SCOTELLARO ROCCO

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SCOTELLARO ROCCO

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Tricarico 1923 – Portici 1953

La cultura è azione, ma soprattutto vita”, poeta, scrittore, grande uomo di cultura legato alla propria terra; fu eletto sindaco del Comune di Tricarico (il più giovane d’Italia).

https://www.ilcomuneinforma.it/viaggi/16312/personaggi-famosi-della-basilicata/

 

Poeta, scrittore, politico e contadino: questo è stato Rocco Scotellaro. Un grandissimo uomo di cultura, che non è riuscito a portare a livelli ancora più alti la sua figura di uomo e letterato, perché troppo legato alle vicende politiche della sua regione.

Rocco Scotellato nasce nel cuore della Basilicata, precisamente a Tricarico (1923) e morì a soli 30 anni a Portici. Grande studioso, fu mandato dal padre a studiare in Campania, per poi traferirsi nei principali centri di cultura sparsi lungo lo stivale italiano. Ma, la Lucania era rimasta nel suo cuore e non riusciva ad abbandonare i suoi pensieri. Alla morte del padre decise di rientrare nella sua terra d’origine, cominciando il suo lavoro politico e sociale. Si schiera dalla parte dei più deboli: i contadini, troppo spesso sfruttati e malpagati. Rocco Scotellato aveva un unico scopo, quello di ridonare dignità, lavoro e giustizia ai contadini. Cominciò la sua lotta partendo da una precisa idea: organizzazione. Lotta, si impegna e scrive: le poesie e i racconti di Rocco Scotellaro diventano sempre più.

I contadini cominciarono a fidarsi sempre più di questo giovane ragazzo, il quale stava dando voce ad una parte del popolo fino a quel momento muta. Riuscì a trasmettere a tutti che la cultura è azione, ma soprattutto vita. La poesia come mezzo di trasporto per giungere ad una condizione di vita migliore, non solo dal punto di vista dell’intelletto. Con le parole è possibile richiedere ciò che concretamente si desidera.

Rocco Scotellaro fu eletto sindaco (il più giovane d’Italia) e nel frattempo la sua produzione letteraria continua e gli apprezzamenti arrivano da tutta Italia, specie da colleghi e critici che scoprono un vero talento: Montale, Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Amelia Rosselli. Scotellaro decise di far conoscere i problemi sociali del Mezzogiorno coinvolgendo non solo intellettualmente ma anche fisicamente queste illustri figure del mondo della cultura. Grande intuizione quella di Scotellaro: il suo invito fu accettato da tantissimi personaggi illustri, tra i quali è possibile ricordare Henri Cartier Bresson, che fotografò le reali condizioni della gente lucana, e Adriano Olivetti che si impegnerà nel risanamento di Matera, città vergogna d’Italia (oggi capitale della cultura 2019).

Il genio letterario del politico-contadino- poeta Scotellaro lo si ritrova nella sua più sublime forma nella sua amatissima opera L’uva puttanella, che se pure di senso compiuto e maturo rimarrà incompleto a causa della sua morte.

Semplicità: è questa una delle parole che descrive al meglio la figura di questo illustre uomo di cultura che rientra tra i più amati personaggi famosi della Basilicata. Anche la sua casa è decisamente semplice: una umile abitazione che si affaccia direttamente sulla strada. È emozionante entrarci: il portoncino immette su una scala interna che porta alla stanza dove il poeta studiava, componeva e meditava. Poco più avanti della casa, in via Rocco Scotellaro, la bottega del padre ciabattino.

 

Rocco Scotellaro, riflessioni

Schiavitù contadina?, questo il concetto-chiave attorno cui si muove non solo la produzione poetico-letteraria di R. Scotellaro, ma anche la sua intensa esistenza.
Rocco Scotellaro nasce a Tricarico nel 1923 e, all’età di soli 30 anni muore a Portici.

Le sue opere edite più significative:

E’ fatto giorno (1954)
Contadini del Sud? (1954)
L’uva puttanella (1955)
Margherite e risolacci (1978)

hanno avuto consensi e riconoscimenti letterari. Fra i tanti vanno citati il Premio S. Pellegrino ed il Premio Viareggio, entrambi del 1954.
Le sue origini sono umili, il padre faceva il ciabattino e, sin da adolescente, spinto dalla saggezza del padre, ha preso coscienza delle misere condizioni di vita (se vita si può chiamare) dei contadini? i contadini del Sud?.
La sua vita è itinerante e, in seguito ad alterne vicende, lascia il paese natale trasferendosi a Roma, Potenza, Trento e Tivoli. Comincia gli studi universitari presso la facoltà di giurisprudenza a Roma, ma in seguito alla morte del padre ritorna a Tricarico e, successivamente prosegue gli studi presso l’università di Bari. Esponente del partito socialista italiano, all’età di ventiquattro anni diventa sindaco di Tricarico.
Lo scrittore s’inserisce nel quadro storico, politico e letterario del neorealismo del secondo dopoguerra. La letteratura e l’arte diventano non solo mezzo d’indagine della condizione umana, ma soprattutto eco dell’ansia di riscatto morale, civile e sociale del popolo. Ricordiamo, oltre a Scotellaro, uomini di grande autorità morale: Carlo Levi, Vittorini, F. Jovine, C. Cassola, B. Fenoglio, V. Pratolini, R. Viganò. Il linguaggio dei loro scritti è scabro ed essenziale e, per commuovere si affida più all’eloquenza dei fatti che alla retorica.

Scotellaro è un uomo che ha vissuto il proprio tempo cercando di fermarlo, cristallizzarlo, dandogli forme ideologiche e culturali. Il suo è un tempo che ha conosciuto la violenza, i soprusi e l’ha subita attraverso il sacrificio degli istanti umani. Partendo dal proprio presente, cerca d’identificare ora nel ricordo del passato, ora nell’immaginazione del futuro, le sue dimensioni morali. Ad un certo punto capisce che vivere con l’intelligente distacco della coscienza il proprio tempo significa tener ben presente le finalità dell’esistenza. Davanti ai suoi occhi c’è uno scenario tristissimo: contadini e braccianti sfruttati, sottomessi e annullati totalmente come individui dalla prepotenza dei ?padroni? Dinanzi a tali soprusi essi non reagiscono, la storia ce lo insegna benissimo, forse perché è così forte la confusione tra ‘condizione’ e ‘destino’ al punto che il destino stesso diventa molla di un divenire acefalo. Alla base di questa povertà è presente un’altra indigenza ancora più grande e grave: quella antropologica.
La storia non è “magistra vitae” perché si rifanno sempre gli stessi errori, ma ha la straordinaria peculiarità di farci fare confronti con “altri da noi” nel tempo.
Il tempo, infatti, è una componente essenziale della nostra esistenza, spesso scontato perché naturalmente ovvio.
Il rapporto uomo-mondo-tempo è complesso. La repentinità della nostra esistenza spesso non ci fa valorizzare in modo pieno ed esclusivo gli istanti che lo costituiscono. Recuperare la libertà o conoscere la libertà? Questo il dilemma contadino. Ma la libertà l’hanno mai veramente conosciuta Pare proprio di no. Una limitazione nasce sempre da una percezione. Come si fa a rendersi conto di essere privati della libertà se non si è mai conosciuta realmente?

Libertà equivale a coscienza e solo essa genera cultura. La cultura è vita, è l’incontro con l’altro, è coinvolgimento, ma tutto questo nel mondo contadino non è mai stato riscontrabile.

La società in cui è vissuto il nostro poeta e scrittore lucano è tanto diversa dalla nostra.
Oggi i problemi sono diversi o forse sono sempre gli stessi. Non ci sono più quei ‘padroni’, ma ‘altri padroni’, vale a dire convenzioni e schemi mentali fortemente condizionanti. Nella società odierna ci si sente liberi, ma si tratta di una libertà fittizia perché quella vera non ha origine inter homines,ma in interiore homine.

 

 

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Rocco Scotellaro: “la cultura è vita”

Poeta, scrittore, politico e contadino: questo è stato Rocco Scotellaro. Un grandissimo uomo di cultura, che non è riuscito a portare a livelli ancora più alti la sua figura di uomo e letterato, perché troppo legato alle vicende politiche della sua regione.

Rocco Scotellato nasce nel cuore della Basilicata, precisamente a Tricarico (1923) e morì a soli 30 anni a Portici. Grande studioso, fu mandato dal padre a studiare in Campania, per poi traferirsi nei principali centri di cultura sparsi lungo lo stivale italiano. Ma, la Lucania era rimasta nel suo cuore e non riusciva ad abbandonare i suoi pensieri.

Alla morte del padre decise di rientrare nella sua terra d’origine, cominciando il suo lavoro politico e sociale. Si schiera dalla parte dei più deboli: i contadini, troppo spesso sfruttati e malpagati. Rocco Scotellato aveva un unico scopo, quello di ridonare dignità, lavoro e giustizia ai contadini. Cominciò la sua lotta partendo da una precisa idea: organizzazione. Lotta, si impegna e scrive: le poesie e i racconti di Rocco Scotellaro diventano sempre più.

I contadini cominciarono a fidarsi sempre più di questo giovane ragazzo, il quale stava dando voce ad una parte del popolo fino a quel momento muta. Riuscì a trasmettere a tutti che la cultura è azione, ma soprattutto vita. La poesia come mezzo di trasporto per giungere ad una condizione di vita migliore, non solo dal punto di vista dell’intelletto. Con le parole è possibile richiedere ciò che concretamente si desidera.

Rocco Scotellaro fu eletto sindaco (il più giovane d’Italia) e nel frattempo la sua produzione letteraria continua e gli apprezzamenti arrivano da tutta Italia, specie da colleghi e critici che scoprono un vero talento: Montale, Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Amelia Rosselli. Scotellaro decise di far conoscere i problemi sociali del Mezzogiorno coinvolgendo non solo intellettualmente ma anche fisicamente queste illustri figure del mondo della cultura.

Grande intuizione quella di Scotellaro: il suo invito fu accettato da tantissimi personaggi illustri, tra i quali è possibile ricordare Henri Cartier Bresson, che fotografò le reali condizioni della gente lucana, e Adriano Olivetti che si impegnerà nel risanamento di Matera, città vergogna d’Italia (oggi capitale della cultura 2019).

Il genio letterario del politico-contadino- poeta Scotellaro lo si ritrova nella sua più sublime forma nella sua amatissima opera L’uva puttanella, che se pure di senso compiuto e maturo rimarrà incompleto a causa della sua morte.

Semplicità: è questa una delle parole che descrive al meglio la figura di questo illustre uomo di cultura che rientra tra i più amati personaggi famosi della Basilicata. Anche la sua casa è decisamente semplice: una umile abitazione che si affaccia direttamente sulla strada. È emozionante entrarci: il portoncino immette su una scala interna che porta alla stanza dove il poeta studiava, componeva e meditava. Poco più avanti della casa, in via Rocco Scotellaro, la bottega del padre ciabattino.

Recarsi qui, a Tricarico, per visitare i luoghi del grande Rocco Scotellaro è una grande occasione per ammirare tutta la bellezza dei Sassi di Matera. Una città scavata direttamente nella roccia, nel tufo. Le case scendono giù lungo un pendio, anzi, le case sono il pendio. Uno spettacolo davvero suggestivo. E poi, labirinti sotterranei e piccole caverne, ancora oggi utilizzate per conservate il vino o l’olio. Di notte i Sassi di Matera, con le poche e fioche luci pubbliche, si trasformano in uno spettacolare presepe.

Rocco Scotellaro Politico

di Raffaele Nigro (gennaio 2023)

Quando Rocco Scotellaro rientrò, nel ’43, da Trieste, dove aveva conseguito la licenza liceale, ebbe modo di frequentare Bari e la casa di Tommaso e Vittore Fiore, che gli erano vicini politicamente ma prima di loro frequentò a Potenza dove era stato iscritto al Liceo per un anno, Tommaso Pedio, con il quale ebbe un illuminante carteggio da me pubblicato nell’86, dal quale si evince l’adesione concreta e non utopistica al socialismo. Pedio era pronipote di Ettore Ciccotti, politico e filosofo potentino vicino a Gobetti. Su questa scorta, Pedio frequentò tra Napoli, e Milano, gruppi legati alla corrente di Giustizia e Libertà, ma sentì presto che gli stava stretta quella visione politica liberale che “non sarebbe mai scesa in strada a lottare”. Invece il suo era uno spirito ribelle e tale che lo porterà a farsi difensore di anarchici e ad avviare a Potenza a partire dal 1939 un’azione politica che tende a radunare vecchi socialisti e giovani studenti in una compagine di tipo rivoluzionario a cui risponde a partire dal ’43 anche il giovane Scotellaro. Nel paese c’è una grande confusione di idee, lo stesso Scotellaro nell’aprile del ’43 partecipa ai Ludi lucani della Cultura indetti dal Gruppo dei Fascisti Universitari e dove Rocco si qualifica al secondo posto per la Cultura Letteraria con un elaborato sulla funzione della scrittura. Ma è proprio in quel testo che Rocco mostrava di accostarsi alla letteratura inglese e francese e disconosceva la prosopopea della letteratura dannunziana intesa come rozzo strumento di propaganda.

In una lettera del dicembre 1943, inviata al giovane Scotellaro, Pedio chiarisce la propria posizione “Nei nostri paesi – dice il futuro storico della cultura lucana – prende maledettamente piede una corrente politica che tutti si ostinano a denominare comunista e che confluisce nell’ideologia di un partito che ha nei propri progetti la realizzazione del totalitarismo stalinista… io invece intendo per comunismo un socialismo spinto a sinistra”. E propone di costituire in Basilicata un fronte politico socialista di sinistra che si impegni a frenare i progetti sovietici, che non prosegua l’imposizione di una dittatura di classe ma superi le distinzioni tra le classi sociali. “Dobbiamo imporci a questi progetti imperialistici, così come ci siamo opposti e ci opponiamo al fascismo”. Ma Pedio sostiene che è necessario costituire un fronte unico di sinistra da opporre al fascismo, un fronte che riunisca comunisti socialisti e anarchici.

Sulle prime Scotellaro si lascia convincere da Pedio, aderisce a questo progetto anarcoide ma il 4 dicembre del ’43, contro ogni previsione Rocco fa domanda di iscrizione al Partito Socialista. Il 17 dicembre insieme a 13 cittadini di Tricarico, firma una richiesta di ricostruzione della sezione del Partito Socialista nel suo paese, che avrà come sede la casa di Rocco, trasformata in sede provvisoria della sezione Giacomo Matteotti.

Il giorno di Natale Rocco riunisce in casa iscritti e simpatizzanti, per discutere i punti di quello che sarà il partito socialista di Tricarico. Intervengono circa sessanta persone e si discutono 15 punti per oltre due ore. Il 26 dicembre Rocco invita Pedio a un incontro a Tricarico con gli iscritti alla sezione. “Voglio raggiungere l’intento di coalizzare il paese nel Partito Socialista sì che nessun altro partito che non sia il nostro possa attecchire”. Chiede all’amico di venire il 1° gennaio del ’44 a tenere un comizio e di portare con sé libri e fascicoli fondamentali per una formazione socialista, del materiale di propaganda e una foto di Matteotti. Ma il 27, un giorno dopo, si diffonde la notizia che il Comando Alleato ha diramato un dispaccio con cui vieta riunioni pubbliche a scopo politico. La riunione del Capodanno, tuttavia, si tenne lo stesso e nessuno si permise di scioglierla. Nel comizio di Tricarico, Pedio invita tutti ad aderire al Fronte di Azione Nazionale nel quale confluiscono tutti i partiti antifascisti. Pedio lascia anche intendere che non vede di buon occhio la nascita di vari partiti, ma che è necessario costituire un fronte unico. il carattere troppo teorico della sua posizione emerge qualche tempo dopo, allorché invitato a Bari a un incontro tra gli antifascisti appulo-lucani del Comitato di Liberazione non si presenta. Generando non poche perplessità in Scotellaro. Il 6 febbraio del ’44 Pedio fonda a Potenza un periodico, Il Gazzettino” che intende porsi come fulcro della società giovanile antifascista lucana. Scotellaro che accetta di collaborare al giornale si impegna nella diffusione e riesce a vendere già del primo numero oltre 150 copie del Gazzettino tra Irsina e Tricarico.

Emerge da queste prime mosse di Rocco una posizione molto fattiva, un impegno costruttivo e la voglia di non restare alla finestra ad osservare. La diversità tra i due amici nasceva anche dall’appartenenza di classe, Pedio è una benestante della borghesia intellettuale potentina, suo padre è docente nelle scuole, sua madre nipote dei Ciccotti, Scotellaro a una società artigiana e contadina. Né riuscivano ad intendersi, perché Pedio era un teorico e Rocco un giovane pratico e militante che guardava alle condizioni dei contadini e voleva impegnarsi per migliorarle. Intanto Rocco incontra a Matera Vincenzo Milillo, senatore della repubblica originario di Sannicandro ma attivo nelle fila del partito socialista, il quale gli propone “un più intimo contatto con quella sezione provinciale “del partito. Proprio quando è ripresa l’uscita de “Il Lavoratore”, il giornale della Federazione Socialista lucana, che fa avvertire nella regione la presenza più consistente del partito. Rocco promuove subito la creazione di leghe aderenti alla Camera del Lavoro e dei consigli di borgo per unire braccianti e contadini.

Il 10 maggio 1944 pronuncia un accorato discorso sulla piazza di Tricarico, pubblicato poi da “L’Avanti” nel quale pone l’accento sul bisogno di una “rieducazione morale e politica del popolo”.

Nel mese di giugno promuove un ‘imponente manifestazione per commemorare Giacomo Matteotti con un comizio infervorato in difesa della libertà e dell’abolizione delle classi, il cui testo fu pubblicato da “Il Lavoratore”.

A fine 1944 è ormai maturo e può prendere le distanze dalle posizioni troppo teoriche dell’amico Pedio.

Intanto incentiva la sua partecipazione alla vita del partito e dall’11 al 17 aprile del ’45 è a Firenze per partecipare al Congresso nazionale del PSIUP nel quale si preparano le elezioni per la Costituente.

Ma è ormai maturo anche per esporsi amministrativamente, perché ha seminato saggiamente tra i contadini e i futuri elettori ed è visto non soltanto come il bravo poeta ammirato già dalla società intellettuale italiana. Il 20 ottobre 1946 si candida a sindaco di Tricarico per il Psiup, il partito socialista di unità proletaria ed eletto resta in carica dal 24 novembre ’46 al 19 aprile 1948. È anche l’anno in cui Rocco conosce Carlo Levi, lo scrittore torinese ha da poco pubblicato Cristo si è fermato a Eboli e sta cavalcando un successo strepitoso. Ne diventa inseparabile amico.

Nel gennaio ’47 l’esecutivo nazionale del PSI lo nomina ispettore regionale per il lavoro giovanile, proprio mentre sta costituendo un Istituto scolastico e delle scuole per gli adulti, convinto che la lotta all’analfabetismo sia una forma di promozione dell’emancipazione sociale.

Il 7 agosto 1947 viene consegnato l’ospedale civile di Tricarico, alla cui inaugurazione partecipano Emilio Colombo e il vescovo monsignor Delle Nocche.

Il 19 aprile del ‘48 le sinistre italiane subiscono una sconfitta elettorale senza precedenti, in favore del partito democristiano, la sua amministrazione entra in crisi e Rocco si dimette da sindaco.

Due anni dopo viene rieletto sindaco nelle liste dell’Aratro, un Fronte Democratico Popolare con Pci, Psi e Indipendenti. Viene rieletto il 28 novembre 1948, in una Basilicata e in un’Italia nella quale stanno trionfando i partiti conservatori e filo – ecclesiastici che si oppongono al socialismo e al comunismo. Scotellaro sarà destinatario nel settembre del 1949 di un primo e di un secondo verbale nei quali lo si accusa di aver ricevuto ventimila lire per la distribuzione di stoffe ad alcuni concittadini e per malversazione e truffa, con una conclusiva condanna al carcere da parte del tribunale di Matera. Nel fervore della battaglia politica,la Democrazia Cristiana incalza  attraverso gli uomini della Sezione Propaganda e Stampa contro i sindaci e i comuni di sinistra, incriminandoli di peculato, concussione e altro.

Aderisce intanto all’Assise per la Rinascita della Lucania, svoltasi tra il 3 e 4 dicembre 1949 a Matera. Costruisce la strada Tricarico – Matine  e affida all’architetto Ettore Stella di Matera il progetto per il nuovo Municipio.

Tra l’8 febbraio e il 26 marzo del 1950, Rocco viene ristretto nelle carceri di Matera. L’accusa è “Concussione – malversazione”.

Riconosciuto innocente e smascherata la natura politica del procedimento, il poeta viene liberato dopo quarantacinque giorni, ma sono stati sufficienti per fargli intendere che poche persone lo amano, sua madre, forse Levi, qualche contadino di Tricarico e che ha dato troppo a un paese dove la borghesia e la chiesa non faranno nulla per cambiare le divisioni sociali imposte dal fascismo. Si dimette da sindaco, l’8maggio 1950 e sprofonda negli studi e decide di trasferirsi dalla Basilicata a Napoli, dove frequenta la scuola di Economia Agraria di Portici, chiamato e assistito da un uomo che lo amerà al pari di Levi, il direttore dell’Osservatorio agronomico, Manlio Rossi Doria. Sono anni intensi per studi e scrittura: l’incontro con Vito Laterza, che gli commissiona un’inchiesta tra i Contadini del Sud,: Michele Mulieri, Chironna, Mangiamele, De Grazia; l’avvio di un romanzo autobiografico che resterà inedito e incompiuto ,L’uva puttanella, le ricerche sociologiche promosse dalla Svimez e che verranno pubblicate sulla rivista “Nord e Sud” ,i racconti di Uno si distrae al bivio, la stesura di gran parte di quel centinaio di poesie che saranno raccolte da Levi e pubblicate solo nel ‘54 presso la Mondadori, quei versi straordinariamente vicini alla narrativa neorealistica e tuttavia onirici, venati di inquietudini e politicamente impegnati di E’ fatto giorno. Versi che mostrano insieme agli altrettanto postumi Margherite e rosolacci (Mondadori,1978) quanto sia importante per Scotellaro la tradizione letteraria avviata in Lucania da Sinisgalli e da Levi. Di questa poesia e del poeta scrisse più tardi Montale: “in lui l’impasto tra la vena che direi internazionale e la vena popolare hanno trovato un’insolita felicità d’accento”. Versi che sono rimasti in noi come emblemi di una condizione sociale e geografica: “Non gridatemi più dentro/non soffiatemi in cuore/i vostri fiati caldi, contadini. / Beviamoci insieme una tazza colma di vino!” E ancora:” Il vento in faccia/di sottilissimi nastri d’argento/e là, nell’ombra delle nubi sperduto/giace in frantumi un paesetto lucano”.

Quella di Scotellaro resta dunque una vita straordinaria, anche se si arresta nel 1953, a trent’anni una vita nella quale l’impegno politico è pari alle qualità di poeta e di creatore di una sociologia che va di pari passo con la narrativa e che si lega profondamente alla realtà sociale e culturale del nostro mondo, per il quale si impegna senza sosta e senza badare minimamente al proprio tornaconto personale. Un modo di essere uomo e politico assolutamente etico e di grande esempio per i tempi in cui viviamo.

https://www.ilsole24ore.com/art/scotellaro-prosa-e-poesia-civilta-contadina-ACNoRbS

libreria l’opera completa

Scotellaro, prosa e poesia della civiltà contadina

di Goffredo Fofi

28 giugno 2019

Rocco Scotellaro visto da Guido Scarabottolo

I grandi volumi del Baobab, sorta di super-Oscar Mondadori, hanno il grande vantaggio di un prezzo accessibile e non sono affatto inferiori per la qualità delle scelte e la cura ai più noti Meridiani. Non sappiamo le ragioni che hanno portato a distinguere le due collane, anche perché i due autori che l’hanno avviata erano in tutto degni di apparire nella grande collana ufficiale, il poeta veneto Fernando Bandini, la cui grazia e cultura, profondità e vivacità (ha scritto versi in lingua, in dialetto e in latino) lo collocano tra i nostri maggiori, e prossimo, per restare nella sua regione, a Noventa e a Zanzotto, e ora il poeta lucano Rocco Scotellaro. Che fu anche sociologo a Portici con Rossi-Doria e militante socialista. Giovane sindaco del suo paese, Tricarico, venne proditoriamente processato a suo tempo su accuse che si rivelarono infondate, riguardanti l’operato sociale del municipio, ma questo ci è valsa una sua bellissima memoria del carcere, L’uva puttanella, uscito postumo per Laterza, quasi un romanzo come egli in fondo avrebbe voluto che venisse anche letto.

Alla raccolta di poesie È fatto giorno venne assegnato un premio Viareggio postumo, che servì di pretesto agli intellettuali del Pci, i Salinari e gli Alicata e i Muscetta e in primis al loro indiscusso maestro Delio Cantimori (diciamolo: uno dei più arroganti intellettuali “hegeliani” del tempo, che pure è stato un grande storico, che trasferì la sua supponenza a intere generazioni di “normalisti”) per discuterne e svilirne l’opera con le consuete accuse di marca sovietica. I compagni che venivano chiamati “trinariciuti” anche da una parte del partito. Cantimori parlò di un libro e di un autore «sopravvalutati», di «populismo sinistrorso autocoltivato», mentre Muscetta di «idoleggiamento della civiltà contadina», di «disordine sentimentale», di «conclusioni nichiliste», di «egocentrismo» e «velleitarismo» ovviamente «alla Carlo Levi». Posso testimoniare che Muscetta su Levi e Scotellaro cambiò per buona parte opinione, ma troppi anni dopo, diciamo pure molto dopo il crollo del mito sovietico e gli aggiornamenti del Pci. Cantimori non fece in tempo a farlo, ma forse, attento com’era al vento della storia e ai modi di segnarla, lo avrebbe fatto anche lui, con minore sincerità. C’erano molte ragioni per apprezzare la figura di Scotellaro, ed è paradossale che la prima fosse decisamente una ragione “gramsciana”. Come insistettero due intellettuali socialisti, Franco Fortini e Raniero Panzieri in un convegno tenuto a Matera nel 1955 a due anni dalla morte del poeta (era nato nel 1923, scomparve appena trentenne), Scotellaro sembrò infatti a tanti un modello esemplare di “intellettuale organico” secondo le idee e i sogni di Antonio Gramsci, ma nel 1955 non c’era stato ancora il Rapporto Kruscev e gli intellettuali del Pci erano più zdanoviani che gramsciani (con una minoranza di lukacsiani).

La prima edizione dell’opera autobiografica di Scotellaro

Chi meglio di Rocco incarnò la speranza di avere intellettuali che, nati nelle classi “subalterne” operavano per la sua emancipazione, che non separavano mestiere e cultura essendo insieme homo faber e homo sapiens, che parlavano individualmente ma da dentro la classe in cui erano nati e cresciuti, dentro la classe e i suoi interessi, le sue lotte? «Ali Alicata, Salinari sali!» scrisse Fortini in un noto epigramma… E va ricordato che Calvino, Sciascia, Pasolini non caddero ovviamente in questi abissi.

Nel bisogno di conoscere il paese, un bisogno che fu dominante negli anni dopo la guerra (cioè dopo vent’anni di chiusura fascista e di difesa delle città dalla pressione delle campagne, non solo le meridionali), la figura di Scotellaro fu una figura esemplare. Studiò in parte grazie ai canali antichi della chiesa ma soprattutto alle nuove aperture democratiche, poiché poté frequentare l’osservatorio di economia agraria di Portici per la protezione di Manlio Rossi-Doria che la dirigeva, diventando una delle quattro figure di “maestri” del riscatto meridionalista, non solo lucano, insieme a Levi autore del Cristo e dell’Orologio, a Rossi-Doria maestro e fondatore della sociologia rurale in Italia nel mentre che al Nord Alessandro Pizzorno provvedeva a quella industriale, e al medico ed epidemiologo Rocco Mazzarone, grande educatore nell’ombra. Su loro spinta Scotellaro fu autore di una fondamentale inchiesta sui Contadini del Sud, vicina tuttavia alle raccolte di storie di vita e alle inchieste che andavano facendo (contemporaneamente o dopo quella di Rocco), Danilo Montaldi al Nord (i marginali del mondo contadino e periferico, la “leggera”), Bianciardi e Cassola al centro (i minatori della Maremma), Franco Cagnetta in Sardegna (i banditi di Orgosolo) e Danilo Dolci in Sicilia (quelli di Partinico). La storia dell’inchiesta sociale in Italia, dopo il 1945, è ancora da scrivere ed è una storia per tanti aspetti appassionante, giungendo fino alle inchieste di Alessandro Leogrande, una figura che per molti aspetti ha potuto ricordarci quella di Rocco.

Questa storia si intreccia in vario modo a quella del neorealismo, quello meno “populista” e meno ideologico la cui influenza è evidente nel “Baobab” di cui parliamo, nei racconti di Rocco, ora curati e introdotti con rigore da Giulia Dell’Aquila (Ramorra, un giovane di quegli anni; Uno si distrae al bivio, un giovane di sempre che, se si “distrae” e non sa prendere al momento giusto la strada giusta, rischiando di non ritrovar più quella di casa, la giusta direzione, ieri come sempre e a a maggior ragione oggi e proprio oggi, tra giovani sbalestrati tra proposte perlopiù insensate e, appunto, devianti). Ma, come mettono in luce nei loro ottimi saggi di accompagnamento all’opera di Scotellaro Sebastiano Martelli e soprattutto Franco Vitelli che all’opera di Scotellaro ha dedicato tante fatiche, la sua originalità sta nell’accostamento e nel confronto, oggi più possibile e importante che mai, tra il Rocco poeta, il Rocco sociologo, il Rocco militante. Senza alcun narcisismo ma vedendosi in qualche modo egli stesso come un figlio del secolo, egli ha cantato un tempo “nuovo” che esigeva modi nuovi di star nella vita, nella Storia. L’“alba nuova” era quella, non solo italiana, non solo meridionale, non solo lucana, di un mondo contadino in rivolta, dalla Cina (di Mao) all’India (di Gandhi) e dall’America Latina (di Guevara) all’Africa (di Fanon, di Lumumba). Poi anche questa speranza è crollata, ma Scotellaro non ha potuto vederla ed è morto avendo ancora nel cuore il “sogno di una cosa”.

Per Rocco poeta credo valgano sempre le considerazioni, partecipi come poche altre volte nel suo lavoro di critico, di Franco Fortini, che così ne ha scritto in La poesia di Scotellaro (Basilicata 1974): si tratta perlopiù di «liriche relativamente brevi, che partono spesso, come molta poesia contemporanea, da un dato descrittivo», ma «senza nessun idoleggiamento della parola» e secondo «una tonalità, in genere, dimessa, ma col gusto di un’astuta giunzione tra aggettivo e sostantivo, fra verso e verso» che gli viene da Sinisgalli e per suo tramite da Lorca, dalla tradizione barocca. Ma c’è nella poesia di Rocco – ed è questo, credo, che ancora ce ne commuove – «qualcosa dell’affettuosa e disperata bohème contadina russa dipinta da Chagall e cantata da Esenin. Di qui, anche, la sua metrica con la sua tendenza al verso lungo, dinoccolato, di respiro lento e di accenti diseguali, la rima facile, di cadenza popolare e che talvolta si impreziosisce e si fa ricca e luccicante». I versi che più lo rappresentano sono forse questi: «Io sono un filo d’erba, un filo d’erba che trema. E la mia Patria è dove l’erba trema. Un alito può trapiantare il mio seme lontano.»

Ma sono anche il Rocco sociologo e il Rocco narratore che non vanno trascurati, con il valido aiuto di Vitelli e Martelli. Il Rocco che sente il bisogno di ascoltare e trascrivere la voce del guardiano di bufale analfabeta, affascinante come un “cunto de li cunti”, la vita per forza e per scelta (per convinzione) marginalizzata di Chironna evangelico, l’ostinata rivolta contro lo Stato traditore di diritti e speranze di Michele Mulieri. Con la storia (aggiunta) della vita stessa di Rocco raccontata da Francesca Armento sua madre… E il Rocco che se parla di sé lo fa per vedersi in mezzo agli altri, simile agli altri, e per ascoltarne il lamento, la speranza. La sua attualità sta in questo: che nel mondo i contadini sono ancora milioni, soffocati dalle multinazionali, dalle banche, dalle tecnologie. E pur sempre in attesa – forse ormai inutile, chissà – di “un’alba nuova”.

Tutte le opere Rocco Scotellaro

A cura di Franco Vitelli, Giulia Dell’Aquila, Sebastiano Martelli. Oscar Moderni Baobab, Mondadori, Milano, pagg. 840, € 28.

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