ARBIA SILVANA

Lucania_d_oro bianco

ARBIA SILVANA

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Senise (PZ), 19 novembre 1952

Magistrato, ex Cancelliera, Registar della Corte Penale Internazionale (ICC o CPI) dell’Aja partecipando nel 1998, alla stesura dello Statuto di Roma. Vincitrice del Premio della Pace SI Europa 2013 lo ha destinato alla costituzione della Fondazione Silvana Arbia con l’obiettivo di realizzare azioni di prevenzione contro l’uso dei bambini e delle bambine soldato, contro le quali viene perpetrata sistematica violenza sessuale.

Silvana Arbia, magistrato, nasce a Senise (PZ) il 19 novembre 1952. Nel ‘76 si laurea in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Padova e, fino al ’78, è avvocato in uno studio legale di Venezia.
Entra in magistratura nel ‘79 e, nella città lagunare, esercita in qualità di giudice e pubblico ministero fino all’88. L’anno dopo allarga le sue conoscenze giuridiche interessandosi alla tutela dei diritti inviolabili delle persone. Frequenta l’International Institute of Human Rights René Cassin (Istituto Internazionale dei Diritti Umani) di Strasburgo e, nel ‘90, si specializza in diritto europeo presso l’Accademia di Diritto Europeo di Firenze. Nel contempo svolge l’attività di giudice e di pubblico ministero a Roma fino al ’93, anno in cui si specializza anche in diritto internazionale presso The Hague Academy of International law (Accademia di Diritto Internazionale dell’Aia) in Olanda.
Cresce intanto l’interesse per la difesa della giustizia e dell’equità in ogni parte del mondo. Nel ‘95, a Montréal, si specializza presso il Canadian Human Rights Foundation (Fondazione Canadese dei Diritti Umani) e, parallelamente fino al ‘98, svolge la carica di giudice di Corte D’Appello a Milano dove si occupa di casi penali in ambito nazionale ed estero.
Questi sono gli anni importanti in quanto preparativi di uno storico evento. Nel ‘96 l’Assemblea delle Nazioni Unite convoca a Roma una conferenza diplomatica dei plenipotenziari degli Stati per l’istituzione di una corte penale internazionale. Silvana Arbia vi partecipa come membro della delegazione italiana. In due anni di lavoro viene redatto il documento che stabilisce giurisdizione e funzionamento della Corte Penale Internazionale, il cui ruolo è quello di processare individui responsabili di crimini di guerra, di genocidi, di crimini contro l’umanità e di crimini di aggressione. Lo statuto costitutivo entra in vigore nel 2002. La sede scelta per la Corte è l’Aia, in Olanda.
Nel 1999 Silvana Arbia è promossa magistrato della Corte Suprema di Cassazione.
Nello stesso anno viene istruito il processo per i fatti della guerra in Ruanda, passata da qualche anno. La giudice lucana è chiamata a ricoprire l’incarico di Senior Trial Attorney (avvocato senior), e poi di Acting Chief of Prosecutions (procuratore) presso l’ufficio del procuratore in quello che è, di fatto, il primo Tribunale Penale Internazionale. Nel 2007, in qualità di Chief of Prosecutions (procuratore capo) guida l’accusa contro coloro che si sono macchiati di crimini contro l’umanità, di genocidio e crimini di guerra. Tutti condannati.
Nel 2008 i giudici della Corte Penale Internazionale, la eleggono, con mandato quinquennale, Registar (cancelliere responsabile) presso il Registry (Cancelleria) che è il principale organo amministrativo della Corte.
La determinazione, la passione e i successi derivanti da quello che per lei è oltre un semplice lavoro, le fanno meritare diversi riconoscimenti, in Italia e all’estero. Nel 2010 riceve il Premio “Nicola Sole”.
Nel 2011 esce il suo libro Mentre il mondo stava a guardare. Vittime, carnefici e crimini internazionali: le battaglie di una donna magistrato nel nome della giustizia (Ed. Mondadori). Il saggio nasce dalla necessità di raccontare le indicibili vicende della guerra del Ruanda e, e di segnalare la, dir poco, tiepida reazione della comunità internazionale di fronte a questioni considerati lontani. Silvana Arbia rivive l’esperienza, forse, più delicata dei suoi anni a servizio della giustizia e dei diritti, vissuta tra rischi continui. Nove anni di processo che hanno fatto luce su quanto accaduto in quella parte di Africa al fine di risarcire, almeno in parte, con la condanna dei responsabili, le vittime e un Paese che porteranno sempre, letteralmente, le ferite. Un libro-documento nato anche con l’intento di smuovere le coscienze affinché si mettano in campo tutte le condizioni valide a scongiurare, in futuro, eventi simili.
Nel 2012 riceve il Premio “Carlo Levi” “, il Premio Donne Zonta e premi Paul Harris dal Rotary Club. Nel 2013 il Peace Prize da Soroptimist International of Europe, e La Pulce d’Argento.
Nel 2014 dà vita alla Fondazione Silvana Arbia con cui porta avanti l’impegno a tutela della pace, delle persone, dei diritti fondamentali e la promozione della giornata internazionale contro l’uso dei bambini-soldato. Si impegna, altresì, per la salvaguardia dell’ambiente, per la protezione dei più deboli e indifesi, per l’accesso alla giustizia e alla verità.
Nel 2014 riceve il Premio Internazionale Esther Scardaccione e, l’anno dopo, il Premio Speciale Maratea e il Premio Lucania Oro per la cultura giuridica.
Nel 2016 Silvana Arbia è, inoltre, insignita della decorazione dell’Ordine de la Légion d’Honneur per il settore giuridico. L’onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica francese, le viene conferita a Roma presso Palazzo Farnese dove ha sede l’ambasciata di Francia.
Seguono altri riconoscimenti: Premio Torre d’Argento, 2016; Premio “Novi cives” 2017 attribuito dall’Università di Bologna; Honored on Gender Justice Legacy Wall for International Criminal Court, nel 2017.
Silvana Arbia ha portato avanti il suo impegno lontano dalla sua regione dove vi è tornata di tanto in tanto. La sua storia di coraggio, tenacia, amore per la giustizia e per l’uguaglianza tra i popoli la rende esempio per chiunque auspica un mondo che non discrimina, che aiuta, che coltiva i buoni propositi, i buoni sentimenti, e protegge tutto il bello che ci circonda. Tra i buoni sentimenti vi è anche la riconoscenza. Silvana Arbia, a conclusione del suo libro “Mentre il mondo stava a guardare” scrive: “Murakoze significa grazie ed è una delle poche parole in Kinyarwanda che ho imparato. La usavo spesso per manifestare la mia gratitudine ai testimoni e a chiunque altro ci dava una mano nei processi … Questa parola è entrata nel mio lessico familiare e l’ha fatto in modo toccante, il cui ricordo serberò sempre nel cuore”.

Anna Mollica

BIBLIOGRAFIA
Silvana Arbia Mentre il mondo stava a guardare. Vittime, carnefici e crimini internazionali: le battaglie di una donna magistrato nel nome della giustizia, Mondadori Edizioni, Segrate (MI), 2011 di Viola Santini

Dal Ruanda alla Corte Penale de l’Aia: una carriera a fianco delle vittime. Intervista a Silvana Arbia


Silvana Arbia ha sempre svolto lavori che “non sono per donne”, così le dicevano quando, nel 1999, si è trasferita in Africa per ricoprire il ruolo di procuratrice internazionale presso il Tribunale ONU per il Ruanda (UNICTR), istituito dal Consiglio di Sicurezza. L’atrocità delle violenze nel conflitto interetnico, soprattutto contro le donne, tanto sul piano giuridico quanto su quello umano, sono state per la Corte una difficile prova da affrontare.

La ex procuratrice Arbia, dopo quasi nove anni in Africa, al suo ritorno, nel 2008, è diventata Cancelliera, Registar, della Corte Penale Internazionale (ICC o CPI) dell’Aja partecipando nel 1998, alla stesura dello Statuto di Roma.
Il Registry è la cancelleria – l’organo amministrativo – della Corte, e Arbia è stata la prima donna tra i funzionari più alti dell’organo penale. La motivazione personale che l’ha portata a candidarsi per questo ruolo è stata “l’ambizione di contribuire a dare concreta attuazione alla tutela delle vittime e dei testimoni”. Infatti, c’erano delle gravi carenze in questo campo: mancavano “nei Tribunali ad hoc, quello per il Ruanda e quello per la ex Jugoslavia, di meccanismi che consentissero alle vittime di partecipare ai processi, e ottenere riparazione e protezione”.
Silvana, dopo quasi 14 anni al servizio della giustizia internazionale, ha ottenuto un premio per la pace dal Soroptimist International of Europe e l’ha dedicato alla costituzione di una Fondazione che si occupa della sorte dei bambini soldato.

La ICC è un’istituzione relativamente giovane ed è stata fortemente criticata per il suo “focus” ristretto: la maggior parte delle indagini riguardano l’Africa. Quali sono, secondo lei, le prospettive della Corte Penale, alla luce delle critiche e delle difficoltà che ha incontrato nella sua breve vita?

La CPI è stata istituita con un Trattato internazionale, in vigore dal 2002, stipulato a Roma. A Kampala, nel 2010, ha avuto luogo la prima revisione del suo Statuto costitutivo. All’esito di questa prima Conferenza di revisione, gli Stati parte hanno affermato che la CPI è building block per la costruzione della pace nel mondo, eliminando ogni dubbio sul ruolo essenziale della giustizia nei processi di riconciliazione e di pacificazione.
La CPI è stata criticata in modo strumentale da alcuni paesi africani. In realtà, la corte ha esercitato la propria giurisdizione in paesi che hanno chiesto alla stessa di intervenire, come la Costa d’Avorio, o che sono stati sottoposta al giudizio della CPI dal Consiglio di Sicurezza delle UN, come la Libia. Le difficoltà di intervenire in alcuni paesi sono di natura oggettiva: mancanza di prove, mancanza di una effettiva cooperazione, impossibilità di svolgere indagini a causa della gravità della crisi in atto. La possibilità di modificare e o integrare lo Statuto istitutivo della CPI, anche includendo nuovi crimini di rilevanza internazionale, lo sviluppo e la promozione della giustizia riparativa, richiedono molto lavoro per gli anni a venire, soprattutto alle nuove generazioni, e, sotto tale profilo, penso che la CIP più che giovane, sia un’istituzione per i giovani.

Il suo ruolo come Registrar si focalizzava in particolare sulla protezione delle vittime e dei testimoni. Di recente, Il Tribunale Speciale per il Kosovo con sede all’Aja è stato vittima di un furto di documenti, che sta mettendo in pericolo i testimoni sotto protezione. Secondo Craig Lang “I paesi che sostengono” la Corte, ora devono aiutarla a rafforzare i suoi meccanismi di protezione dei testimoni”. Cosa ne pensa?

I dati identificativi di testimoni protetti devono essere conservati, perché la loro divulgazione può implicare gravi conseguenze per le persone interessate che rischiano di essere danneggiate e persino eliminate, per vendetta e per altre ragioni, da coloro che vogliono vanificare e intimidire le persone che in futuro saranno testimoni nei processi avanti la CPI. Per proteggere adeguatamente i testimoni e i potenziali testimoni è essenziale la cooperazione degli stati, nel mettere a disposizione sistemi di accoglienza di testimoni e relative famiglie in luoghi sicuri, e nel fornire alla Corte i mezzi finanziari necessari. I luoghi in cui i testimoni in regime di protezione e le loro famiglie vengono trasferiti devono presentare le condizioni atte a ridurre al minimo l’impatto dovuto allo spostamento, e sono preferibili paesi di accoglienza con cultura, lingua e tradizioni non incompatibili con quelle dei paesi di origine, e se questi paesi non possono sopportare i costi dell’accoglienza, altri paesi offrono sostegno finanziario. La Gran Bretagna è stato il primo paese a firmare un accordo del genere.Va anche menzionato il ruolo del Trust Fund per le vittime che svolge importanti funzioni per assistere, proteggere le vittime, ed eseguire le decisioni della Corte in materia di riparazione. Questo Fondo raccoglie donazioni volontarie e quindi tutti possono contribuire.

Lei si è occupata di genocidi, crimini contro l’umanità e crimini di guerra: situazioni in cui la categoria dei più deboli è spesso nettamente distinguibile, amplissima e, soprattutto, martoriata. Tuttavia, anche in questi contesti, ci sono dei “più deboli tra i più deboli”: penso agli stupri perpetrati in Ruanda. Perché questa strategia di umiliazione è, secondo lei, così radicata nella cultura della guerra?

Il genocidio è un crimine particolarmente grave e si può commettere anche con lo stupro se esso causa conseguenze fisiche e o psicologiche che impediscono anche solo in parte la continuazione del gruppo protetto (etnico, o razziale, o religioso o nazionale). La prima sentenza nella storia della giustizia penale internazionale sul genocidio è stata emessa dal TIPR nel 1998, nel caso Akayesu, che ha definito gli elementi costitutivi di questo crimine e le condizioni in presenza delle quali lo stupro costituisce genocidio. I crimini internazionali quali genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sono atroci anche per le modalità con cui vengono commessi e tutte le vittime sono soggetti estremamente vulnerabili. Le violenze contro le donne e, particolarmente lo stupro, nella situazione del Ruanda nel 1994 è stata, come è accaduto in passato in altre aree del mondo senza distinzioni, un’arma per colpire il nemico, umiliandolo. Particolare il comportamento di una donna, ministro per la famiglia e la protezione della donna all’epoca del genocidio, in Ruanda, Pauline Nyiramasuhuko, che incitava i miliziani a stuprare le donne Tutsi.

Per gli stessi motivi elencati sopra, perché tra tutte le cose che ha visto e tra tutte le sofferenze con cui è venuta a contatto, ha scelto di dedicarsi in particolare, con la sua Fondazione, alla questione dei bambini soldato?

Perché il primo processo portato avanti dalla CPI contro T. Lubanga Dyilo, sul crimine di guerra consistente nell’arruolamento di minori di 15 anni ed il loro coinvolgimento in operazioni militari nella regione dell’Ituri, [al confine tra RDC e Uganda, famosa per la presenza di grandi quantità di diamanti n.d.r.] mi ha consentito di conoscere i luoghi, le comunità e le vittime e ho compreso quanto grave sia l’omissione di misure atte a prevenire tale crimine. Si tratta di bambini sottratti alle loro famiglie, spesso mentre si recano a scuola, e confinati in campi militari, ove subiscono plurime forme di violenza e di abusi, dalla schiavitù sessuale, all’assunzione di droga e alla costrizione alla violenza, eseguita con le più atroci modalità. Difficile estrarli dai campi e farli ritornare a vita normale. Ogni azione che si può intraprendere per prevenire questa distruzione di giovani generazioni e questo scandalo contro la pace, deve essere posta in essere. E’ fondamentale l’educazione degli adulti e dei minori, oltre alla eliminazione di condizioni di povertà e di bisogni che favoriscono il crimine in questione, obiettivi che la Fondazione intende realizzare nella regione dei Grandi Laghi Africani, in cui il fenomeno dei bambini soldato è più diffuso.

Nella conclusione del suo libro – “Mentre il mondo stava a guardare” – dice che le stragi in Ruanda potevano essere evitate. La situazione “era sotto gli occhi di tutti”, tuttavia la comunità internazionale “è rimasta a guardare”. Secondo lei, è cambiato qualcosa, dal 1994 ad ora, nell’approccio della comunità internazionale e dell’opinione pubblica? Cosa, come comunità internazionale, rimaniamo ancora “a guardare”, senza vederlo veramente o senza agire?

Il lavoro dei Tribunali speciali, (TPIR e TPIY), ha elaborato dei precedenti [con le sue decisioni e con le sentenze emesse]: questi hanno effetti deterrenti affinché quei crimini non si ripetano, e ci aiutano a comprendere le cause ed i segnali di crisi gravi che stanno per avverarsi. Le tragedie che ho conosciuto, per la loro ampiezza, e la loro gravità non si verificano improvvisamente e imprevedibilmente, al contrario, si preparano. E, pertanto, vi sono tempi e mezzi per evitarle. L’indifferenza della comunità internazionale verso quanto accadeva in Ruanda e nella ex Jugoslavia continua a permettere che crimini internazionali gravissimi siano ancora perpetrati in non pochi paesi. La comunità è oggi ancora più colpevole, perché le lezioni del Ruanda e della ex Jugoslavia non fanno parte dei programmi educativi e culturali. Ho scritto un libro raccontando la mia esperienza di procuratore internazionale delle Nazioni Unite per il Ruanda, quanti lo hanno letto? Quanti sentono la curiosità di leggerlo? Spero in tanti perché l’ho scritto per tutti, con semplicità e sincera intenzione di abbattere i muri dell’indifferenza.

http://fondazionearbia.org/#aboutme
Comunicato stampa

La “Fondazione Silvana Arbia” è nata da una costola del Soroptimist International Single Club San Marino. Esso infatti, in occasione del Premio della Pace SI Europa 2013 aveva candidato il Magistrato Silvana Arbia, per la sua opera di Procuratore del Tribunale delle Nazioni Unite per il Rwanda dopo il genocidio. Un’esperienza durata circa nove anni, narrata nel libro che ce la rese nota, che ha fatto nascere in lei la decisione di destinare i 20.000 € del premio ad un’opera di Pace continuativa con sede in San Marino, per promuovere azioni di prevenzione contro l’uso dei bambini e delle bambine soldato, contro le quali viene perpetrata sistematica violenza sessuale, contagiando intenzionalmente con l’HIV anche bambine ancora piccole.
L’obiettivo è quello di permettere loro di iniziare una nuova vita, per mezzo di un’assistenza mirata e un’istruzione scolastica.

Nel corrente anno la Fondazione ha indetto un concorso a premi dal titolo “Insieme contro l’uso dei bambini soldato” rivolto ai ragazzi di Scuola Media, consistente in un’opera grafica o in una lettera su questo tema. Al concorso è abbinata una lotteria, che verrà estratta il 25 Giugno 2021, con biglietti dal costo di soli 2 €. Saranno disponibili in più punti della Repubblica. Per una valida raccolta fondi, devono essere venduti tutti: fidiamo nella generosità della nostra gente.

Obiettivi della Fondazione
Grazie a tutti coloro che vorranno unirsi a noi

  • Contribuire a eliminare e/o ridurre rischi per la pace
    insito nella pratica dell’arruolamento e nella coscrizione di minori nella Regione dei Grandi Laghi africani, rimuovendo e/o riducendo gli ostacoli all’accesso dei minori all’educazione e ad altre forme di protezione.
  • Promuovere l’elaborazione di una Convenzione Internazionale
    e misure standard di prevenzione e protezione.
  • Sostenere azioni contro la povertà
    e la promozione di attività di ricerca e raccolta dati.
  • Attuare campagne di prevenzione
    e misure di sostegno in favore di bambini e di donne residenti nella Regione dei Grandi Laghi africani, a rischio di condizioni ambientali che non consentono la crescita e lo sviluppo della personalità nel rispetto dei diritti fondamentali.
  • Costruire e rafforzare la capacità della madri
    e di altre figure femminili vicine ai minori nel proteggere i minori da rischi di rapimento, prelevamento e altre forme di violenza.
  • Collaborare con i governi e le organizzazioni non governative
    pubbliche e private di comprovata competenza e di impegno neutrale.

FONDAZIONE SILVANA ARBIA

La Fondazione Silvana Arbia è stata fondata ufficialmente a San Marino in data 08/11/2014.
La Fondazione è stata voluta dal Magistrato Silvana Arbia che ha lavorato per quasi nove anni, fino al 2008, come procuratore e chief of prosecutions presso il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPIR) con sede ad Arusha. Silvana ha rappresentato l’accusa contro i responsabili del genocidio di un milione di persone, di etnia Tutsi, massacrate nel giro di tre mesi, dall’Aprile al Luglio 1994 in quella martoriata terra d’Africa.

Link
https://it.wikipedia.org/wiki/Silvana_Arbia/..

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