggiorno fiorentino e l’incontro col Salvemini furono determinanti per la sua formazione storica e per il definitivo orientamento verso i problemi sociali ed economici dell’Italia moderna, meridionale in particolare, ma incisero anche sulle scelte politiche del C., che iniziò allora, sia pure episodicamente, a collaborare all’Unità del Salvemini.

L’intervento dell’Italia nella guerra e la chiamata alle armi, se provocarono una interruzione nell’appena avviata attività C., lo misero però in diretto contatto con i problemi nazionali, visti con gli occhi di un ufficiale meridionale attento alle reazioni della sua gente al fronte. Subito dopo Caporetto riprendeva a scrivere sul periodico del Salvemini, condividendone l’impostazione democratico-interventista pur con una maggiore attenzione alle forme dell’assistenza ai contadini soldati e poi ai reduci. Rispetto al progetto salveminiano di riscatto politico e culturale delle plebi meridionali, si andava profilando nel C. una predilezione per il problema del latifondo, connesso alle responsabilità dello Stato e collocato in una cornice nazionale e popolare. Al latifondo dedicò diversi articoli nel corso del 1919 e del 1920.

Alle questioni inerenti alla proprietà e alla utilizzazione delle terre era rivolta anche l’attività di ricerca dei C., che nel 1921 pubblicava a Milano Il problema della terra, con prefazione di G. Prato (2 ediz., Padova 1963). Si inseriva così in quella impegnata produzione scientifica che, secondo i canoni della scuola economico-giuridica, affrontava i temi più vivi suggeriti dalle trasformazioni della società nel dopoguerra.

La terra, aspirazione secolare dei “cafoni” e dei “galantuomini” del Mezzogiorno, fu la grande protagonista delle più significative opere del C.: la terra come necessità per l’uomo, e come strumento di riscatto dell’uomo. Il problema della terra non era affrontato con il fatalistico pessimismo di certo meridionalismo coevo, né con angusta contrapposizione tra agricoltura e industria: nelle sue ricerche diveniva fattore essenziale per un profilo reale della società nel suo complesso, e mezzo per avvicinarsi alle realtà sociali anche le più distanti dal mondo contadino. La valutazione storico-politica era raggiunta attraverso l’analisi di aspetti sino ad allora poco considerati: regime delle acque, vie di comunicazione, malattie sociali, funzione degli investimenti. Con operazione simile a quella compiuta dal Salvemini nel rapporto fra istruzione ed emancipazione politica e sociale dei contadini, il C. accostava il tema della distribuzione della proprietà a quello della conduzione e dei mezzi tecnici, ambientali e sociali, per un effettivo riformismo. La prospettiva “umanistica” della terra portò il C. a rinnovare gli studi di storia dell’agricoltura e a collocarsi al centro dell’indagine sulle origini sociali dell’Italia contemporanea.

Conseguita la libera docenza in storia moderna, il C. insegnò dapprima nell’università di Messina (1923-25), Poi (1925-30) in quella di Cagliari. Se gli anni fra il 1922 e il 1925 furono assai fecondi per la sua maturazione e per l’estensione dei suoi interessi alla storia economica della Firenze tardomedievale ed alla Lombardia ottocentesca, egli non rimase però estraneo alle vicende dell’avvento al potere del fascismo, giudicato un fatto negativo per la soluzione dei problemi del Mezzogiorno. Attratto dalla proposta politica di G. Amendola, il C. prese parte alla fondazione della Unione meridionale, e poi alla costituzione della Unione nazionale.

Quando Amendola infatti, in seguito ai buoni risultati elettorali delle forze da lui animate nel Sud, progettò una nuova organizzazione per raccogliere i democratici miranti a una effettiva rinascita meridionale, il C. nel luglio 1924 si incaricò, insieme con l’amico G. De Ruggiero, di fondare in Basilicata una sezione dell’Unione meridionale, aderendo poi durante l’estate alle reazioni ed alle iniziative del gruppo in seguito al delitto Matteotti. Firmò il manifesto-programma dell’Unione nazionale, distribuito a Roma l’8 nov. 1924 nella grande adunanza che diede l’avvio alla nuova formazione politica, e collaborò subito alla rivista Il Saggiatore, quindicinale fondato a Napoli da alcuni intellettuali antifascisti e diretto da G. Marone. Il manifesto della rivista, pubblicato nel primo numero (10-25 dic. 1924), recava la firma del C. insieme con quelle di V. Arangio Ruiz, C. Cassola, G. De Ruggiero, L. De Simone, A. Fraccacreta, M. Grieco, G. Ingrosso, S. Macchiaroli e G. Marone, ed era una recisa professione di fede antifascista e un richiamo al Risorgimento come ispirazione per la riconquista della libertà.

Sottoscrisse anche, con altri intellettuali fra cui Salvemini e De Ruggiero, la lettera di adesione alla denuncia di G. Donati contro E. De Bono. Ancora nel giugno 1925 il C. pubblicava nel Saggiatore l’articolo Scrittori di opposizione: Salvemini, ed era poi tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti; ma la repressione delle opposizioni e il silenzio imposto dal regime spinsero il C. a ritirarsi dal dibattito politico ed a limitarsi alla ricerca e all’insegnamento.

Durante l’insegnamento a Cagliari il C. raccolse e stampò una ricca bibliografia sarda, pubblicò diversi i contributi di esplorazione archivistica sulle fonti economico-sociali, e propose a P. Fedele, ministro della Pubblica Istruzione, un grandioso piano di ricerche negli archivi spagnoli sulle fonti relative all’Italia per i secoli XII-XVII, anticipando quello che sarebbe stato assai più tardi un settore di attività dell’Istituto storico italiano. L’opera più notevole di quel periodo fu, comunque, la Storia delle bonifiche del Regno di Napoli (Bari 1928; 2 ediz., in Aspetti economici e sociali dell’Italia preunitaria. Saggi, Roma 1973): di grande rilievo metodologico, affrontava gli aspetti tecnici delle riforme del sistema idrico e colturale meridionale in una prospettiva “umanistica” di stimolanti suggestioni per la storia del quotidiano e dell’ambiente.

Se la tematica meridionalistica nel C. di quegli anni aveva provocato una sua lenta ma effettiva conciliazione col fascismo – forse per influsso di taluni proclamati e promessi interventi nel Sud -, questo avvicinamento proseguì poi anche sulla base dei suoi nuovi interessi alla storia coloniale e alla presenza italiana nel mondo, che muovevano ancora una volta dai tradizionali orientamenti di molta parte della cultura democratica meridionale. Questo del C. fu del resto, tra la fine del ’20 e la prima metà del ’30, episodio non isolato: l’accostamento al regime, pur con motivazioni diverse, fu più in generale una vicenda della organizzazione del consenso degli intellettuali da parte del fascismo. Intanto il trasferimento, nel 1930, alla cattedra di storia moderna nell’università di Genova, favoriva i suoi studi della politica internazionale degli Stati premilitari, accanto all’approfondimento dello sviluppo del Mezzogiorno.

A numerosi lavori sul riformismo settecentesco si accompagnò una intensa collaborazione alla Enciclopedia italiana con la redazione di molte voci su città, personaggi e problemi del Meridione: per es. “camorra”, “latifondo”, “mafia”, “Mezzogiorno (questione del)”, “Basilicata”, “Puglia” e quasi tutte le città della regione, “Sardegna”, ecc. Mentre dedicava vari corsi universitari alle principali colonizzazioni europee, il C. studiò la vicenda italiana nell’Africa orientale, le cui origini venivano connesse con il dibattito sull’emigrazione e con la Compagnia marittima Rubattino, intervenendo in materia anche su giornali (Il Lavoro di Genova nel ’35, Il Telegrafo di Livorno nel ’36, La Gazzetta del Mezzogiorno nel ’37).

Nel 1938 usciva a Milano il suo volume sulla Storia coloniale dell’Italia contemporanea. Da Assab all’Impero, nella collezione storica Villari della casa Hoepli (2 ediz., Milano 1940). Era un grosso lavoro, informato, dettagliato nelle indicazioni bibliografiche sui vari periodi e problemi; il C. estendeva ed applicava i canoni della sua indagine sulle terre meridionali all’Africa, e l’interpretazione patriottica della guerra coloniale era ugualmente estensione dell’ideologia dell’interventismo democratico e del populismo meridionalista, più che opera di propaganda fascista. Dopo la caduta del regime il C. ritornerà con ideale continuità sul tema (La politica coloniale dell’Italia, in Questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, Milano 1951, pp. 645-706).

Più chiaramente propagandistica fu nel 1939 e sino al 1942 la sua collaborazione al Telegrafo, diretto dallo stesso G. Ansaldo che sino al ’35 aveva diretto Il Lavoro di Genova; pur atteggiati a contributi storici, gli, articoli del C. svolsero i temi cari al regime fascista nella polemica antifrancese, con riferimento al Mediterraneo e antibritannica, in tema coloniale. Gli era intanto sorto un crescente interesse al problema storico dell’Europa nella sua ideale unità. Proprio sull’Europa si svolse la collaborazione del C. nell’estate 1942 alla rivista di G. Bottai Primato, con due articoli (1° luglio e 1° agosto) che, pur risentendo delle suggestioni di riordinamento europeo proclamato dal nazismo e di una netta espunzione della Russia dai confini ideali del continente, si inquadravano nel polivalente richiamo alla storia e all’idea europea espresso allora dalla rivista. Ad essa il C. diede ancora altri brevi contributi, in genere recensioni, nei primi mesi del ’41, ma anche un articolo nell’ultimo fascicolo (dell’1-15 ag. 1943), sul lavoro italiano nel ‘500 e nel 1600.

Sulla rivista, e altrove, il C. era venuto rivalutando l’originalità della tradizione storiografica del suo primo impegno meridionalistico, in fondo mai abbandonata, accrescendola ora di elementi riferibili al popolarismo cristiano e alla più generale attesa degli intellettuali per una rifondazione di civiltà. La caduta del fascismo, liberandolo da remore esterne e dando spazio a queste convinzioni, favorì un suo diretto rientro nella politica. Nell’inverno ’43-’44 il C. visse appartatissimo a Roma, ospitando un suo antico amico e collega, Gino Luzzatto; dopo la liberazione della città prese a collaborare a diverse testate, prima a Risorgimento liberale e a L’Idea liberale, poi dal 1946 al 1948 con frequenza al Globo, il quotidiano economico-finanziario fondato da L. Barzini junior.

Proprio dalle pagine del Globo il C. si fece ardente propugnatore di un nuovo impegno dello Stato nel Mezzogiorno, imperniato su un afflusso di capitali per l’industrializzazione ma anche per la riforma agraria, articolata sulla piccola proprietà, l’appoderamento dell’incolto, la fornitura di finanziamenti ai contadini. Ma l’ambiente liberaldemocratico prefascista non gli parve il terreno adatto a dar vita a una rinascita del Sud, che il C. riteneva ora possibile a opera della Democrazia cristiana di De Gasperi, nella quale scorgeva connotati popolari e dalla quale sperava un energico e capillare intervento.

Candidato nelle liste della Democrazia cristiana in Basilicata, il C. venne eletto senatore il 18 apr. 1948 per la prima legislatura e confermato il 17 giugno 1953 per la seconda, durante la quale fu presidente della commissione permanente Istruzione Pubblica e Belle Arti e membro della giunta consultiva per il Mezzogiorno.

Come parlamentare si impegnò essenzialmente in due settori: la politica per il Mezzogiorno e i problemi della Pubblica Istruzione. Particolare rilievo ebbero diversi suoi interventi in materia di riforma dell’insegnamento universitario e medio, nonché per la tutela, catalogazione e conservazione dei beni culturali, specie archivi e biblioteche. In politica internazionale lazione del C. si collegò con i suoi interessi di studio, attraverso la promozione del movimento per l’unità europea e della intensificazione dei rapporti con i paesi africani ed arabi (presidente dell’Istituto per l’Oriente, il C. fondò e diresse con E. Insabato dal 1953 la rivista italo-araba Levante).

Nel 1951 passò alla cattedra di storia moderna nella facoltà di scienze politiche dell’università di Roma, dove aveva già tenuto corsi dal 1944, rimanendovi sino al collocamento fuori ruolo nel 1958; dal 1952 fu anche direttore dell’istituto storico della facoltà. La presenza del C., insieme con quella di studiosi quali R. De Mattei, M. Toscano e poi G. Perticone, costituì un fattore di ritorno al rigore degli studi, e a un approccio al politico attraverso la mediazione di una seria ricerca scientifica.

Il C. svolse un importante ruolo anche nella promozione e organizzazione degli studi storici nazionali. Nominato nel dicembre 1951 presidente dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, succedendo alla gestione commissariale di G. De Sanctis, il C. tenne la carica vitalizia fino al dicembre 1973, quando se ne dimise. Sorto nel 1934, l’Istituto aveva intrapreso un’importante attività di edizione di fonti e la preparazione scientifica di studiosi comandati presso l’annessa Scuola dall’insegnamento secondario e dagli Archivi di Stato.

Col C., la collana “Fonti per la storia d’Italia” saliva da quindici a centoventiquattro volumi, tra cui i carteggi di F. Guicciardini e di B. Ricasoli, i documenti delle relazioni diplomatiche fra gli Stati italiani preunitari e le grandi potenze europee (1815-1861), e le nunziature italiane. Egli stesso, come curatore, pubblicò (Roma 1951-68) le Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi in Spagna (1494-1797), in sette volumi. Vennero iniziate le nuove collane “Studi di storia moderna e contemporanea” e “Italia ed Europa”. La Scuola accrebbe i contatti col mondo universitario attraverso una scelta di insigni docenti, e nel 1971 ai ricercatori comandati affiancò i borsisti. La ripresa nel 1953 della pubblicazione dell’Annuario dell’Istituto fa ulteriore contatto con la ricerca in atto in Italia.

Negli ultimi anni il C., senza cessare gli studi, aveva accresciuto la sua riflessione sul ricordo di illustri maestri meridionalisti (Fortunato, Nitti, Salvemini) o di protagonisti meridionali con i quali aveva collaborato (per es. don G. Minozzi). Morì a Roma il 18 luglio 1975.

Manca un elenco completo delle opere del C.: un primo catalogo, con lacune, è la Bibliografia degli scritti di R. C. (1910-1965), edita in L’origine del programma per “l’opinione nazionale italiana”, 2 ediz., volume di onoranze in occasione della nomina a professore emerito (cit., pp. IX-LXXVIII) Gli scritti più importanti, oltre quelli a citati: Statuti dell’arte, dei medici e speziali, Firenze 1922; L’arte dei medici e speziali nella storia e nel commercio fiorentino dal secolo XII al XV, ibid. 1927; Borghesia e classi rurali nel Mezzogiorno durante il sec. XVIII, in Storia e politica, II (1963), pp. 1-34, ora in Aspetti economici e sociali, cit.

Fonti e Bibl.: Necr. in Univ. degli studi di Roma, Annuario per gli anni acc. 1973-74 e 1974-75, Roma 1978, pp. 2399 ss.; G. Fortunato, Carteggio 1865-1911, a cura di E. Gentile, Bari 1978, ad Ind.; E. R. Papa, Storia di due manifesti, Milano 1958, p. 28; G. De Ruggiero, Scritti politici 1912-1926, Bologna 1963, p. 73; Il delitto Matteotti tra il Viminale e l’Aventino. Dagli atti del processo De Bono…, a cura di G. Rossini, Bologna 1966, p. 110; A. Saitta, Prefazione a R. Ciasca, Aspetti economici e sociali…, Roma 1973, pp. VII-X; M. Simonetti, Risorgimento e Mezzogiorno alle origini della storiografia contemp. in Italia. P. Silva e R. C. fra “La Voce” e “L’Unità” (1911-1915), in Atti e mem. dell’Accad. toscana di sc. e lett. La Colombaria, n. s., XXIV (1973), pp. 213-296; A. Monticone, Per una ricerca sull’opera storica di R. C., in Storia e politica, XV (1976), pp. 171-178; “Primato” 1940-1943, a c. di L. Mangoni, Bari 1977, pp. 245, 531 s., 536 s., 539, 541; C. Rispoli Ciasca, La giovinezza di R. C. tra G. Fortunato e G. Salvemini, Roma 1977; E. D’Auria, Liberalismo e democrazia nell’esperienza politica di G. Amendola, Salerno-Catanzaro 1978, pp. 37, 244-300.

http://www.tucciariello.it/Personaggi/Ciasca_Raffaele/index.php

Un ricordo nel 40° anniversario della morte. Il suo palazzo è in grave stato di degrado

La casa natale di Rionero si trova in grave stato di degrado e sta cadendo a pezzi

CIASCA, ILLUSTRE FIGLIO DELLA LUCANIA

Discepolo di Fortunato fu insigne storico e senatore della Repubblica
di Michele Traficante

“Uscito dalla scuola ideale di Giustino Fortunato, rivolse la sua attenzione di storico all’analisi delle strutture economiche, sociali e finanziarie del Mezzogiorno d’Italia” (Giovanni Caserta).

Raffaele Ciasca nacque a Rionero in Vulture il 26 maggio 1888 da Antonio e da Maria Donata Vucci. Era, la sua, famiglia modesta. Il padre, di origini contadine, aveva un avviato commercio di legname che trasformava in carbone vegetale. Famiglia fortemente legata alle tradizioni, profondamente religiosa, lavoratrice indefessa, patriarcale. Raffaele frequentò, dopo le elementari, il seminario di Ascoli Satriano (Foggia) e conseguì la licenza liceale presso il Ginnasio-Liceo “Salvator Rosa” di Potenza. Per la sua viva intelligenza e la passione per lo studio, fu subito notato dal senatore Giustino Fortunato che lo ebbe sempre caro e lo indirizzò amorevolmente verso studi impegnativi e di grande respiro.

Così il giovane Raffaele Ciasca, “Raffaeluccio”, come amava chiamarlo don Giustino, frequentò con profitto l’Università di Napoli e poi passò all’Istituto Superiore di Firenze ove si laureò brillantemente con la tesi: “L’origine del programma per l’opinione nazionale italiana del 1847-48”, pubblicata nel 1916. Opera poderosa, questa, che rimane tra i lavori di maggior interesse.

Antonio Gramsci dal carcere, il 9 dicembre 1926, scrisse alla moglie Tatiana, chiedendo l’invio proprio questa poderosa opera dello storico di Rionero. Ciasca fu uomo di grande cultura, ricercatore appassionato, studioso profondo della storia del Mezzogiorno, sul quale aveva lungamente meditato, facendo tesoro degli insegnamenti di Giustino Fortunato e di Gaetano Salvemini. Ebbe come compagna di vita Carolina Rispoli (1893- 1991), letterata e scrittrice di Melfi, definita la “Matilde Serao della Basilicata”. Si può dire che l’esistenza di Raffaele Ciasca, il suo modo di fare cultura, può racchiudersi nella massima di André Gilde: “…porre la propria ambizione non già nel comandare, ma nel servire”. E la vita di Ciasca fu tutta dedicata a servizio della cultura, dello studio della sua terra, delle lotte contadine per il possesso della terra e il conseguimento di migliori condizioni di vita. Frutto di questi studi e ricerche, che spaziarono per quasi un cinquantennio, è la vastissima produzione di opere di cui citiamo alcune: “Il mezzogiorno d’Italia, anteriore alla Monarchia”, “Per la storia delle classi sociali nelle province meridionali”, “I fiorentini nella zona del Vulture”, “Riforme agrarie antiche e moderne”, “Il problema agrario in Basilicata”, “La lotta per la proprietà della terra”, “Il congresso mariano a Rionero in Vulture”, “Giustino Fortunato intimo”.
Nel 1911, in occasione del primo centenario dell’elevazione di Rionero a comune autonomo, pronunciò un discorso che ebbe vasta risonanza per l’accuratezza della ricerca storica sulle vicende della gente del Vulture. Durante la prima guerra mondiale fu ufficiale di Artiglieria e combatté sull’altipiano di Asiago; fu decorato di Croce di Guerra al V.M. Notoriamente antifascista, firmatario dei manifesti Croce e Salvemini, di protesta degli intellettuali dopo il delitto Matteotti, rimase a Cagliari sette anni, lasciando alla Sardegna uno strumento di lavoro inestimabile: la grande “Bibliografia sarda”. Dopo l’ultima guerra fu eletto senatore della repubblica nel Collegio di Melfi per la Democrazia Cristiana e rieletto senatore nel 1953 nella stessa circoscrizione. Ciasca fu uomo di grande signorilità, dalla squisita gentilezza del tatto, dalla sconfinata modestia, dalla semplicità dei modi. A distanza di oltre un trentennio dalla sua scomparsa (morì a Roma il 18 luglio 1975) i lucani, la zona del Vulture e Rionero in particolare non devono dimenticare l’impegno e l’azione del sen. Ciasca. La città fortunatiana, lo ricordiamo, assurse ad importante centro di studi grazie proprio all’opera del sen. Ciasca, suo illustre figlio.

Infatti, a lui si deve l’istituzione della scuola media “Michele Granata”, del Liceo Ginnasio, dell’Istituto magistrale “Giustino Fortunato”, della Scuola Magistrale Statale (quella di Rionero era allora una delle otto esistenti in Italia). Ciasca insegnò in diverse università italiane (Messina, Cagliari, Genova, Roma), fu presidente dell’Istituto per L’Oriente del Centro Italo-Arabo, da lui fondato nel 1952. Nel 1958 fu nominato Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione: Fu tra i professori “benemeriti” dell’Università di Roma, Medaglia d’Oro per la Cultura, Accademico dell’Accademia dei Lincei. Per molti anni fu Presidente dell’Istituto Storico nazionale per l’Età moderna e contemporanea.
Dopo la morte di Angelo Ciasca, fratello del senatore e della consorte, deceduti senza figli, il palazzo cui vissero tutta la vita rimase disabitato. I nipoti, figli di Raffaele Ciasca e della signora Carolina Rispoli, da tempo si sono trasferiti a Roma. Il Comune di Rionero in Vulture lo prese in fitto per sistemarvi alcune classi della locale scuola media “Michele Granata” e a tale scopo rimase fino al 23 novembre 1980, quando, in seguito ai gravi danni riportati dal tremendo terremoto, risultò del tutto inagibile e bisognoso di grossi interventi di consolidamento e di ristrutturazione. Ne nacque una controversia fra gli eredi Ciasca e il comune di Rionero. S’intervenne allora con una copertura di emergenza del tetto che non eliminò del tutto l’infiltrazione dell’acqua e della neve, causando ulteriore degrado dell’edificio. Rimase così, in tale stato di abbandono, per anni, esposto alle intemperie, con continue infiltrazioni di acqua e di neve, Sicché il fabbricato ha subito gravissimi danni, e quello che non ha potuto la furia del terremoto, lo ha arrecato l’incuria degli uomini. Si pensò allora all’acquisto da parte del Comune dell’intero palazzo, riconosciuto d’interesse storico- urbanistico.
Sfruttando il “diritto di prelazione” acquisito dal Comune di Rionero, l’allora commissario prefettizio Francesco Maioli Scanderbeg nel 2005 lo strappò a una ditta di costruzioni che intendeva ristrutturarlo per farne delle abitazioni e locali commerciali.
Entrato nella disponibilità comunale e posto immediatamente sotto la tutela della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Provincia di Potenza, il Palazzo gentilizio necessitava da anni, come dimostrano le numerose segnalazioni acquisite dalla Polizia Municipale, di una messa in sicurezza generale.

I lavori di ristrutturazione sono stati stimati in circa 2,5/3 milioni di euro: una cifra irragionevole in tempi di crisi economica.
E così oggi, a distanza di 35 anni dal terremoto, l’immobile pare del tutto irrecuperabile e, quello che è peggio, continua a costituire un grave pericolo per la pubblica incolumità. Tanto che il Comune ha ritenuto indispensabile prendere provvedimenti per evitare pericoli per i passanti. Si è, infatti, provveduto alla rimozione dei cornicioni e delle parti pericolanti, alla sistemazione e alla chiusura delle finestre del Palazzo stesso. Come finirà? Intanto il palazzo cade a pezzi.
Dopo la morte di Carolina Rispoli (1991) e dei figli di quest’ultima, Eugenio (1998) e Antonia (2001) resta vivente solo Amalia, purtroppo in non buone condizioni di salute, dello storico palazzo di Rionero e della sua memoria storica che ne sarà? Ogni volta che lo si guarda in questo stato pietoso di abbandono, ci piange il cuore.

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