SINISGALLI LEONARDO

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SINISGALLI LEONARDO

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Montemurro 9 marzo 1908 – Roma il 31 gennaio 1981

Il “poeta ingegnere” o “poeta delle due muse”, per il fatto che in tutte le sue opere ha sempre fatto convivere cultura umanistica e cultura scientifica; per la sua versatilità è stato definito “un Leonardo del Novecento” in quanto è stato narratore, pubblicista, direttore artistico, direttore di riviste, documentarista, autore radiofonico, disegnatore.

Un uomo dall’immensa cultura, meglio conosciuto come il “poeta ingegnere”. che sin dalla giovanissima età ha mostrato la sua grande propensione allo studio e ha dimostrato il tutto ottenendo la media più alta della ragione Campania, dove era andato a studiare (precisamente a Caserta).

Leonardo Sinisgalli ha frequentato l’università di Roma, facoltà di Matematica, dove i corsi di analisi, geometria e matematica lo stregarono letteralmente. Una grande passione si scatenò in lui. Dopo due anni, in seguito ad una piccola crisi personale, decide di cambiare corso di laurea, iscrivendosi alla facoltà di ingegneria.

Ma, perché “poeta ingegnere”? Leonardo conseguì con ottimi voti la laurea in ingegneria, ma il suo percorso di studi non fu caratterizzato solo da numeri. È la poesia la seconda grande passione di questo grande e famoso personaggio della Basilicata. È Sergio Corazzini, il più struggente dei poeti crepuscolari, a rapire letteralmente il cuore di Sinisgalli.

La carriera di Leonardo Sinisgalli fu davvero brillante, lavorando tra Milano e Padova come ingegnere e pubblicitario, in collaborazione con aziende del calibro di ENI, Olivetti, Finmeccanica e tante altre ancora. Tutto questo senza abbandonare la poesia, ma continuando a scrivere bellissimi versi caratterizzati da generale inquietudine. Infatti, la poesia di Sinisgalli è circondata da un grande alone di amarezza generale, dovuta sia ai difficili anni in cui è vissuto, sia dalla sua condizione di emigrante (spesso nei suoi versi c’è un chiaro riferimento alla sua infanzia, a quella terra e a quel modo di vivere, che tanto gli manca).

Il “poeta ingegnere” muore a Roma il 31 gennaio 1981: la sua salma riposa nel cimitero di Montemurro, nella cappella di famiglia che lui stesso aveva progettato.

In suo onore nel 2013 è stata inaugurata la Casa delle Muse (Fondazione Leonardo Sinisgalli), proprio di fronte alla piccola casa dove nacque il poeta. Tale edificio non è né una casa museo, né uno spazio immobile e celebrativo, ma uno spazio dove la cultura può viaggiare libera, mutando la sua forma, in quello che è un ambiente imperfetto, ma vivo. Un ambiente mutabile pronto ad accogliere qualsiasi forma di ispirazione.

Una sorta di piazza della creatività, da riempire con idee, progetti e opere d’arte di tutti. Ma, la Casa delle Muse è anche Centro di documentazione sinisgalliana. In due sale sono conservati i suoi libri, 3.000; i suoi disegni; le sue pubblicità; gli attrezzi del suo lavoro (la scrivania, la macchina da scrivere); le Riviste che ha fondato e diretto (Pirelli, Civiltà delle Macchine, La botte e il violino); le sue poesie ed altro ancora. E poi c’è “La soffitta di Casa Sinisgalli”, che raccoglie il materiale ritrovato nella soffitta della famiglia Sinisgalli: fotografie, documenti, oggetti, libri e riviste dagli anni venti agli anni Quaranta. Un viaggio nel cuore della Basilicata, terra amata e mai dimenticata dal grande poeta ingegnere.

 

Opere:

  • Cuore – Auto-edizione, Roma 1927;
  • Ritratti di macchine – Edizioni di Via Letizia, Milano 1935;
  • Quaderno di geometria – Campo Grafico, Milano 1935;
  • 18 poesie – Scheiwiller, Milano 1936;
  • Italiani – Editoriale Domus, Roma 1937;
  • Campi Elisi – Scheiwiller, Milano 1939;
  • Vidi le muse – Mondadori, Milano 1943;
  • Furor mathematicus – Urbinati, Roma 1944;
  • Horror vacui, O.E.T., Roma, 1945;
  • Fiori pari, fiori dispari – Mondadori, Milano 1945;
  • L’indovino, dieci dialoghetti – Astrolabio, Roma 1946;
  • I nuovi Campi Elisi – Mondadori, Milano 1947;
  • Belliboschi – Mondadori, Milano 1948;
  • Furor mathematicus – Mondadori, Verona 1950 (edizione ampliata contenente anche L’indovino e Horror vacui);
  • La vigna vecchia – Mondadori, Milano 1956;
  • Tu sarai poeta – Riva, Verona 1957;
  • La musa decrepita – Quaderni di Marsia, Roma 1959;
  • L’immobilità dello scriba – Roma 1960;
  • Cineraccio – Neri Pozza, Venezia 1961;
  • L’età della luna – Mondadori, Milano 1962;
  • Ode a Lucio Fontana – Bucciarelli, Ancona 1962;
  • Prose di memoria e d’invenzione – (Fiori Pari, Fiori Dispari e Belliboschi) Leonardo da Vinci, Bari 1964;
  • Poesie di ieri – Mondadori, Milano 1966;
  • L’albero di rose – (traduzione di poesie lucane) Edizioni Galleria Penelope, Roma 1966;
  • I martedì colorati – Immordino, Genova 1967;
  • Paese lucano – Origine, Luxemburg 1968;
  • Archimede (I tuoi lumi, i tuoi lemmi!) – Tallone, Alpignano 1968;
  • La rosa di Gerico – (a cura di F. Mazzoleni) Mondadori, Milano 1969;
  • Calcoli e fandonie – Mondadori, Milano 1970;
  • Il passero e il lebbroso – Mondadori, Milano 1970;
  • L’ellisse – (a cura di G. Pontiggia) Mondadori (Oscar), Milano 1974;
  • Mosche in bottiglia – Mondadori, Milano 1975;
  • Un disegno di Scipione e altri racconti- Mondadori, Milano 1975; Premio Letterario Basilicata
  • Dimenticatoio – Mondadori, Milano 1978; Edizione del Labirinto, Matera 1978;
  • Come un ladro – (a cura di J. e S. Sebaste) Bernalda 1979;
  • Imitazioni dall’Antologia Palatina (a cura di Giuseppe Appella) – Edizioni della Cometa, Roma 1980.

Opere Postume]

  • Leonardo Sinisgalli, Ventiquattro prose d’arte, introduzione di Giuseppe Appella, Edizioni della Cometa, Roma 1983;
  • Leonardo Sinisgalli, Sinisgalliana, Edizioni della Cometa, Roma 1984;
  • Leonardo Sinisgalli, L’albero bianco, a cura di Rosetta Maglione e Antonio Vaccaro, Edizioni Osanna, Venosa 1986;
  • Leonardo Sinisgalli, Promenades architecturales, Lubrina Editore, Bergamo 1987;
  • Leonardo Sinisgalli, L’odor moro, a cura e con un saggio di Renato Aymone, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1990;
  • Leonardo Sinisgalli, Carte lacere, a cura di Giuseppe Appella, con nove disegni dell’Autore, Edizioni della Cometa, Roma 1991;
  • Leonardo Sinisgalli, Furor mathematicus, Ponte alle Grazie, Firenze 1992;
  • Leonardo Sinisgalli, Leonardo Sinisgalli: una galleria di ritratti. 70 disegni, a cura di Giuseppe Tortora, Associazione culturale L’albero di Porfirio, Napoli 1993;
  • Leonardo Sinisgalli, Intorno alla figura del poeta, a cura di Renato Aymone, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1994;
  • Leonardo Sinisgalli, Horror vacui, a cura e con un saggio di Renato Aymone, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1995;

LUCIO TUFANO, IL RICORDO CHE HO DI SINISGALLI

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DI LUCIO TUFANO IL 21/10/2019 CULTURA

Il ricordo più vivo che ho di Leonardo Sinisgalli risale all’ormai lontano 1975. Esattamente, all’otto dicembre 1975. Quella sera a Potenza c’era la premiazione del “Basilicata” e quell’anno il festeggiato, il premiato, era lui, il principe di Montemurro, secondo la definizione vezzosa che ne aveva dato un altro poeta lucano, Michele Parrella.

Il Presidente del Premio era, naturalmente, Emilio Colombo che chiamò il poeta e scrittore al microfono appellandolo con il titolo di “Ingegnere” (che pure Sinisgalli deteneva) così come si usa fare con bonaria e circospetta gentilezza con quelli che vengono dal Ministero dei Lavori Pubblici per un collaudo tecnico. Il poeta si presentò al microfono, si aggiustò ben bene i pantaloni tirandoli su dalla cintola ed esordì affermando di riconoscere che ormai la Lucania non era più quella dell’età della luna, ma un’altra cosa, non era più quella di quando la nonna gli dava due soldi di monete rosse.

Informò inoltre la platea, con aria ironica, che proprio in quei giorni il suo amico Montale si trovava a Stoccolma, in Svezia, per ritirare un (ben) altro premio, il Nobel, ma che nel giorno dell’Immacolata Concezione, nella giornata cioè di poesia, egli era ugualmente contento, anzi lo era di più perché il premio gli veniva elargito proprio dalla sua terra. Riferì, quindi, del tempo occorsogli per mettere insieme i monologhi, le cronache e gli aneddoti di “Un disegno di Scipione ed altri racconti”, circa nove anni (un tempo che gli indiani pellirosse contano per lune) mentre qualcuno della giuria che sedeva quella sera al tavolo della presidenza aveva composto un bestseller nientedimeno che in un solo anno!

Nel concludere il suo intervento, egli fece inoltre una chiara allusione al suo ormai famoso dualismo, alla sua nota “coincidentia oppositorum”, alla poesia ed alla matematica, le due dimensioni che sembravano a volte rispecchiare in lui con caparbia iterazione i momenti alterni della provincia e della città, della campagna e dell’industria, del bello e del brutto, di Elena e dell’Orco, “tra cui vi è la differenza di un infinitesimo”, affermando che sin da ragazzo egli aveva sempre sentito il problema dei due cervelli, quello matematico e quello poetico, autodefinendosi un “granchio a due teste”, uno di quelli che si trovano sotto le pietre della Lucania.

Lo rividi il giorno dopo, sempre a Potenza, mentre intratteneva gli studenti della scuola media “Torraca” in una libreria e discuteva di sé e dei suoi libri; il Sinisgalli interamente e finalmente lucano, come ai tempi giovanili, quando si accingeva a partire per nuovi lidi, quando il suo amico Domenico Bonelli lo avvertiva delle numerose trappole della metropoli e del labirinto letterario che era allora l’ermetismo imperante. Doveva saper scegliere tra il pari e il dispari, tra l’estetica e la morale. Il diavolo lo avrebbe atteso a Roma, esattamente a Ponte Milvio, gli diceva ridacchiando l’arguto Mimì Bonelli, commosso al tempo stesso, della partenza del giovane amico segnato dalle Muse. Intanto in Lucania, vecchi testi subivano alterazioni. Orazio ritornava “Lucanus an apulus”, Isabella Morra, con i suoi fiumi di lacrime, al destino del suo insidioso paese Valsinni, all’amore del suo poeta catalano e Nicola Sole alla giustificata severità del De Sanctis.

Nasce dopo mille anni”, scrive Vito Riviello negli atti del I convegno di Atella del 1964 sulla cultura lucana, “il primo poeta di Basilicata: Leonardo Sinisgalli, partito dal suo paese con la carrozza della neve dopo aver cercato pennini zoppi e semi di carrubi ed essere entrato in un opposto tipo di civiltà per ridurre i numeri alla stessa ragione delle foglie … con una vena sacrilega verso il lusso che uccide l’infanzia all’altezza della fiaba”.

Il culto della madre, della nonna, degli zii, lo contraddistingueva con una caratterialità media da ceto borghese, consona al figlio di un agiato artigiano emigrato in Colombia, dove i fratelli avevano fatto fortuna vendendo cappelli di Monza e tessuti di Biella. Studiò a Roma ed a Milano, si interessò di architettura, di gusto plastico, di decorazione, di arredamento e stili, di critica d’arte, sin dagli anni’40-41 nei quali collaborava alla rivista “Primato” diretta da Giuseppe Bottai e da Giorgio Vecchietti. Su questa famosa rivista Sinisgalli pubblicò anche le sue prime poesie. In seguito lavorò con la Olivetti, con la Lancia, con la Pirelli, fornendo a queste grandi industrie idee e spunti genialissimi d’inventiva pubblicitaria. Negli anni ’70 aveva collaborato anche a “Il Settimanale” della Rusconi editore ed aveva attaccato Montale che invece era il poeta della media borghesia lombarda, di quella europea ed illuminata. Come uno degli scrittori dell’800 europeo, Sinisgalli scriveva della sua famiglia, delle località, degli ambienti, delle campagne soleggiate ed ombrose, della propria splendida adolescenza, degli antenati, indugiava sui posti dove aveva trascorso gli anni dell’infanzia e parlava di tutto con ricchezza di particolari. Coccolato dalla nonna, rievoca con linee precise le figure della bisnonna e dei parenti.

La forte immagine della madre riaffiora in maniera ossessiva: una madre che non si è mai piaciuta, che non ha mai portato un barile in testa o una cesta, un sacco, neppure il trofeo di candele dietro le processioni, che non ha mai lavato piatti o piastrelle, una “principessa Taitù”, che aveva la pelle olivastra e le labbra strette, che aveva in orrore le zitelle, che non sopportava le mani con le unghia sporche e disprezzava quelli che non sapevano fare un discorso filato, che andava presa per il suo verso, che era ombrosa e triste, che si metteva di malumore per un’inezia, che aveva due o tre donne fidate per il bucato, che gestiva un potere assoluto, matriarcale appunto.

“Mia madre – diceva Sinisgalli – aveva un modo strano di carezzarmi la faccia, mi premeva il palmo contro il muso, quasi mi schiacciava le labbra, mi tirava indietro di colpo per baciarmi sulla nuca. Io chiudevo gli occhi credendo di potermi addormentare in quel deliquio. Ma si pentiva, mi voleva forte, mi respingeva coi piedi per terra dove giacevano sparsi i semi neri delle carrube” …

Certamente in tutta l’opera di Sinisgalli v’è un profondo legame con l’infanzia e con le figure che hanno vitalizzato quella fase della sua vita divenuta, dopo, inesauribile fonte di memorie emotive ed affettive; forse è anche il caso di imbattersi nella sua personalità psichica. C’entra questa con Sinisgalli? Nei passi riportati si parla di figure autoritarie ed in quasi tutti i monologhi della sua infanzia vi è un continuo prestarsi ad immagini freudiane. Leggiamo intanto una considerazione di Michel David, tratta dal noto libro “La psicanalisi nella cultura italiana” (Boringhieri editore).

“A Roma, d’altra parte, la corrente ermetica avrebbe assorbito rapidamente i poeti liberati dal carduccianesimo e dal dannunzianesimo e quelli tentati dagli spiritualismi panreligiosi ed avrebbe mantenuto i giovani fuori dal contagio del surrealismo. Onofrio, Comi, Sinisgalli, De Libero, appaiono del tutto puri di influenza freudiana, almeno nella loro produzione d’anteguerra, e se qualche addentellato con la psicanalisi potesse scoprirsi nelle loro opere, sarebbe effetto dell’antroposofia, del bergsonismo, o di una timida eco junghiana. Perfino un uomo interessato alla scienza moderna, come Sinisgalli, non si è allontanato in fondo, dal suo idealismo dei primi tempi”.

“Le risposte dell’inconscio sono quasi sempre false”, scrive su “Il Mondo” il 14 aprile 1964.

Non si tratta, infatti, di misteri borghesi del sesso, di labirinti segreti della psiche, ma il padre e la madre rappresentano la cupa necessità biblica.

Quella sua intelligenza analitica, a differenza di Montale, non la si trova nei versi. “L’esprit de geometrie” ha finito con l’influire sulla vena, come paura di perdere il verso. Tutta la personalità di Montale si ritrova nella sua poesia. Sinisgalli per completarsi ha bisogno della prosa. Montale riversa la sua intelligenza nel sentimento ed ogni suo fatto, ogni memoria, subisce il filtro accurato dell’intelligenza. L’intelligenza di Sinisgalli è quella che guarda la poesia, ne osserva la spontanea evoluzione. Non è quasi mai la poesia stessa; egli le rimane accanto, ammaliato.

Quando si accinge a comporne il verso diventa stranamente elegiaco e pur conservando una certa secchezza non riesce, nel corso della composizione, a darle il respiro ampio, a profondervi l’impegno e la forza che specialmente lui potrebbe far scaturire dall’integrazione delle due muse. Ne viene fuori sì un verso rapido, di sintesi, ma anche idilliaco e campagnolo. Da sagace allievo di Ungaretti, Sinisgalli si pone tra l’ermetismo ed il postermetismo, assumendo la dignità di un grande minore del 1900, un novecentista che, tutto sommato, si è guardato bene dall’essere dannunziano. In effetti i due momenti della sua cultura non si sono integrati se non nel “Furor Matematicus”, nella famosa rivista “Civiltà delle macchine” ed in qualche altra opera. Come uomo del ‘900, Sinisgalli ci presenta la sua, la nostra regione, la Lucania, in una visione arcaica, limpida. A volte, infatti, appare come il cantore della Lucania agricola, artigiana, del perfetto accordo tra città e campagna, il cantore di una visione geometrica, armonica, della battaglia del grano e della festa dell’uva, degli scenari da Fascio di paese, dei grotteschi ruoli di allora, soleggiate mattine di moschetti e fez. Il tutto, in verità, si lega al grande amore per le visioni del passato, un’esperienza parnassiana che spesso si spezza fra Roma, Potenza e Montemurro.

Anche il mio cuore

            Bevve alle coppe

            Della lupa. La spalla meschina

            Strinse il calcio del moschetto

            E un caporaletto

            Da un soldo, un balilla

            Accese la miccia degli alalà

            I frati col fischietto

            Passarono carponi

            Sotto le mura e gli archi

            Dentro il cerchio di fuoco

            Volavano i gerarchi

            Chi corse verso Tripoli?

            Chi raggiunse il Mar Rosso?

            Decrepite duchesse

            E consoli citrulli

            Il martirio ai più belli

            E la fessa ai fanciulli.

Con la maniera ermetica di esprimere i propri sentimenti e che è corredo ormai del nostro più antico Novecento, Sinisgalli ha sempre cercato, come Montale ed i giovani allievi di Firenze, Luzi, Gatto, Bigongiari, una “forma” assoluta di poesia, una poesia scevra da parole false o convenzionali. Già noto come poeta ermetico, Sinisgalli si è avvalso della prosa, dopo aver attinto ad Arthur Rimbaud, a Stephane Mallarmé, a Lautreaumont, a Marcel Proust, a Vincenzo Cardarelli, a Leopardi, a Papini, a Giovanni Palazzeschi, a Gozzano, a Corazzini. La sua poesia ermetica fu anche evocativa, “orfica”, per lo struggente desiderio di penetrare nell’intimo della propria esistenza, in un linguaggio simbolico, facilmente ravvisabile nel primo periodo romano, in quello degli anni milanesi, in quello della vita militare (“Se avrò il tempo e la conoscenza”, “La collina delle Muse”, e le prose di “Belliboschi”), pur non essendovi l’essenzialità della parola/verbo di Quasimodo, dell’inno/preghiera di Ungaretti, della visione chimerica di Dino Campana, del canto melodico di Alfonso Gatto.

Si tratta, in sostanza, di un genere autobiografico, di una forma diaristica, come racconto della propria memoria, come superamento delle contraddizioni esistenziali, senza raggiungere le apoteosi autobiografiche di Caldarelli o la durezza o l’intima fraterna malinconia di Saba, o il racconto monologo, problematico ed ambiguo, della tormentata coscienza di Pavese.

In “Fiori pari, fiori dispari” la magia della funzione ermetismo e matematica raggiunge la sublimazione negli alambicchi del granchio stregone, senza il rigoroso rispetto della coscienza unitaria del tempo, senza l’umiltà di valutare la storia come fa Bertold Brecht, senza il coraggio di percepire i sintomi della evoluzione sotterranea del cosmo di Giovanni Pascoli.

Un peccato d’orgoglio o forse la fiducia nel fatto che il carattere potesse avere una maschera antica, immobile e semiseria? La credenza cieca nel gioco della Magna Grecia, senza ricordare Eschilo, né Sofocle? Come le gazze o come le virtuose ragazze di un tempo che raccoglievano le preziose cose colorate, le pietre ed i ninnoli per metterli fuori, sciorinando il tutto davanti agli occhi attoniti del primo visitatore, mai stanco di compiacersi di quell’ammirazione suscitata nell’ospite; un collezionista di ricorsi, insomma, con ingredienti lucani, uno scrutatore di sé che fruga dovunque, pur di trovare motivo di “poesia”: “Ci siamo abituati a considerare la poesia come un fiore o un frutto raro, un osso o un cristallo, un uovo o una perla, senza tenere in gran conto le catene di choc, di raptus, miracoli, accidenti che sono i naturali antefatti dell’ispirazione”.

“Oltre ai suoi vivi ed ai suoi morti, tutta l’umile gente di Montemurro circola nelle pagine dello scrittore. Ed i vari personaggi non sono pretesti od occasioni, non sono avvolti da compiacimenti retorici, ma sono rappresentati in atteggiamenti precisi e reali, nella loro umana concretezza”, scrive Filiberto Mazzoleni.

“Di lontano il poeta punta su di loro il cannocchiale della sua nostalgica fantasia; ed ecco, dei puntini neri assumono lineamenti umani, siedono sulla pietra del focolare, si muovono nei campi, scostano tralci e ruvide foglie, sprangano cancelli, innaffiano la terra, si smontano al rumore dell’acqua che dai barili è calata nei secchi,rimettono i ferri ai puledri …”.

Intanto, considerando il quadro storico nazionale, egli cerca di evitare una Lucania che vive la tragedia del Fascismo agrario, che vive poi i tempi del riscatto contadino, che combatte l’epopea della conquista delle terre, che soffre il dramma dell’esodo e non intende a fondo il ruolo del poeta e d’intellettuale organico che fu di Rocco Scotellaro, uno dei poeti lucani assurti a leader del movimento contadino e che ha dato una immagine della Lucania in lotta.

Quando Sinisgalli, come osservò Ugo Reale, “si schiera dalla parte della sofferenza”, sorge il dubbio che si tratti del pathos proprio dello spirito letterario neoromantico.

“Non capisco quelli che si lasciano incantare dai panorami. A me, appena l’uomo, o il cane, o la gallina, sono scomparsi dal campo visivo, le fabbriche comunicano una strana angoscia come se fossero già postume e di là, da quei balconi, non potessero più affacciarsi ai vivi”.

Questa confessione denota una strana allergia agli ambienti sociali, una paura per quelli operai,poiché la tetraggine che intravede nelle fabbriche gli dà la stessa sensazione di chi è costretto ad osservare un quadro del realismo socialista.

In definitiva, si tratta di un magistrale poligrafo, un “grafico” nella letteratura: può, a volte, paragonarsi ad uno di quegli antichi mandarini cinesi che trascorrevano anni e mesi a perfezionare cinque versi alla luna o al pesco del giardino, con una grande abilità di disegnare gli spazi vuoti, di raccontare l’aria, di fabbricare un orologio che potesse funzionare senza la corda.

Come il diario sia diventato il genere privilegiato di scrittura, un antico modo di demistificazione spontanea, il mezzo ideale di confessione per l’influenza paralizzante che ha esercitato sullo stile enfatico, verso il raggiungimento di quello che è stato definito il “grado zero della scrittura” ce lo disse ancora Michel David (“con il diario intimo l’Io reale ha detronizzato l’Io glorioso”) e ce lo conferma Mario Lunetta su “Rinascita” del 19 dicembre 1975 quando dichiara il suo debole per tutte le scritture di “primo grado”: biografie, memoirs, zibaldoni, journaux, taccuini, agendine … Quest’ultimo ci confessò di aver goduto la lettura “breve ed ingorda, dell’ultimo libro di Sinisgalli dove, appunto, tutto è stile, elegantemente scarno, spigoloso e brillante come pirite, nitido, veloce, e in cui l’unica civetteria è data dalla sprezzatura tra l’ironico ed il sarcastico di chi taglia seccamente alcuni brandelli della propria vita, e solo dopo si avvede, maliziosamente, ma senza mai ricavarci su egloghe o elegie, del loro valore simbolico“.

“Il mazzo di tarocchi biografici, avventurosamente mescolato dal tempo e dal caso finisce sempre per comporsi, fatalmente, in una combinazione che ha per assi la Lucania e Roma, la provincia nativa e la metropoli da conquistare … la madre che sempre più di rado oltrepassa la soglia della porta di casa, i piccoli ma tortuosi labirinti degli interessi che dividono i membri di una comunità familiare; l’aspro paesaggio lucano, la solitudine dell’adolescente Leonardo, la sua precoce miopia, il suo straordinario talento matematico, la scoperta della poesia e, quindi, dei nessi occulti che legano la scienza del numero e la scienza della parola. Questa è la trama di fondo su cui Sinisgalli tesse altri motivi al tempo stesso personali e molto emblematici”.

I Lucani di cui parla nell’ultimo pezzo del succitato libro sono, evidentemente, i sottoproletari di campagna, i lillipuziani di una regione che non esiste più o quelli della preistoria e Lunetta dice ancora di non sapere quanto “il folklorismo e etnologismo pesino su questa definizione; essa non contiene che una parte molto ridotta (e tradizionale) di verità. Riguarda, in fondo, una Lucania ancora fuori dalla storia”.

Noi sappiamo come un poeta possa affascinare un certo pubblico ed offrirgli l’acre odore dei fuochi alimentati dagli sterpi, la fragranza del pane di grano e le immagini degli asini, le creature della fiaba, così come l’Ariosto incantava gli astanti nelle sale del Palazzo Estense. Per quel pubblico egli rende poetici il cimelio e l’amuleto, il ferro di cavallo ed il comignolo animato. Alla fine crede che un motore diesel sia uguale al respiro del rospo e che la poesia entri gratis nella stalla come nell’Alfa Romeo, che le parole, fatta la penitenza, possano cambiare le carte e le regole del gioco. Chissà se si accorgeva come anche la poesia facesse parte dell’uomo, fosse mortale, avesse una sua carne, i suoi umori e le sue distinzioni di classe. Occorre che il poeta sia dalla parte della sofferenza, di una scelta praticata pro o contro qualcosa.

La poesia non è una cosa immobile, non è religioso – aprioristica, ma accompagna l’uomo senza essere un miracolo; è un fatto compiuto, un’acquisizione, la guarigione da qualsiasi malattia com’era nei versi finali di Rimbaud. Va infine detto che Sinisgalli è il poeta che per primo ha catalogato il mondo lucano, gli ha dato una voce poetica, ha saputo, attraverso una nomenclatura delle cose, congiungere due civiltà lontanissime tra di loro eppure intrinsecamente legate, quella contadina ed artigiana, da un lato, e quella tecnologico-industriale, dall’altro, rendendo possibile un’osmosi non alienante per l’uomo. A differenza di Levi, Sinisgalli non ha squarciato i misteriosi nembi di una regione “antropologica” per eccellenza, ma si è limitato, invece, a riportarne le nitide scene e a celebrarne i vasti repertori, le mitologie antiquarie con l’avvedutezza di una cultura capace di inserirla nel contesto delle civiltà europee.

Lucio Tufano

Storia del sito FONDAZIONE SINISGALLI

 

https://www.fondazionesinisgalli.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=391&Itemid=64

Il sito web dedicato a Leonardo Sinisgalli è nato sulla spinta inerziale di una grande passione per il poeta-ingegnere, e da una triste constatazione: la scarsa attenzione del mercato editoriale alle opere di Sinisgalli. La pretesa era quella di offrire agli estimatori di Leonardo Sinisgalli, che pensavo pochi, un punto di riferimento nel mare vasto della rete e di riuscire a raccontare i mille interessi (dalla poesia alla pubblicità, dalla narrativa al cinema documentario, dalla pubblicità alla matematica, dal design al disegno) e la complessità di una personalità proteiforme, dalla “intelligenza fuori dal comune”, come ebbe a dire Gianfranco Contini, grande critico letterario, che di Sinisgalli fu amico ed estimatore. Negli anni il sito è cresciuto; sono aumentate le sezioni e le pagine a disposizione). E sono cresciuti anche i contatti a dimostrazione di quanto nascosto sia l’interesse per Leonardo Sinisgalli. Nel 2008 è nata la Fondazione Leonardo Sinisgalli, di cui mi onoro essere il Vicepresidente, e mi è sembrato giusto e doveroso, donare a settembre 2011 (formalizzata poi in data 11 gennaio 2012), alla Fondazione il sito web a cui ho dedicato tante energie e da cui ho ricevuto tante gratificazioni.

Sono convinto che la Fondazione farà di tutto, anche attraverso le potenzialità offerte dal sito web sull’Ulisse lucano, per riaccendere l’attenzione su uno degli intellettuali più originali e complessi della storia del Novecento italiano.

Biagio Russo

 


 

https://www.fondazionesinisgalli.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=391&Itemid=64

Fondazione Leonardo Sinisgalli

La Fondazione Leonardo Sinisgalli è nata l’11 dicembre 2008 (atto costitutivo, Statuto), nell’anno in cui ricorreva il centesimo anniversario dalla nascita del poeta, sotto gli auspici del comune di Montemurro, della Provincia di Potenza, della Regione Basilicata e della Fondazione Banco di Napoli, ma l’attività vera e propria della Fondazione ha avuto inizio nel 2013. La fondazione gestisce la Casa delle Muse spazio espositivo dedicato a Leonardo Sinisgalli, situata di fronte alla casa dove nacque il poeta. In due sale sono conservati i suoi libri e i suoi disegni, le sue pubblicità, le pubblicazioni editoriali (la Fondazione ha acquistato 70 volumi del poeta-ingegnere); le copertine delle Riviste che ha fondato e diretto (Pirelli, Civiltà delle Macchine, La botte e il violino) e le sue poesie. La Casa delle Muse ospita anche opere di alcuni artisti cari a Sinisgalli: Gentilini, Cantatore, Turcato, Chersicla, Tamburi ecc.

 


 

Un “Leonardo del Novecento” è stato definito Leonardo Sinisgalli. Infatti, i suoi interessi, dalla poesia alla matematica, dalla grafica pubblicitaria alla radio, dal cinema alla critica d’arte, dall’architettura al disegno, lo rendono così moderno e affascinante che si registra intorno alla sua figura un interesse elevatissimo, da parte di docenti, di cultori, di editori, di galleristi, di studenti, di matematici, di letterati e artisti.

La Fondazione, nata nel 2008 per promuoverne vita e opera, e operativa dal 2010, ha un’attività geograficamente molto ampia e va al di là dei confini regionali. Anche in virtù di uno spirito cosmopolita coerente con lo straordinario personaggio che intende restituire ai fasti di una cultura, quella del Novecento, che lo ha visto testimone e protagonista.

Tantissimi e differenti gli eventi realizzati in questi anni in tutta Italia, a testimonianza della credibilità che l’Istituzione culturale montemurrese si è conquistata, con mostre e convegni: a Macerata, Roma, Benevento, Milano, Torino, Vigevano, Forlì, Siena, Verona, Reggio Calabria, Pisa ecc. in collaborazione sia con Università, che con Associazioni, Enti locali, Istituti di Istruzione ecc.
Contemporaneamente, notevole è stata l’attività di ricerca e la produzione editoriale, con dodici pubblicazioni, di notevole valore scientifico, che offrono gli strumenti indispensabili per la conoscenza di Leonardo Sinisgalli a visitatori, studiosi, ricercatori e docenti.
Tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, grazie alla sinergia tra la Fondazione Leonardo Sinisgalli, la casa editrice Mondadori, l’erede testamentaria di Sinisgalli, la dott.ssa Ana Maria Lutescu, la BCC Basilicata, i soci fondatori e sostenitori della Fondazione,  sono stati pubblicati tre volumi che raccolgono gran parte delle opere di Leonardo Sinisgalli, assenti dalle librerie da oltre 40 anni: “Furor Mathematicus” a cura di Gian Italo Bischi, “Racconti” a cura di Silvio Ramat, “Tutte le poesie” a cura di Franco Vitelli.

 

Leonardo Sinisgalli nella sua casa natale – Video – RaiPlay

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Sinisgalli torna nella sua casa natale a Montemurro in Basilicata ripercorrendo le strade del tempo in …

28 gen 2021

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PODCAST Pillole d’Europa. Gli scambi di giovani

CULTURA

2 APRILE 2020

Leonardo Sinisgalli: il poeta-ingegnere tra scienza e immaginazione

di Monica Panetto

Aveva proclamato apertamente qual era la sua vocazione: fare il fabbro. “Imparare bene un mestiere antico ed […] esercitarlo in un giro ristretto con bravura e un po’ di fantasia”, scriveva in Autoritratto con scorpione. E invece Leonardo Sinisgalli, nato a Montemurro nel 1908 in una famiglia numerosa, divenne ingegnere, fu chiamato alla Olivetti con l’incarico di responsabile dell’ufficio tecnico di pubblicità, lavorò come consulente per la Bassetti e l’Alfa Romeo, collaborò con la Rai. Nell’animo però, fin da giovane, nutriva un’intensa passione per la poesia che si tradusse in apprezzati componimenti e raccolte. Proprio nelle scorse settimane, grazie alla Fondazione Leonardo Sinisgalli e ad Anna Maria Lutescu, unica erede del poeta, è uscito nelle librerie un volume a cura di Franco Vitelli che raccoglie tutti i suoi versi. L’intento è di riportare sugli scaffali le opere di una figura tanto poliedrica: il 14 gennaio scorso infatti sono stati pubblicati anche I Racconti a cura di Silvio Ramat e, nell’ottobre del 2019, Furor mathematicus a cura di Gian Italo Bischi. Ne abbiamo parlato con Biagio Russo, vicepresidente e direttore dell’omonima Fondazione.

 

Quali aggettivi sceglierebbe per descrivere una personalità come quella di Leonardo Sinisgalli?

Definirei Sinisgalli un uomo moderno, poliedrico e curioso. E i motivi sono abbastanza semplici. È un personaggio moderno, perché non ha mai inseguito esclusivamente una vocazione, ha cercato contaminazioni e impurità e soprattutto ha tentato di far dialogare ambito scientifico e letterario. Si è interessato di tutto e lo ha fatto in maniera visionaria. È versatile, in quanto la sua formazione è stata così particolare che lo ha portato a muoversi su diversi terreni: è l’esatto contrario del poeta romantico, ripiegato su se stesso, che vive solo di poesia. È un uomo con una formazione matematica e fisica, che poi si è occupato di comunicazione, di documentarismo scientifico, di pubblicità, di letteratura, di narrazione. Ma anche di architettura, di design, ed è difficile trovare esempi simili. La curiosità verso ogni aspetto del sapere, infine, è il substrato su cui si è appoggiata tutta la sua vita, sia dal punto di vista professionale che poetico.

 

Il poeta-ingegnere riesce nel tentativo di far dialogare scienza e poesia?

Sinisgalli si forma all’Istituto di via Panisperna a Roma, tra il 1925 e il 1927 (si immatricola al corso di laurea in matematica e fisica, ndr), che corrisponde al biennio della facoltà cui poi si sono aggregati Enrico Fermi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Ettore Majorana. Ha avuto, dunque, una formazione scientifica molto significativa. Poi, in seguito a una crisi e anche all’amore per la poesia, decide di passare a ingegneria, un percorso che gli garantisce maggiore libertà di frequentare artisti, letterati, salotti e caffè romani. Fin dall’inizio si è trovato a muoversi con questa doppia personalità. Inizialmente la sua poesia rientra nelle correnti del tempo, appartiene alla terza generazione degli ermetici. Le sue 18 poesie (che pubblica nel 1936 a cura di Giovanni Scheiwiller, ndr) aderiscono allo spirito del tempo, sulla linea di Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo, Mario Luzi. Il suo è un ermetismo meridionale legato alla distanza, alla propria storia e alla propria tradizione. Questa è la fase del Sinisgalli poeta, in cui la scienza è una presenza a latere, dato che contemporaneamente scrive il Quaderno di geometria e Ritratti di macchine. Tiene, tuttavia, ben distinte le due scrivanie.

 

Quando avviene la contaminazione?

La contaminazione credo avvenga a partire dagli anni di Civiltà delle macchine (periodico di Finmeccanica, ndr), siamo nel 1953-58. Sinisgalli per motivi di lavoro deve frequentare capannoni, industriali, tecnici, ingegneri e la sua attenzione per il dato scientifico tende ad aumentare. Scrive anche versi, poesie “tecniche”, “industriali”. Fa delle sperimentazioni, anche se nelle raccolte poetiche più importanti rimarrà sempre legato alla terra, al biografismo, alla riflessione.

 

In che modo la scienza “entra” nella poesia di Sinisgalli?

La possiamo percepire in modo particolare nella sua capacità di sintesi: Sinisgalli tende sempre a ridurre gli aggettivi, a utilizzare epigrammi, strutture brevi da un punto di vista poetico. Si autocensura, non è un poeta sentimentale, non è un poeta che tende a raccontare molto le proprie emozioni. La matematica entra nel verso attraverso forse la geometria, dunque l’accostamento dei termini, l’elencazione. E tutto questo si ritrova in modo particolare nell’ultima fase della sua vita. Secondo Sinisgalli la poesia è un insieme di “numeri reali” e di “numeri immaginari”. Esiste sempre qualcosa di non comprensibile, di non immediatamente scientifico, c’è sempre spazio all’immaginazione, ma c’è anche molto che appartiene al reale.

 

Qual è la funzione del poeta per Sinisgalli?

Sinisgalli riflette molto sulla poesia, tant’è che alla fine degli anni Quaranta scrive Intorno alla figura del poeta. La riflessione non riguarda la funzione del poeta in generale, ma il suo modo di pensare la poesia, quindi il suo modo di concepire il reale attraverso il filtro della poesia. Sinisgalli non è un poeta militante, nella sua poesia non troviamo aspetti che hanno a che fare con la politica o con la denuncia sociale. Per lui fare poesia significa riflettere sull’esistenza e sulla capacità di riuscire a comprendere la scientificità della realtà, attraverso la passione poetica. Che è sempre una passione contenuta, un filtro molto oggettivo. Tant’è che la sua ultima poesia è davvero sintetizzata, disseccata, distillata al massimo.

 

C’è un punto nella sua opera che meglio di altri esprime la sua concezione poetica?

Sinisgalli mette sempre il lettore in condizione di poter comprendere, oltre il livello della poesia, anche il livello dell’organizzazione della poesia e di poter capire ciò che lui pensa dello scrivere in versi. Nella prefazione al Dimenticatoio (raccolta pubblicata per Mondadori che raccoglie le poesie dal 1975 al 1978), nell’Avvertenza al lettore, Sinisgalli scrive: “Voglio far cenno di alcune trasformazioni intervenute in questa raccolta rispetto alle precedenti. Nei miei primi libri prevalse lo spirito geometrico (“il senso della misura e della posizione”) e cioè il rispetto della simmetria e dell’uniformità. Dalla fine degli anni Cinquanta è cominciato il cedimento della materia espressiva, che si è disarticolata, ha perduto coesione e fermezza. Forse è venuta meno la fede nell’Opera che a sprazzi ha lasciato scoperto qualche residuo di vecchie idolatrie artigianali. Questo ultimo fascicolo viene a sostituire più decisamente ai due classici tabù, esattezza e similitudine, una caratteristica meno vantata, la connessione”.

Sinisgalli analizza il suo modo di fare poesia utilizzando termini come similitudine, connessione, esattezza, geometria che appartengono a un cifrario, a una ferramenta che non è quella di un poeta tradizionale, ma di un poeta sui generis. Chiude questo passaggio dicendo: “La vita imita sempre più il sogno nel suo disordine che cresce con l’età. Credevo di guadagnare la chiarezza ed è invece cresciuta la confusione”. Esiste sempre un binomio, dunque, un pendolare tra l’esattezza, la chiarezza e la confusione, tra l’entropia e la sintropia.

Aveva proclamato apertamente qual era la sua vocazione: fare il fabbro. “Imparare bene un mestiere antico ed […] esercitarlo in un giro ristretto con bravura e un po’ di fantasia”, scriveva in Autoritratto con scorpione. E invece Leonardo Sinisgalli, nato a Montemurro nel 1908 in una famiglia numerosa, divenne ingegnere, fu chiamato alla Olivetti con l’incarico di responsabile dell’ufficio tecnico di pubblicità, lavorò come consulente per la Bassetti e l’Alfa Romeo, collaborò con la Rai. Nell’animo però, fin da giovane, nutriva un’intensa passione per la poesia che si tradusse in apprezzati componimenti e raccolte. Proprio nelle scorse settimane, grazie alla Fondazione Leonardo Sinisgalli e ad Anna Maria Lutescu, unica erede del poeta, è uscito nelle librerie un volume a cura di Franco Vitelli che raccoglie tutti i suoi versi. L’intento è di riportare sugli scaffali le opere di una figura tanto poliedrica: il 14 gennaio scorso infatti sono stati pubblicati anche I Racconti a cura di Silvio Ramat e, nell’ottobre del 2019, Furor mathematicus a cura di Gian Italo Bischi. Ne abbiamo parlato con Biagio Russo, vicepresidente e direttore dell’omonima Fondazione.

 

Quali aggettivi sceglierebbe per descrivere una personalità come quella di Leonardo Sinisgalli?

Definirei Sinisgalli un uomo moderno, poliedrico e curioso. E i motivi sono abbastanza semplici. È un personaggio moderno, perché non ha mai inseguito esclusivamente una vocazione, ha cercato contaminazioni e impurità e soprattutto ha tentato di far dialogare ambito scientifico e letterario. Si è interessato di tutto e lo ha fatto in maniera visionaria. È versatile, in quanto la sua formazione è stata così particolare che lo ha portato a muoversi su diversi terreni: è l’esatto contrario del poeta romantico, ripiegato su se stesso, che vive solo di poesia. È un uomo con una formazione matematica e fisica, che poi si è occupato di comunicazione, di documentarismo scientifico, di pubblicità, di letteratura, di narrazione. Ma anche di architettura, di design, ed è difficile trovare esempi simili. La curiosità verso ogni aspetto del sapere, infine, è il substrato su cui si è appoggiata tutta la sua vita, sia dal punto di vista professionale che poetico.

 

Il poeta-ingegnere riesce nel tentativo di far dialogare scienza e poesia?

Sinisgalli si forma all’Istituto di via Panisperna a Roma, tra il 1925 e il 1927 (si immatricola al corso di laurea in matematica e fisica, ndr), che corrisponde al biennio della facoltà cui poi si sono aggregati Enrico Fermi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Ettore Majorana. Ha avuto, dunque, una formazione scientifica molto significativa. Poi, in seguito a una crisi e anche all’amore per la poesia, decide di passare a ingegneria, un percorso che gli garantisce maggiore libertà di frequentare artisti, letterati, salotti e caffè romani. Fin dall’inizio si è trovato a muoversi con questa doppia personalità. Inizialmente la sua poesia rientra nelle correnti del tempo, appartiene alla terza generazione degli ermetici. Le sue 18 poesie (che pubblica nel 1936 a cura di Giovanni Scheiwiller, ndr) aderiscono allo spirito del tempo, sulla linea di Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo, Mario Luzi. Il suo è un ermetismo meridionale legato alla distanza, alla propria storia e alla propria tradizione. Questa è la fase del Sinisgalli poeta, in cui la scienza è una presenza a latere, dato che contemporaneamente scrive il Quaderno di geometria e Ritratti di macchine. Tiene, tuttavia, ben distinte le due scrivanie.

 

Quando avviene la contaminazione?

La contaminazione credo avvenga a partire dagli anni di Civiltà delle macchine (periodico di Finmeccanica, ndr), siamo nel 1953-58. Sinisgalli per motivi di lavoro deve frequentare capannoni, industriali, tecnici, ingegneri e la sua attenzione per il dato scientifico tende ad aumentare. Scrive anche versi, poesie “tecniche”, “industriali”. Fa delle sperimentazioni, anche se nelle raccolte poetiche più importanti rimarrà sempre legato alla terra, al biografismo, alla riflessione.

 

In che modo la scienza “entra” nella poesia di Sinisgalli?

La possiamo percepire in modo particolare nella sua capacità di sintesi: Sinisgalli tende sempre a ridurre gli aggettivi, a utilizzare epigrammi, strutture brevi da un punto di vista poetico. Si autocensura, non è un poeta sentimentale, non è un poeta che tende a raccontare molto le proprie emozioni. La matematica entra nel verso attraverso forse la geometria, dunque l’accostamento dei termini, l’elencazione. E tutto questo si ritrova in modo particolare nell’ultima fase della sua vita. Secondo Sinisgalli la poesia è un insieme di “numeri reali” e di “numeri immaginari”. Esiste sempre qualcosa di non comprensibile, di non immediatamente scientifico, c’è sempre spazio all’immaginazione, ma c’è anche molto che appartiene al reale.

 

Qual è la funzione del poeta per Sinisgalli?

Sinisgalli riflette molto sulla poesia, tant’è che alla fine degli anni Quaranta scrive Intorno alla figura del poeta. La riflessione non riguarda la funzione del poeta in generale, ma il suo modo di pensare la poesia, quindi il suo modo di concepire il reale attraverso il filtro della poesia. Sinisgalli non è un poeta militante, nella sua poesia non troviamo aspetti che hanno a che fare con la politica o con la denuncia sociale. Per lui fare poesia significa riflettere sull’esistenza e sulla capacità di riuscire a comprendere la scientificità della realtà, attraverso la passione poetica. Che è sempre una passione contenuta, un filtro molto oggettivo. Tant’è che la sua ultima poesia è davvero sintetizzata, disseccata, distillata al massimo.

 

C’è un punto nella sua opera che meglio di altri esprime la sua concezione poetica?

Sinisgalli mette sempre il lettore in condizione di poter comprendere, oltre il livello della poesia, anche il livello dell’organizzazione della poesia e di poter capire ciò che lui pensa dello scrivere in versi. Nella prefazione al Dimenticatoio (raccolta pubblicata per Mondadori che raccoglie le poesie dal 1975 al 1978), nell’Avvertenza al lettore, Sinisgalli scrive: “Voglio far cenno di alcune trasformazioni intervenute in questa raccolta rispetto alle precedenti. Nei miei primi libri prevalse lo spirito geometrico (“il senso della misura e della posizione”) e cioè il rispetto della simmetria e dell’uniformità. Dalla fine degli anni Cinquanta è cominciato il cedimento della materia espressiva, che si è disarticolata, ha perduto coesione e fermezza. Forse è venuta meno la fede nell’Opera che a sprazzi ha lasciato scoperto qualche residuo di vecchie idolatrie artigianali. Questo ultimo fascicolo viene a sostituire più decisamente ai due classici tabù, esattezza e similitudine, una caratteristica meno vantata, la connessione”.

Sinisgalli analizza il suo modo di fare poesia utilizzando termini come similitudine, connessione, esattezza, geometria che appartengono a un cifrario, a una ferramenta che non è quella di un poeta tradizionale, ma di un poeta sui generis. Chiude questo passaggio dicendo: “La vita imita sempre più il sogno nel suo disordine che cresce con l’età. Credevo di guadagnare la chiarezza ed è invece cresciuta la confusione”. Esiste sempre un binomio, dunque, un pendolare tra l’esattezza, la chiarezza e la confusione, tra l’entropia e la sintropia.

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