GALLO MARCO

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GALLO MARCO

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Figlio del fondatore dell’Alta Sartoria Gallo di Roma.

Oggi è a capo della sartoria romana fondata la sartoria romana, fondata oltre sessantanni fa dal lucano Luigi Gallo ed oggi in mano al sesto e ultimo figlio, Marco, il fascino del confezionamento sartoriale è tra quei valori tradizionali che hanno saputo resistere al tempo e, in parte, anche alla tecnologia.

Marco Gallo nel suo atelier di via Flavia a Roma

In un articolo di Lucia Lapenta dal titoli “TALENTI LUCANI : NEL CUORE DI ROMA L’”ALTA SARTORIA” GALLO” pubblicato il 5 maggio 2019 viene sottolineato che nel mondo delle creazioni sartoriali d’alta moda o  su misura l’abito unico, non prodotto in serie,  “è pensato e realizzato per calzare come un guanto e secondo le esigenze stilistiche e di praticità individuali si può, effettivamente, considerare una creazione artistica a tutti gli effetti. Nella sartoria romana, fondata oltre sessantanni fa dal lucano Luigi Gallo ed oggi in mano al sesto e ultimo figlio, Marco, il fascino del confezionamento sartoriale è tra quei valori tradizionali che hanno saputo resistere al tempo e, in parte, anche alla tecnologia. 

Entrare nel negozio di Via Flavia, a metà strada tra XX Settembre e quella ormai cinematograficamente ribattezzata della “Dolce vita”, è come fare un vero e proprio tuffo tra una miriade di stoffe dalle mille stampe e colori, aghi, fili, asole, forbici, manichini, giacche, pantaloni, cappotti, cravatte e outfit maschili, tutti rigorosamente fatti a mano. Inutile pensare di andare a cercare tra pezzi in serie che si possono trovare in qualsiasi negozio d’abbigliamento, a Milano come a Trapani. L’idea è totalmente diversa dal prodotto uscito da una fabbrica: qui si parla solo di capi realizzati con il solo ausilio delle mani e, ovviamente, con la passione e la dedizione solo di chi sceglie un mestiere antico ma sempre attuale come questo per vocazione o, come nel caso di Marco, per tradizione!”

La storia inizia con il padre Luigi roccanovese e la madre di Castronuovo, dal 2007 al timone della sartoria, che aveva avuto da giovane la passione per la moda e per i capi esclusivi che venivano indossati dal cognato Luigi Briamonte che lavorava per alcune sartorie napoletane. Capi esclusivi che venivano ammirati da tutti quando tornava a Castronuovo, sempre ben vestito e con capi, “all’epoca davvero strabilianti per un piccolo paesino della Basilicata”.

Questo esempio in famiglia spinse il padre a fare una prima esperienza in paese e poi a 16 anni, con la valigia di cartone in mano, nella Capitale, lavorando nelle botteghe del Litrico e del Saraceni”.

Come si soggiunge nel predetto articolo “sotto la direzione di Marco la sartoria ha mantenuto l’afflato improntato dal papà, che ha servito tante personalità insigni del mondo dello spettacolo, delle istituzioni politiche e persino religiose, come i Papi Ratzinger e Wojtila. Ma anche manager, broker finanziari e persone “comuni” con la voglia di distinguersi”.

Sono cresciuto praticamente in sartoria. Dopo la scuola  – racconta il giovane sarto che ha studiato a Roma all’Istituto Armando Diaz (diplomandosi come operatore di moda) e successivamente all’Accademia Nazionale dei sartori – mi mettevo fianco a fianco a mio padre per carpire i segreti e, mia madre, per mettermi alla prova mi faceva fare le iniziali sulle camicie. Ricordo ancora che quando entrava un cliente riuscivo a indovinare se indossasse un abito fatto da mio padre oppure no. In questo modo ho capito, quasi per gioco, che avrei potuto, un giorno, ricalcare le orme paterne”.

E, così, è stato: forte della preparazione tecnica appresa nelle Scuole, negli stage con le griffe di alta moda come Gattinoni ma, in particolar modo, dalla maestrìa del padre, Marco continua a proporre la bellezza delle confezioni fatte ad arte, coniugando tradizionalità con la modernità e, persino, con la sperimentazione tecnologica.

Siamo stati i primi a ricevere, sperimentare e realizzare con un tessuto in fresco lana brevettato da LoroPiana, un completo giacca-pantalone, il più leggero al mondo e, praticamente, ingualcibile. Anche raggomitolato e messo alla rinfusa in una valigia – dice il general manager della sartoria che vanta anche il riconoscimento della Casa Borbonica – non fa una piega”.

Marco Gallo, da appassionato anche di tecnologia, ha partecipato ed ha vinto, insieme alla Scuola Europea dell’Alta sartoria fondata anch’essa dal padre, al concorso milanese per il confezionamento del miglior abito, realizzato senza poter vedere la fisionomia della persona che lo avrebbe indossato.

“In base ai parametri dati da un body scanner, un laser di ultima generazione capace di prendere migliaia di misurazioni corporee – racconta Marco che ha intenzione di coinvolgere la Basilicata della moda in un progetto di sartorialità dedicato ai costumi tipici lucani e nella realizzazione di abiti per cerimonia – ci siamo cimentati con successo nella lavorazione del capo: la tecnologia può aiutare ma la vera difficoltà per un abito sta nella lavorazione!”

Da segnalare che il padre Luigi Gallo per la Moda nell’anno 1992 ha avuto dal Comune di Pomarico (prov. Matera) il riconoscimento di Lucaniaoro, che viene attribuito ai Lucani che si sono distinti nei vari ambiti delle attività umane dalla politica all’imprenditoria, dalla Cultura al Sociale.

Luigi Gallo, un sarto tutto lucano. (lapretoria.it)

Luigi Gallo è uno dei pochi grandi sarti lucani rimasti. Ha mani di velluto e una volontà di ferro. Realizza abiti su misura, pezzi unici e inconfondibili. «Mi viene per abitudine», dice. Ma le misure della sua abitudine trasformano un uomo medio in un uomo speciale. Taglia 300 abiti l’anno. Luigi Gallo ha una storia lunga sessant’anni. Viene da un paesino invisibile della Basilicata, Roccanova di Potenza. Settimo di nove figli, Gallo oggi è sessantacinquenne. Ha il sorriso di chi ancora ama il proprio mestiere e le mani piccole e sempre in movimento di un vero artigiano. Allievo di Angelo Litrico, apre la sua prima bottega nel 1966 proprio a Roccanova di Potenza. Ma, trascorsi due anni, dopo aver vestito tutto il paese, si trasferisce definitivamente a Roma. In una medio lunga intervista telefonica, ho avuto modo di fare delle interessanti domande a quest’uomo di gran talento.

 

A che età è nata la sua passione per il vestire?

A sette anni, tramite mio zio Luigi Briamonte, di Sant’Arcangelo e fratello di mia madre. Vestiva sempre elegante. Noi invece non potevamo vestire bene perché eravamo 9 figli ed eravamo poveri. Negli anni ho fatto esperienza nei laboratori di Domenico Caraceni e Angelo Litrico, il mito. Io realizzavo gli abiti e lui me li pagava. Eravamo parecchi operai esterni e ad ogni operaio egli assegnava i clienti più importanti. Ho vestito Giuseppe Ungaretti, Andreotti, Colombo, Carlo D’Apporto, Giacomo Manzù lo scultore. Litrico guarda il taglio. Aggiusta un angolo. Perfeziona un dettaglio. Non toccava mai un abito, anche se governava tutto. Il suo vero lavoro erano cene, chiacchiere, pubbliche relazioni. Così imparai pure quello. E imparai che il cliente ha ragione ma non sempre. Chi fa il sarto studia il modo di vestire dell’architetto, dell’avvocato, del presentatore. Se un cliente ha un fisico grosso bisogna consigliare una fantasia meno appariscente. Ci vuole eccellenza doppia a dissuadere, maestria ad aggiustare. Personalmente, mi sono sempre ispirato ai film americani, al modo in cui vestivano certi attori. In particolare i divi americani Steve Mcqueen e James Stuart e 2 dei miei 6 figli, Marco e Alessandra, hanno intrapreso quest’attività.

 

Quali sono le maggiori soddisfazioni ottenute da questo lavoro?

Alcuni giornalisti sostengono che esprimo le stesse emozioni di un giovane, quando parlo del mio mestiere e questo non è un caso. Agli ultimi tre figli, mio padre diede la possibilità di apprendere un mestiere. Io scelsi quello di sarto. Sicuramente, una delle mie più grandi soddisfazioni è la possibilità di apprendere sempre cose nuove, di poter mettere a confronto tante diverse personalità, ognuna con i suoi gusti. La possibilità di insegnare un’arte, se vogliamo. Di dare, in tempi di crisi, la possibilità ai giovani di inventarsi un futuro.

Che sensazione provano i clienti quando indossano un suo capo d’abbigliamento?

I clienti arrivano, spengono i cellulari e si dimenticano del tempo. Le prove degli abiti sono un’esperienza unica. I clienti di oggi sono consulenti, avvocati d’affari, manager rampanti ma anche attori. Lavoro, da sempre, strizzando l’occhio a un modello. Quello inglese. In Gran Bretagna il governo interviene con agevolazioni e contributi quando si tratta di sostenere investimenti in favore dell’artigianato, come per la formazione ad esempio. In Italia non se ne parla nemmeno.

Cosa le manca di più della Lucania da quando risiede a Roma?

La nostalgia si avverte. Bisognerebbe tornare ai valori autentici. Mi manca la mia terra, i paesaggi inconfondibili della Lucania. Al paese sono io che fermo gli amici per salutarli. Loro raramente mi riconoscono. Più passano gli anni, più aumenta il desiderio di rivedere i posti che frequentavo da piccolo, ormai parte indelebile del mio vissuto. Più passano gli anni più si fanno sentire le mie origini e in particolar modo, la voglia di tornare a Castronuovo, Vissanelo e Roccanova, dove ho trascorso la mia infanzia. Proprio per questo, mi sono ricreato una casetta in campagna con le galline ed il pollaio. Ma il mio maestro si trasferì a Roma nel 57 e dopo due anni mi mandò a chiamare. Da un lato è stata una fortuna per me. Dopo il militare a Roma, ho fatto la migliore clientela come sarto nel mio paese. Ma chi stava in paese era lontano dalle luci della ribalta. Così, me ne tornai a Roma, prendendo lavoro presso la sartoria di Angelo Litrico. Litrico una volta mi disse: “La felicità è nel lavoro, e un po’ nella famiglia”. Io oggi ho sei figli, ma Litrico, che visse solo, si sbagliava nelle proporzioni. La famiglia è moltissimo, il resto segue. In fondo si tratta solo di abiti ben fatti.

 

Quali sono i nomi più importanti che ha avuto l’onore di vestire?

Stefano Accorsi, Michele Placido, Giancarlo Giannini. Mi sono occupato dei revers di Giulio Andreotti, ho cucito un cappotto a Nikita Kruscev. Michele Placido, Sergio Castellitto, Giancarlo Giannini, Stefano Accorsi. David Zard il produttore del musical “Notre Dame da Paris”. Un bel po’ di cinema, oggi, passa dai miei velluti. Poi Marco Bellocchio, che sta per girare La condanna con Vittorio Mezzogiorno. Mezzogiorno era un personaggio straordinario. Dopo il film con Bellocchio, lo vestii per La Piovra. E in ventiquattrore gli feci uno smoking per andare di corsa a Venezia. Da allora diventammo amici. Ho visto crescere Giovanna, la figlia: due anni fa, quando vinse il David di Donatello, volle indossare lo smoking del padre. Sono stato anche da papa Karol Wojtyla e da papa Ratzinger a cui ho realizzato un soprabito che metteva nei suoi lunghi viaggi. Ho realizzato un tessuto molto leggero, che lo tenesse caldo, ma al tempo stesso non gli pesasse. Se prima il primato della sartoria era inglese, ora è italiano perché l’Italia, nel suo piccolo, è molto all’avanguardia nell’artigianato.

 

Cosa state realizzando in questo periodo?

Da 30 anni a questa parte ho lavorato molto con il cinema. Nel 1992 ho fondato la camera europea dell’alta sartoria con l’obbiettivo di formare nuovi sarti, con le tecniche moderne di tagliatore sarti e di stilista. Questa scuola è stata fondamentale, perché già dagli anni 60 i laboratori erano pieni di apprendisti ed era stato abolito l’apprendistato in tutti i settori dell’artigianato. Se non avessimo aperto una scuola, in 10 anni l’artigianato italiano sarebbe scomparso. Mio figlio a 4 anni veniva a infilarmi l’ago. Così ha tramandato la tradizione come anche molti giovani stranieri che poi hanno esportato questa arte, che ha finito per prendere piede in tutto il mondo. È un vero peccato che i nostri politici non sappiano apprezzare questa ricchezza! Noi abbiamo questo primato e loro non ci apprezzano. Noi lavoriamo ma lo stato non investe su di noi. All’estero, invece, sanno rivalutar meglio ciò che hanno di artistico. In Gran Bretagna il governo interviene con agevolazioni e contributi quando si tratta di sostenere dei veri e propri investimenti in favore dell’artigianato. Il paradosso è che noi che abbiamo più cultura e arte, rischiamo di passare come l’ultima ruota del carro. Conosco gente venuta dalla Germania, dal Giappone, dall’America, ad apprendere il nostro mestiere e ci potrebbero essere già nuovi insegnanti in grado di tramandare il mestiere nelle scuole private lucane. Con la crisi che c’è, oggi l’unica salvezza sembrano essere i vecchi mestieri, quelli che fanno star bene moralmente ed economicamente. Hanno rappresentato i fondamenti per la nostra economia, almeno fino al periodo preindustriale.

Giulio Ruggieri

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