PETRONE ROCCO

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PETRONE ROCCO

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Amsterdam (N: Y), 31 marzo 1926 – Palos Verdes Estates, 24 agosto 2006

(Ingegnere e ufficiale dell’Esercito degli Stati Uniti d’America; direttore delle operazioni di lancio allo John F. Kennedy Space Center della NASA, e dal 1969 fu direttore dell’intero Programma Apollo) e la mamma DE LUCA PETRONE TERESA.

Figlio di emigrati italiani, giunti in America dalla località lucana di Sasso di Castalda, Rocco Petrone è stato un pioniere della corsa allo spazio.

La sua carriera alla NASA fu «folgorante»: da giugno 1966 a settembre 1969 fu direttore delle operazioni di lancio allo John F. Kennedy Space Center della NASA, e dal 1969 fu direttore dell’intero Programma Apollo.

Dal 1973 al 1974 fu direttore del Marshall Space Flight Center della NASA, la terza persona chiamata a quella carica.

Nacque ad Amsterdam, cittadina dello stato di New York, poco distante da Schenectady, dove si erano stabiliti i suoi genitori, due immigrati italiani provenienti da Sasso di Castalda, in Basilicata. Suo padre, operaio ferroviario, morì per un incidente sul lavoro lasciandolo orfano ancora bambino. Sua madre era operaia in una fabbrica di guanti e Rocco dovette darsi da fare per aiutare la famiglia effettuando consegne a domicilio di ghiaccio.

In seguito, vinse un posto all’Accademia militare degli Stati Uniti a West Point. Dotato di un fisico imponente, nel 1945, mentre era in accademia, ricoprì il ruolo di defensive tackle nella squadra vincitrice del campionato nazionale di football. Laureatosi nel 1946, prestò servizio in Germania dal 1947 al 1950.

Dall’esercito statunitense si sarebbe congedato nel 1966, con il grado militare di tenente colonnello.

Ritornato dal servizio militare in Europa, proseguì gli studi iscrivendosi al Massachusetts Institute of Technology dove conseguì, nel 1951, il Master’s degree in ingegneria meccanica a cui poi si aggiunse un honorary doctorate conferitogli dal Rollins Colleg.

Durante i due decenni trascorsi nell’esercito statunitense, Petrone prese parte allo sviluppo del razzo Redstone, che fu il primo missile balistico degli Stati Uniti e anche il vettore utilizzato per lanciare nello spazio i primi astronauti americani, Alan Shepard e Gus Grissom, nella loro missione suborbitale.

Rocco Petrone. Sullo sfondo, il Crawler-transporter sposta il Saturn V al Complesso di lancio 39

Nel 1960, Petrone fu trasferito alla NASA, dove presiedette allo sviluppo del vettore Saturn V e alle relative operazioni di lancio, quelle vere e proprie “maratone di cinque mesi”, come egli le ebbe a battezzare, che toccavano il loro culmine nel momento del lancio, ovvero poco prima che tutto giungesse a conclusione.

Sovrintese alla costruzione di ogni elemento per il lancio del programma Apollo, incluso il Complesso di lancio 39 del John Kennedy Space Center, il Vehicle Assembly Building (l’Edificio di assemblaggio dei veicoli) e il Crawler-transporter, lo speciale mezzo per lo spostamento dei razzi dall’assemblaggio alla rampa di lancio, tutte attrezzature utilizzate ancora oggi per le operazioni di lancio dello Space Shuttle.

Petrone era descritto dai suoi colleghi alla NASA come una persona molto esigente. Si congedò dall’esercito nel 1966, ma continuò il suo lavoro nei siti della NASA, venendo promosso quello stesso anno all’incarico di “Direttore delle operazioni di lancio” del centro spaziale Kennedy.

Nel 1969, poco dopo il successo della missione Apollo 11, fu nominato direttore dell’intero Programma Apollo, succedendo nella carica al generale Samuel C. Phillips. Nel 1972 gli furono conferite ulteriori responsabilità quale direttore del programma NASA nel progetto sperimentale congiunto Apollo-Sojuz, tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

L’anno dopo, durante l’odissea della missione Apollo 13, fu Rocco Petrone a mantenere i contatti con gli interlocutori politici che chiedevano informazioni su cosa stesse succedendo e su quali iniziative la Nasa intendesse adottare per mettere in salvo l’equipaggio.

Petrone lavorò per un anno come amministratore del Marshall Space Flight Center, il primo direttore non tedesco dopo Wernher von Braun e Eberhard Rees. A quel tempo la NASA stava subendo drastici tagli alle dotazioni finanziarie, e il suo mandato fu contrassegnato da molti avvicendamenti o siluramenti. Nel 1974, Petrone lasciò il Centro Marshall per accettare l’assegnazione al terzo gradino nella gerarchia della NASA, quello di Associate Administrator.

Nel 1975, Petrone si congedò dalla NASA e divenne presidente e amministratore delegato del “National Center for Resource Recovery” (“Centro nazionale per il recupero di risorse”), un’iniziativa congiunta, tra industria e lavoratori, per incoraggiare e sviluppare metodologie per il recupero di materiali ed energia dai rifiuti solidi.

Negli anni Ottanta, Petrone ricoprì incarichi di vertice alla Rockwell International, l’azienda aerospaziale responsabile della costruzione dello Space Shuttle.

Prima della partenza dello Space Shuttle Challenger, nella missione STS-51-L del Programma Shuttle, egli consigliò di non effettuare il lancio. Era infatti preoccupato che le temperature glaciali della notte potessero aver danneggiato lo scudo termico del sistema di protezione dello Space Shuttle. Il lancio venne effettuato lo stesso, il 28 gennaio 1986, e si concluse con il famoso disastro, che determinò la morte di sette astronauti e uno stop al programma spaziale. L’incidente fu effettivamente dovuto alle temperature polari ma la causa intermedia dell’incidente del Challenger non fu quella indicata da Petrone: il freddo polare non danneggiò lo scudo termico ma causò l’irrigidimento degli o-ring elastici posti a giunzione e sigillo dei segmenti che costituivano gli stadi a propellente solido.

Rocco Petrone morì a Palos Verdes Estates, in California, all’età di 80 anni, il 24 agosto 2006, per complicanze legate al diabete mellito di cui soffriva, lasciando la moglie Ruth Holley e quattro figli.

https://www.giannellachannel.info/sindaci-lucani-intitolate-via-teresa-de-luca-petrone-madre-rocco-petrone-nasa/

 

CARI SINDACI LUCANI, INTITOLATE UNA VIA A TERESA DE LUCA PETRONE CHE HA PORTATO IL FIGLIO ROCCO DAI SASSI DI MATERA AI SASSI DELLA LUNA

 

Partita con il marito da Sasso di Castalda verso l’America e rimasta vedova con tre figli, Teresa ha fatto sacrifici per farli studiare. Il più meritevole, Rocco, dopo gli studi all’Accademia di West Point (foto) e poi al MIT, è stato assunto alla NASA e ha scalato meritatamente la gerarchia fino a diventare direttore dell’Agenzia spaziale americana. Era al tavolo di comando della missione Apollo che ha portato nel ’69 il primo uomo sulla Luna.

Quel giorno, nella base di lancio, la sedia accanto a quella del presidente degli Stati Uniti portava il suo nome: Teresa, donna italica che inseriamo a merito nella nostra campagna per una toponomastica più al femminile. Con l’immediata ed entusiasta risposta del sindaco di Sasso di Castalda.

 

STORIE DI DONNE NON COMUNI | TOPONOMASTICA AL FEMMINILE

testo di Carmen Pellegrino con Salvatore Giannella e un intervento di Renato Cantore per Giannella Channel Feb 25, 2021 | Storia, Storie di Donne non comuni.

Nome Teresa
Cognome De Luca
Data di nascita 1899
Luogo di nascita Sasso di Castalda
Data di morte 1986
Nazionalità Italo-americana

 

Teresa De Luca con il figlio Rocco Pastore

Caro sindaco Nardo,

nel borgo da Lei amministrato, Sasso di Castalda, ci sono già meritatamente due agganci alla Luna: la piazza intitolata a Rocco Petrone, già direttore della NASA a capo dell’Operazione Apollo che portò l’uomo sulla Luna il 20 luglio del 1969, e lo spettacolare ponte alla Luna, inaugurato nel 2017 che porta, in tempi non pandemici, un flusso di viaggiatori curiosi nelle vostre strade. Le chiediamo un impegno supplementare per dedicare una strada a una donna: Teresa De Luca, vedova di Antonio Petrone e madre di Rocco, protagonista lucana di una vicenda umana che meriterebbe ben oltre che l’attenzione della commissione toponomastica del suo Comune (e, auguralmente, degli altri comuni della Basilicata). Fossimo a Hollywood, la sua storia avrebbe già convinto produttori e registi a dedicargli un film. Il perché è presto detto. Partiamo dall’inizio.

Siamo nei primi anni del Novecento, Teresa e Antonio sono una giovane coppia lucana. La loro è una unione fatta di amore e semplicità. Antonio, 24 anni, veste la divisa di carabiniere, Teresa, 21, è una contadina. Si sposano il 17 aprile 1920, alle ore 17.40 annota con precisione e grafia elegante l’impiegato dell’anagrafe comunale. Il periodo, però, è difficile e i due giovani sposi decidono di seguire la via dell’emigrazione, con il carico di sogni per una vita migliore per loro ma soprattutto per i loro due figli.

 

Giungono ad Amsterdam, Stato di New York. Qui Antonio trova lavoro presso una compagnia ferroviaria, come casellante. Teresa diventa mamma del suo terzo figlio. Il 31 marzo 1926 nasce Rocco Anthony. La scelta del nome del bambino fa ben comprendere il carattere della giovane coppia ma anche come sia forte il legame con il paese di origine. Il bambino si chiama Rocco come il Santo patrono di Sasso di Castalda, il doveroso omaggio alle radici lucane e Anthony, come papà Antonio, quasi un ringraziamento alla terra che li ha accolti. Teresa inoltre viene assunta in una fabbrica tessile.

 

L’avventura americana dei Petrone, ricostruita con impeccabile precisione da Renato Cantore in Dalla Terra alla Luna. Rocco Petrone, l’italiano dell’Apollo 11 (Rubbettino Editore, 2019), sembrava cominciare nel migliore dei modi. Il lavoro non mancava e la famiglia cresceva: in cinque anni erano arrivati tre figli.

Rocco ha appena sei mesi quando un drammatico incidente sconvolge la vita della famiglia: Antonio sta attraversando i binari al passaggio chiamato Di Caprio’s Crossing ma quella mattina non s’accorge di un treno in arrivo. Per Antonio non c’è scampo. Il sogno della famiglia Petrone si trasforma in incubo.

Quale destino può aspettarsi una giovane vedova venuta da tanto lontano, con tre bimbi, il più grande dei quali non aveva ancora l’età per andare a scuola?

Chiunque sarebbe tornato al paese di origine, ma Teresa no. Determinata a dare una vita migliore a quei bambini, stringe i denti e cresce da sola tra mille difficoltà i suoi piccoli, soprattutto Rocco, il più dotato.

La biografia di Teresa non è ricca di episodi particolari. La straordinarietà della sua storia si può riassumere in due parole: sacrifici e amore. Teresa fa mille lavori, più di uno al giorno, per permettere soprattutto al suo ragazzo di crescere al meglio e soprattutto dargli la possibilità di essere un uomo buono, onesto e migliore, così come voleva il suo Antonio.

Rocco cresce bene nonostante i tanti pregiudizi nei confronti degli immigrati italiani. Ricordato come il migliore allievo all’high school, Rocco trascorre la mattina come studente modello, il pomeriggio a vendere il ghiaccio per strada per aiutare mamma Teresa, e di tanto in tanto gioca con gli aquiloni che si perdevano nel cielo: e lei, Teresa, a rassicurarlo esortandolo a studiare e lavorare sodo perché un giorno, forse, l’avrebbe ritrovato, quell’aquilone, magari perché incaricato come pilota dell’aeronautica di trasportare gli ultimi cittadini del pianeta Terra verso un pianeta nuovo, ricco di acqua, risorse ed energia (singolare coincidenza: è questa la trama dell’Aquilone, romanzo sceneggiato di Michelangelo Antonioni e Tonino Guerra, Editoriale Delfi di Salvatore Giannella, Cassina de’ Pecchi, 1996). Rocco frequenta per meriti scolastici l’Accademia di West Point fino a laurearsi in ingegneria meccanica al Mit, Massachusetts Institute of Technology, a Cambridge (USA), una delle più importanti università del mondo.

 

Dopo una breve carriera nell’esercito, nel 1960, Petrone viene assunto alla NASA, diventa il braccio destro di Wernher von Braun (1912-1977), l’ingegnere tedesco capostipite del programma spaziale americano, e nel 1966 viene promosso “direttore delle operazioni di lancio” del centro spaziale Kennedy a Cape Canaveral, sull’isola Merritt in Florida. Il suo contributo è fondamentale nella missione APOLLO 11 che porta il primo uomo sulla Luna.

Nessuno potrà mai dire abbastanza bene di Rocco Petrone. Non saremmo mai arrivati sulla Luna in tempo o, forse, non ci saremmo mai arrivati senza Rocco!

Con queste parole Isom “Ike” Rigell, ingegnere capo del Kennedy Space Center, ricorderà Rocco Petrone. Timido e solitario, inflessibile e dinamico, dagli occhi profondi e distaccati, con un fisico imponente da ex giocatore di football, un metro e 90 di altezza per un quintale di peso, Rocco era temuto e ammirato, al punto di guadagnarsi il soprannome di “tigre di Cape Canaveral”.

Rocco Petrone (1926 – 2006), ingegnere figlio di emigrati italiani, giunti in America dalla località lucana di Sasso di Castalda, Rocco Petrone è stato direttore delle missioni Apollo e un pioniere della corsa allo spazio.

Teresa adesso è felice, guarda il proprio figlio e ciò che ha fatto e comprende che tutti quei sacrifici sono serviti. I valori in cui ha sempre creduto, insieme a suo marito, sono gli stessi che segnano la vita dei suoi tre figli.

Prima dell’allunaggio, il nostro satellite, ha ispirato per secoli la fantasia di scrittori e poeti come Dante, Ariosto, Leopardi, D’Annunzio, Pirandello e molti altri. Anche un Papa, Giovanni XXIII nel 1962 ne farà oggetto di un famosissimo discorso, passato alla storia appunto come il “discorso alla luna”.

Sbarcando sulla Luna l’uomo ha realizzato un sogno antico e Rocco Petrone, figlio dell’ex contadina lucana, ne è stato uno degli artefici.

Perché Teresa

La Storia però, quella con la S maiuscola, spesso è fatta di scelte che nessuno conosce e alle quali probabilmente nessuno dà peso perché prese da uomini o donne che non sono direttamente protagonisti. Teresa De Luca con la sua scelta in qualche modo scriverà la Storia.
Teresa sceglie la strada più difficile. Lei, vedova, scelse di restare in un paese che non conosce, di cui non conosce la lingua, da sola con tre figli, e lo fa proprio per amore verso di loro, per dar loro una opportunità. Teresa fa quello che fanno le donne, prendono decisioni di pancia. Nulla è calcolato, nulla è lasciato al caso. È solo amore.

È per amore dei propri figli che Teresa decide di mettersi in gioco, di annullarsi quasi, di lavorare fino allo sfinimento per dare loro una possibilità di felicità. E può orgogliosamente assistere alla straordinaria avventura di quello sbarco sulla Luna coordinato da terra dal figlio Rocco. Brava, mamma Teresa. La storia tua e di Rocco, suggellata da un abbraccio sulla tribuna di Cape Canaveral (vedere testimonianza a seguire di Renato Cantore), è una storia umana e professionale dovrebbero conoscerla in tutte le scuole: perché è la prova che, nel giro di una generazione, si può passare, guidati dalla curiosità e dalla formazione, dalla campagna più arsa e più povera d’Italia alla direzione della più grande impresa organizzativa dell’umanità. Dai Sassi di Matera ai sassi della Luna. E fino ai sentieri dell’Infinito.

A PROPOSITO/ IL BELLO DELLA MEMORIA

Quell’abbraccio di Teresa e Rocco

sulla tribuna di Cape Canaveral,

sotto gli occhi del presidente Usa

TESTIMONIANZA DI RENATO CANTORE

Centro spaziale Kennedy di Cape Canaveral, mezzogiorno del 16 luglio 1969. Il lancio dell’Apollo 11 è avvenuto con assoluto tempismo alle 9,32. Il grande viaggio verso la Luna è cominciato, e da qualche minuto il comandante della missione Neil Armstrong ha ricevuto dalla sala controllo il via libera per accendere i motori del terzo stadio che spingeranno la navicella spaziale verso l’orbita lunare.

Rocco Petrone più finalmente lasciare la sua postazione al centro della firing room dalla quale ha diretto tutte le operazioni di lancio con il suo team di quasi cinquecento ingegneri. Ora si può concedere qualche momento di relax mentre si lascia accarezzare dai raggi del sole della Florida e si dirige verso la tribuna dei giornalisti dove è atteso da una conferenza stampa per raccontare i dettagli del lancio e le prossime fasi della missione.

Prima però deve passare dalla tribuna delle autorità. Non per salutare il vicepresidente Spiro Agnew, l’ex presidente Lyndon Johnson (il presidente Richard Nixon seguì la spedizione lunare dallo Studio Ovale della Casa Bianca), la vedova di John Kennedy Jacqueline, o qualcun altro tra le decine di ministri, ambasciatori, star dello spettacolo. Rocco deve rendere omaggio a una persona davvero speciale, che ha avuto un ruolo non secondario in questa avventura: è mamma Teresa, la sua mamma coraggio, che non si è fatta prendere dallo scoramento quando è rimasta vedova con questo figlio di appena sei mesi, e ha deciso che lui e i suoi fratelli, figli di poveri emigranti, dovevano vivere fino in fondo il loro sogno americano.

Rocco aveva insistito molto perché mamma Teresa e la sorella Rosaria, un’altra persona che aveva contato molto nella sua infanzia, arrivassero fino a Cape Canaveral da Amsterdam (New York), anche se sapeva che avrebbe potuto dedicare loro solo qualche minuto.

Era davvero importante che ci fossero anche loro, proprio lì, in quella giornata memorabile. E anche nelle successive tappe della missione Apollo, nella tribuna del centro spaziale ci sarebbe stato sempre un posto in prima fila per mamma Teresa.

Un legame speciale, quello tra Rocco e la mamma, che non si era mai spezzato, anche quando questo figlio destinato a passare alla storia era preso da un lavoro che occupava totalmente le sue giornate. Almeno una volta l’anno Rocco riusciva sempre a trovare il tempo per passare qualche giorno ad Amsterdam, nello stato di New York, dove era nato e dove Teresa ha vissuto fin dal suo arrivo in America da giovane sposa.

Quando lo raggiunse in Florida la notizia della morte di mamma Teresa, era il novembre del 1986, Rocco andò di corsa all’aeroporto più vicino, dove scoprì che i voli per New York erano stati cancellati per una forte ondata di maltempo. Non riuscì a darle l’ultimo saluto e a partecipare al suo funerale. E questo fu per lui il più grande cruccio.

Storie e idee, modelli e valori nel blog, volontario e gratuito, di giornalismo partecipativo ideato e curato da Salvatore Giannella: da L’Europeo a Genius, da Airone a Oggi all’intelligenza collettiva nello spazio infinito del web.

 

Renato Cantore è nato a Potenza nel 1952. Laureato in Filosofia, giornalista professionista, ha lavorato per la Testata Giornalistica Regionale della Rai di cui è stato vicedirettore. Ha scritto di storia e storie dell’emigrazione. Su Rocco Petrone ha pubblicato due volumi: La Tigre e la Luna (Rai Libri 2009) e Dalla Terra alla Luna (Rubbettino 2019). Ha anche firmato il soggetto e la sceneggiatura di Luna Italiana (Istituto Luce-Cinecittà 2019).

news.it/tgr/basilicata/articoli/2021/08/bas-Petrone-Nasa-Basilicata-Luna-America-Sasso-b6746c06-388c-45a1-9cb7-ede2e915075c.html

 

Il centro di Cape Canaveral intitolato a Rocco Petrone

 

L’annuncio della neodirettrice Janet Petro che ha ricordato l’impegno dello scienziato di origini lucane nella missione Apollo 11 che portò l’uomo sulla luna.

Rocco Petrone

Sarà intitolato a Rocco Petrone, originario di Sasso di Castalda, il centro di controllo del Kennedy Space Center di Cape Canaveral.

Fu Petrone, in qualità di direttore di tutte le operazioni di lancio della base spaziale, a dare il via alla missione Apollo 11 che portò l’uomo  sullo Luna.

A comunicarlo la neodirettrice del centro spaziale Janet Petro attraverso una lettera inviata all’associazione degli ex dipendenti della Nasa.

Nella missiva Petro ricorda il decisivo contributo dato da Petrone alla grande avventura della conquista dello spazio: l’ingegnere di origini lucane fu il realizzatore, assieme alla sua squadra di circa 500 tecnici, del centro di controllo. Per questa ragione l’associazione degli ex dipendenti, che ha tra le sue fila anche alcuni suoi ex collaboratori, aveva avanzato la richiesta nel 2019, in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario della missione Apollo 11. Proprio in quell’anno la figura di Petrone è stata riscoperta, grazie anche alla pubblicazione della biografia dello scienziato nel volume del giornalista Renato Cantore dal titolo “Dalla terra alla luna. Rocco Petrone, l’italiano dell’Apollo 11”, edito da Rubbettino.

https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/07/13/rocco-petrone-luna-apollo11/

Rocco Petrone, l’italoamericano che ci ha portati sulla Luna

La storia (poco nota) dell’uomo, figlio di immigrati lucani, che arrivò a dirigere i lanci del programma Apollo e spedì l’umanità sulla Luna.

È un’alba di Luna nuova quella del 16 luglio 1969, un mercoledì di mezza estate destinato a scrivere la storia. Rocco Petrone, che non ha quasi dormito, sta guardando quello spicchio luminoso nel cielo, consapevole che dove sono nati i suoi genitori, a migliaia di chilometri di distanza, in Basilicata, la Luna crescente è d’auspicio per le grandi imprese.

Quarantatré anni, ingegnere meccanico, un metro e novanta per 100 chili, Petrone è noto come “il computer con l’anima“, anche se per i suoi collaboratori più stretti rimane la “tigre di Cape Canaveral” (un documentario su di lui, Luna italiana di Marco Spagnoli, sarà trasmesso su History Channel il 18 luglio alle 22:40). Ed è proprio lì, a Cape Canaveral, che Petrone si dirige poche ore dopo. Quindi, qualche minuto prima delle 9:00, come fa sempre comincia nervosamente a gironzolare per la fire room numero 1, quella con le console di comando, dove centinaia di tecnici, ognuno incollato a uno schermo, ripetono da giorni le migliaia di verifiche contenute nella check list che proprio lui, la tigre, ha redatto personalmente. Fra 45 minuti gli toccherà, da direttore del lancio, dare il “Go” alla missione Apollo 11. Quella che, se tutto andrà bene, porterà per la prima volta l’uomo a calpestare un suolo extraterrestre.

Niente male per uno la cui storia è iniziata a Sasso di Castalda, paesino di 1100 abitanti abbarbicato sull’Appennino lucano, a pochi chilometri da Potenza. Da lì, da Sasso, erano partiti mamma Teresa e papá Antonio subito dopo la grande guerra. Destinazione America, che come si canterà qualche anno più tardi, per 100 lire poteva regalare un sogno.

Il sogno aveva portato Teresa e Antonio fino ad Amsterdam. No, non la capitale olandese, ma un piccolo paese – di 30mila abitanti, comunque gigantesco rispetto a Sasso – a un paio d’ore da New York, nella contea di Montgomery; più precisamente, lì ad Amsterdam, Teresa e Antonio erano arrivati in una casetta all’incrocio fra Church Street e East Main Street, la strada che qualche anno dopo sarebbe diventata Petrone Street, proprio in onore al loro secondo genito: Rocco Anthony, arrivato dopo il fratello John, era nato il 31 marzo del 1926. L’avevano chiamato così: Rocco, come il santo protettore di Sasso di Castalda, e Anthony, come il padre, che in realtà non avrebbe mai conosciuto. L’american dream di Antonio, infatti, si era infranto subito, in un incidente, fatale, al cantiere ferroviario dove aveva trovato lavoro. Teresa aveva 27 anni. Rocco sei mesi.

Il risultato? Una determinazione e una disposizione al sacrificio che Teresa trasmise ai figli. A Rocco in primis: studente modello di mattina, il pomeriggio vendeva il ghiaccio per raggranellare qualche dollaro. Un’attività che non gli aveva impedito, nel ’43, in un periodo in cui gli immigrati non erano visti di buon occhio, di distinguersi fra i migliori diplomati della Wilbur Lynch Highschool. A scuola Petrone si era fatto anche una certa fama grazie alla memoria prodigiosa – che gli permetteva di citare testi letti una volta sola e diversi giorni prima – e per l’abilità nei calcoli, per cui primeggiava in gare di velocità (arrivando senza carta e penna a fare moltiplicazioni e divisioni fino a quattro cifre).

Poi, sebbene fosse un antimilitarista convinto, l’ambizione, la stazza e la mancanza di soldi lo avevano obbligato per proseguire gli studi a iscriversi a West Point, “la fabbrica delle migliori intelligenze dell’esercito americano” (la stessa che in quegli anni ospitava Buzz Aldrin e Michael Collins). Anche lì Petrone si era fatto notare subito: fra i migliori dell’academic program, soprattutto in matematica e nuove tecnologie, primeggiava anche nel physical program, tanto da essere ammesso nella squadra universitaria di football (dove avrebbe condiviso gli spogliatoi con Doc Blanchard e Glenn Davis, premi Heismen Trophy, sportivi dell’anno per il “Time” e futuri amanti di Elizabeth Taylor).

Ci aveva messo poco, Petrone, a laurearsi ufficiale dell’esercito americano; era successo nell’autunno del ’46, a guerra (che detestava) appena conclusa. Spedito tre anni in Germania per garantire l’assistenza dei rifugiati in rientro, era finalmente andato a Sasso di Castalda per conoscere la nonna e quindi era rientrato negli Stati Uniti, per iscriversi senza troppe difficoltà al Mit. In quattro anni ne era uscito con una laurea in ingegneria meccanica e una passione per lo sviluppo e la sperimentazione di razzi e missili balistici.

Fu per queste predisposizioni che, nel settembre del 1952, entrò al Redstone Arsenal, in Alabama, come ufficiale assegnato al laboratorio per i lanci missilistici dell’esercito, dove un tedesco, Wernher von Braun, stava più o meno segretamente realizzando il sogno della sua vita: spedire un razzo oltre l’atmosfera terrestre.

Il primo incontro fra i due non era andato benissimo: schivi e di poche parole entrambi, per von Braun il cognome italiano del nuovo arrivato non era una grande premessa. Di suo, Petrone, forgiato dal rigore etico di West Point, non poteva ammirare uno col passato nebuloso dell’ex SS nazista.

A Petrone vennero comunque affidate la progettazione e la realizzazione delle rampe di lancio del nuovo Redstone, il figlio legittimo delle V2 tedesche. Fu per questo che, per la prima volta, arrivò a Cape Canaveral, ai tempi ancora in costruzione. Petrone adorò quel posto e il suo lavoro dal primo giorno. Quando, il 20 agosto 1953, un Redstone volò per la prima volta, lui era già stato nominato responsabile per tutte le operazioni di controllo e di lancio. Il ruolo lo rimise accanto a von Braun; sia letteralmente, nella blockhouse di fronte alla console di comando, che metaforicamente: come scrive Renato Cantore fra le pagine della biografia Dalla Terra alla Luna, “l’ingegnere figlio di immigrati stava diventando un ingranaggio insostituibile nel sistema che per i successivi 20 anni avrebbe rappresentato l’asse portante della sfida tecnologica americana“. Dopo il primo incontro e nonostante il cognome italiano, anche per von Braun la cosa era diventata chiara.

Non fu quindi gradito a nessuno che il primo giugno del ’56 Petrone venisse nominato vicecapo dello staff per la logistica presso lo Stato maggiore dell’esercito, al Pentagono. Era stato chiamato a Washington per occuparsi dello schieramento sul territorio americano dei dodici principali sistemi missilistici destinati a rappresentare l’asse strategico della difesa nazionale. A trent’anni appena compiuti era uno dei massimi esperti in un campo in rapida espansione e in un mondo ossessionato, da una parte, dalla paura nucleare e, dall’altra, dalla corsa per la supremazia dello spazio. Ed è quasi certo che avrebbe suo malgrado fatto carriera politica se i sovietici, a sorpresa, non si fossero dimostrati molto più avanti degli americani nella gara oltre l’atmosfera.

Fallita la risposta statunitense, con il Vanguard progettato dalla Marina militare schiantatosi pochi secondi dopo il decollo, fu dato il via libera a qualsiasi progetto di von Braun. “E allora, tanto per cominciare – disse il genio tedesco – ridatemi Rocco Petrone“. A pochi mesi dal suo arrivo al Pentagono, Petrone ripartiva, questa volta verso una destinazione nota e che di lì a poco gli avrebbe valso il suo soprannome: la tigre tornava a Cape Canaveral e per rimanerci a lungo.

Quando arrivò in Florida, von Braun e il suo staff stavano già lavorando a un nuovo razzo, il Saturn, il cui primo lancio, programmato alla fine del 1961, sarebbe stato solo l’anticipo del progetto destinato a spedire Neil Armstrong e compagni sulla Luna, a bordo di un mostro tecnologico di duemila e ottocento tonnellate. Eppure ai tempi nessuno – tranne forse von Braun – avrebbe immaginato di trasportare uomini oltre l’atmosfera. Servirono due fatti per avviare il progetto: il primo volo orbitale di Jurij Gagarin, il 12 aprile del 1961, e l’elezione a presidente di John Fitzgerald Kennedy, che contrariamente al suo scettico predecessore, Dwight Eisenhower, impose, a suon di miliardi di dollari, che i sovietici fossero battuti nella tappa finale della corsa cosmica: il primo piede a toccare il suolo lunare avrebbe dovuto essere americano.

Quando Kennedy tenne il famoso discorso al Congresso in cui prometteva che gli Stati Uniti avrebbero conquistato la Luna entro la fine del decennio, Jim Webb, appena eletto amministratore della Nasa, commentò: “La strada sarà lunga e accidentata, ma va costruita mattone per mattone, qui sulla Terra“. A chiunque fu subito chiaro chi fosse il primo a dover posare quei mattoni: toccava a lui, Rocco Petrone, cui erano state affidate la progettazione e la realizzazione delle rampe di lancio per tutto il programma spaziale.

Duro, rigoroso, mai spaventato dal compito, l’ormai tenente colonnello Petrone notte e giorno si concentrava, come una tigre, sull’obbiettivo di realizzare il moonport. Sarebbero serviti cinque anni per terminare il Complex 39, un’opera mastodontica. Fu a lui che spettò la decisione di costruire la nuova rampa a Merrit Island, proprio di fronte a Cape Canaveral, su un’area di 54mila ettari acquistata dal governo per 72 milioni di dollari. Fu sempre lui a decidere che il Saturn V, alto 110 metri per oltre 10 di larghezza, venisse assemblato in verticale. Per cui fu lui a stabilire la costruzione del Vertical Assembly Building, un edificio grande quanto il Pentagono in cui montare, pezzo per pezzo, la gigantesca creatura volante di von Braun.

E fu ancora lui, che nel frattempo era diventato capo dell’ufficio dedicato a tutto il sistema dei veicoli pesanti, che istruì Jfk sulle specifiche tecniche del Saturn, in occasione dell’ultima visita del presidente a Cape Canaveral, la mattina del 16 novembre 1963, sei giorni prima che venisse ucciso a Dallas. Petrone, quella chiacchierata, non la scordò mai e fu orgoglioso come forse mai prima quando, nel 1964, diventò il direttore di piani, programmi (lo stesso programma Apollo) e risorse del centro spaziale appena ultimato, battezzato Kennedy Space Center.

Nacquero in quel periodo le famose check list, i puntuali elenchi di verifiche scritti da Petrone, che ognuno, nel suo ruolo, era obbligato a ripetere migliaia di volte prima di certificare, a proprio nome, l’eventuale “ok”.

Quando, nel 1975, Petrone si ritirò dalla Nasa, lo fece da direttore del programma Apollo, direttore del Marshall Space Center di Huntsville e amministratore associato. Morì il 24 agosto 2006 a Palos Veders Estates, dove si era ritirato per dedicarsi ai suoi amati studi di storia americana.

Per capire quanto fosse esigente la tigre, basterebbe sapere che all’operaio incaricato di posare le 40 tonnellate del secondo stadio del Saturn sul primo, Petrone aveva consigliato di addestrarsi stringendo tra i potenti bracci della gru un uovo fresco senza romperlo.

Una battuta? Non troppo. Se ne accorse anche chi, non in grado di rispondere alle domande tecniche, veniva sollevato letteralmente di peso, oppure chi dovette costruire il crawler, il mezzo cingolato progettato per trasportare il Saturn alla rampa di lancio, un’altra idea passata dall’ufficio di Petrone. Ma da allora erano trascorsi 5 anni e diversi lanci con il Saturn V, dal 9 novembre 1967 tutti coronati da successo.

Petrone posa davanti al Saturn V (foto: Nasa)

Eppure, quella mattina del 1969, pare che anche la tigre fosse emozionata. Quando Petrone, accanto a von Braun, diede il Go, lo fece quasi sottovoce. Erano le 9:32 del 16 luglio. Il lancio dell’Apollo 11 aveva rispettato il programma al centesimo di secondo. Il mattino era stato salutato da uno spicchio di Luna crescente.

https://www.regione.basilicata.it/giunta/site/giunta/detail.jsp?otype=1012&id=3076789&value=regione

ROCCO PETRONE ENTRA NELLA STORIA, BARDI: ORGOGLIO LUCANO

05.08.2021

“La intitolazione a Rocco Petrone del centro di controllo del Kennedy Space Center di Cape Canaveral rappresenta un motivo di orgoglio per tutti i lucani, soprattutto per la comunità di Sasso Di Castalda, il paese da cui i genitori partirono per trasferirsi negli Usa”. Lo afferma il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi.

“Questa intitolazione – aggiunge Bardi – rappresenta il giusto e meritato riconoscimento alla persona che coordinò il programma Apollo e grazie al quale l’uomo mise piede sulla luna. A giudicare dai tanti progressi fatti dalla scienza fino ad oggi, si potrebbe dire che l’esplorazione dello spazio iniziò con il famoso “go” di Rocco Petrone senza il quale probabilmente non ci sarebbero stati oggi i lanci su Marte e le ripetute missioni sulla luna. Dalla Basilicata un grande grazie alla neodirettrice del centro spaziale, Janet Petro, che ha risposto positivamente alle richieste dell’associazione degli ex dipendenti della Nasa, e al giornalista lucano Renato Cantore, che con il suo libro “La tigre e la luna” ci ha fatto conoscere da vicino la straordinaria personalità di Rocco Petrone, e le qualità dell’identità lucana”.

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